Una rilettura di Mediator Dei: dall’abuso all’uso. Un bel libro di Daniele Premoli


E’ appena uscito il volume: D. Premoli, La redazione di ‘Mediator Dei’. Una rilettura dell’enciclica a partire dai documenti del Sant’Uffizio, Roma, Archivum, 2023. Pubblico uno stralcio dalla Prefazione

Prefazione

La genealogia di un testo e la nascita di una nuova coscienza ecclesiale

“Il movimento sia in gran parte soppresso”: questa è la netta risposta del Card. Gasparri, verbalizzata durante la prima delle questioni formulate nell’ordine del giorno della prima riunione (1943) del percorso istituzionale romano, che avrebbe portato, 4 anni dopo, alla pubblicazione della Enciclica Mediator Dei. La passione con cui questo volume di Daniele Premoli ricostruisce nel dettaglio la genesi redazionale del documento sorprende il lettore, che entra con sicurezza e con rigore dentro un percorso di maturazione non solo di un testo autorevole, ma con esso della stessa coscienza ecclesiale cattolica. La guerra, che si stava combattendo duramente in tutto il mondo, non impediva la riflessione, l’approfondimento, la scoperta delle novità. In quegli stessi anni il dibattito sulla “forma fondamentale” dell’eucaristia o sulla origine del sacramento della penitenza si stava sviluppando con altrettanta ricchezza. Così, nella ricostruzione storica di un percorso di “scrittura del testo”, condotto con un accuratissimo lavoro di indagine negli archivi vaticani del S. Uffizio, noi apprendiamo, con grande sorpresa e ammirazione, quanto stava cambiando, sia pure a piccoli passi, la comprensione storica e sistematica della azione liturgica in ambito cattolico. Il volume, con grande equilibrio, propone sia nella ricostruzione storica, sia nella sintesi teologica, una divisione ragionevole e che corrisponde all’esito raggiunto dal testo: ossia quella tra una pars positiva e una pars negativa del testo. Vorrei brevemente soffermarmi anzitutto sul criterio della distinzione (§.1) e poi su ciascuna delle due parti (§§2-3) per concludere infine sul contributo ad una concezione della storia della teologia davvero illuminante (§.4).

1. Dalla condanna dell’abuso alla riscoperta dell’uso

Tutto inizia da un abuso, da una deviazione, da un errore da reprimere: l’intero movimento liturgico ha corso il rischio di essere interpretato, ufficialmente, come una minaccia da cui difendersi. E’ la sua novità, spirituale ed ecclesiale, a turbare gli animi e a sconvolgere le discipline. Questo dato è attestato dalle stesse competenze messe in gioco, così come emergono in modo limpido dalla ricostruzione documentata di questa ricerca. Il passaggio delle competenze dalla Congregazione dei Riti al Sant’Ufficio, avvenuto tra il ‘43 e il ‘44, con il manifestarsi del progetto di scrivere una Istruzione contro il falso liturgismo, dimostra presto una rapida metamorfosi dell’intento, che passa dalla denuncia di pericolosi abusi alla indagine sui presupposti dogmatici e dottrinali di tali abusi. Nell’orizzonte che nel 1944 si va costruendo, come ambito di riflessione, ci sono abusi e ci sono errori, che forse la guerra e il nazismo ha reso più estremi e meno tollerabili. Ma dalla elaborazione successiva emerge chiaramente una istanza nuova e diversa: al posto del primato della difesa dall’abuso nasce la urgenza della riscoperta dell’uso. Ad una impostazione che vede liturgicamente il pericolo di abusi e teologicamente la minaccia degli errori, subentra, gradualmente, la urgenza di una ricostruzione complessiva dell’”uso liturgico”, capace di rileggere l’ esperienza rituale nella sua dimensione teologica, cosa che costituiva, di fatto, un “nuovo genere” di discorso magisteriale. Potremmo dire, proprio confortati dall’accurato esame dell’evoluzione redazionale del progetto, che stava nascendo, con il testo della Enciclica, una nuova prospettiva di lettura della tradizione, una nuova forma di autocoscienza ecclesiale e di elaborazione spirituale e pastorale. La sequenza dei documenti inediti, che si susseguono con grande frutto nell’ampia appendice che troviamo in fondo al volume, permette di toccare con mano come il progetto originario si sia profondamente trasformato e con esso sia cambiata la percezione del fenomeno liturgico, che nel giro di 16 anni avrebbe assunto la forma solenne della Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium.

[…]

4. Una storia della teologia “che precede col lume”

La ricostruzione della redazione di Mediator Dei approda al testo nella sua ultima versione, divenuta poi ufficiale. Ma non ci si può astenere da una valutazione che riguarda anche ciò che è seguìto al testo, come preparazione diretta agli sviluppi di quegli altiora principia che prima il Concilio Vaticano II e poi la Riforma Liturgica avrebbero sviluppato. Se da un lato, infatti, ciò che accadrà dopo questa enciclica – anche nello stesso magistero di Pio XII – sta oltre il testo qui esaminato, non si può negare che in questo “processo redazionale”, finalmente accessibile, si sono poste le basi per quanto è accaduto dopo. Senza questo “sblocco”, qui ora reso disponibile attraverso la pubblicazione di documenti inediti, nulla avrebbe potuto accadere di veramente nuovo. Anche le idee ritenute meno opportune, o addirittura pericolose, sono entrate in una nuova visione, che ha potuto generare pratiche e teorie più ampie e più comprensive. Questo risvolto chiarisce, ultimamente, la preziosità di una ricerca come questa, che affronta sul piano della “storia della teologia” uno sviluppo determinato e particolare – ossia la ri-costruzione graduale di un testo ufficiale – per rischiarare un campo del sapere e della prassi cattolica che avrebbe subito, esattamente a partire da quel testo, una accelerazione ingente sia sul piano pastorale, sia in ambito spirituale, sia sul piano teologico e accademico. Non dobbiamo dimenticare che la “liturgia”, come materia di insegnamento autonomo e di riflessione teologica e pastorale “sui iuris”, nasce precisamente intorno e a valle rispetto a questo testo, come una delle sue conseguenze forse impreviste. Per questo è così importante ricostruire con meticolosa precisione come sia emerso il “novum” dal “vetus”. Una adeguata contaminazione di prospettive – tra storia e sistematica – è stata necessaria per questo, così come l’autore di queste pagine dimostra di aver saputo fare. Solo così la ricostruzione storica può diventare feconda ed efficace. Ed anche quando pensassimo a buon diritto che la teologia sistematica debba conservare il ruolo di guida, e che la scienza storica debba limitarsi al ruolo ancillare di servizio, dovremmo sempre tenere a mente la bella sentenza di Immanuel Kant che ci avverte: “in questo caso rimane ancor sempre aperto il problema di sapere se quest’ultima (scienza ancillare storica e filosofica) precede col lume la sua gentile signora, o la segue, reggendole lo strascico” (I. Kant, Il conflitto delle facoltà, ed. D. Venturelli, Brescia, Morcelliana, 1994, 83). Ad una “storia della teologia” non solo retro oculata, ma anche ante oculata, che sappia non solo reggere lo strascico dietro alla sintesi teologica, ma voglia servirla sapendola precedere con la candela accesa, questo volume offre un contributo degno di nota, istruttivo per lo storico come per il teologo, ricco di sapiente documentazione e scritto in uno stile di singolare equilibrio.

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