Sui dubia e sul magistero cattolico (di Z. Carra)

Come reazione al mio post sul card. Mueller, il prof. Z. Carra offre un interessante contributo al dibattito aperto dai “dubia” presentati dal Card. Duka e dalla reazione del card. Mueller al “responsum” del Dicastero per la dottrina della fede
Verona, 17 ottobre 2023
Gentile professore,
Ringraziandola delle acute analisi con cui legge i dibattiti attuali della chiesa ed aiuta a non indulgere a faziose semplificazioni, come troppo spesso di questi tempi siamo adusi a fare, mi permetto di intervenire con una considerazione a margine delle questioni.
Leggendo i testi implicati, ovvero la risposta ufficiale della CDF al card. Duka1 e la lettera del card. Müller2, non ho potuto non soffermarmi su un aspetto formale a mio avviso non secondario: il prefetto della CDF, a supporto dell’autorità di Amoris Laetitia e della sua interpretazione argentina, assunta ufficialmente dal Pontefice come autentica, invoca “l’ossequio dell’intelligenza e della volontà” che ogni fedele è chiamato a dare al magistero papale. Questa formula si trova in Lumen Gentium 25 e al can. 752 del CJC, su cui la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Ad tuendam fidem del 1998, e la cui portata è dettagliatamente illustrata in un documento sempre del 1998 della stessa CDF, allora presieduta dal card. J. Ratzinger3.
Credo non sia storicamente azzardato affermare che i suddetti documenti del 1998 intendessero “disciplinare” un certa tendenza alla pluralità da parte della teologia, tentando di ricompattare la coscienza pensante della chiesa in una visione il più possibile univoca ed uniforme. Il fatto che sovente certa teologia si è concepita come esegesi dei testi del magistero, seppur magari non esplicitamente voluto, può essere visto come risultato del “giro di vite” di quegli anni e delle disposizioni di tale documento. Concentrare il pensiero del corpo ecclesiale nel punto unico e centrale della mens del romano pontefice può essere un tentativo di salvaguardare la nota dell’unità della Chiesa, ma certamente non può non andare a scapito dell’ascolto di ciò che proviene dalle vite reali dei credenti, dalle condizioni della storia presente, dal lavoro della ricerca teologica, dalle voci esterne alla chiesa con cui lo Spirito del Risorto alla sua sposa vuole parlare.
Ora, proprio Amoris Laetitia, nelle sue pagine iniziali, parrebbe indirettamente scardinare quella impostazione, laddove al n. 3 dice che:
Ricordando che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo. Inoltre, in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, «le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato».
Il papa qui fa una solenne ed esplicita professione di parzialità, ricordando come non in tutti i campi del vivere da credenti ci si debba attendere da lui le istruzioni necessarie e/o il permesso per agire. Non si tratta di una disattivazione diretta di quanto stabilito nei suddetti documenti, ma certamente di una limitazione del campo per ciò cui il credente è chiamato a conformarsi con ossequio di pensiero e di volere al pensiero del papa.
Per questo non posso non avvertire un rischio di “corto circuito” formale ove, proprio a sostegno di Amoris Laetitia, si richiami il principio dell’ “ossequio dell’intelligenza e della volontà”, incastrandola così in una prospettiva che, credo, non le appartenga. Se Amoris Laetitia apre spazi di possibilità alla coscienza dei credenti, facendo di questa il soggetto teologico che, nel dialogo sincero con i vari loci di autorità (il Vangelo, le indicazioni del magistero, il consiglio dei pastori e dei fratelli …), è chiamata ad assumersi le proprie responsabilità davanti a Dio e agli uomini, suona un po’ strano collocare proprio questo documento in quella diversa posizione formale per cui, in ultima istanza, è il magistero papale l’autorità suprema sulla vita dei credenti. E forse espone l’autorità “diversa” di Amoris Laetitia a doversi difendere in una battaglia combattuta su un campo che non è il suo. Non è un caso, infatti, che il card. Mueller inizi la sua confutazione della risposta della CDF appellandosi proprio al principio formale dell’ossequio e cerchi da esso di disattivare la portata diversa dell’esortazione del 2016, riconducendola nella linea formale dei documenti precedenti.
Se uno entra poi nei contenuti materiali della risposta della CDF, è evidente come le soluzioni ivi indicate siano pienamente conformi a quella mens di Amoris Laetitia che dà parola autorevole alla realtà delle vite e alle situazioni contingenti per decidere concretamente il da farsi. Su questo nulla da eccepire. Solo mi suona un poco stonato quell’appello iniziale formalmente disomogeneo rispetto all’operazione che l’esortazione e i documenti ad essa esplicativi intendono aprire. Non si può, cioè, tentare di allentare quel ruolo unico e totale che il magistero papale ha assunto negli ultimi due secoli, ricorrendo formalmente proprio ad esso. Forse, ma certamente gli obiettori non l’avrebbero accolta, una più ampia illustrazione del ruolo diverso che il magistero vuole assumere, in linea con AL 3, sarebbe stato più coerente.
1 https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_pro_20230925_risposte-card-duka_it.pdf
2 http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2023/10/13/eminenza-caro-fratello-dominik-duka…/
3 Sia la lettera del papa sia il documento della CDF del 1998 si possono leggere qui: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html#AD%20TUENDAM%20FIDEM. La nostra formula è spiegata al numero 10 del documento. La terza proposizione della Professio fidei afferma: « Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo ». A questo comma appartengono tutti quegli insegnamenti — in materia di fede o morale — presentati come veri o almeno come sicuri, anche se non sono stati definiti con giudizio solenne né proposti come definitivi dal magistero ordinario e universale. Tali insegnamenti sono comunque espressione autentica del magistero ordinario del Romano Pontefice o del Collegio dei Vescovi e richiedono, pertanto, l’ossequio religioso della volontà e dell’intelletto. Sono proposti per raggiungere un’intelligenza più profonda della rivelazione, ovvero per richiamare la conformità di un insegnamento con le verità di fede, oppure infine per mettere in guardia contro concezioni incompatibili con queste stesse verità o contro opinioni pericolose che possono portare all’errore. La proposizione contraria a tali dottrine può essere qualificata rispettivamente come erronea oppure, nel caso degli insegnamenti di ordine prudenziale, come temeraria o pericolosa e quindi «tuto doceri non potest»