Una futura morale sessuale e la vita consacrata (di W. De Moor)


Ecco una riflessione/recensione su libro di Basilio Petrà, Una futura morale sessuale cattolica, In/fedeltà all’apostolo Paolo, Cittadella Editrice 2021, proposta da Wim De Moor, che pubblico volentieri.

Wim De Moor, classe 1956, vive in una piccola comunità a Gand, Belgio. Dopo aver esercitato per diversi anni la professione di violinista classico, ha vissuto per tre anni ad Assisi. Tornato in Belgio, ha ripreso la sua professione. Appassionato della persona umana e di teologia, ha unito l’insegnamento della musica nella LUCA School of Arts, Lovanio, al lavoro pastorale presso il carcere di Gand. Attualmente, la sua attenzione è particolarmente rivolta a ciò che da sempre gli sta a cuore: l’incontro tra comunità e liturgia.

foto Evi Clerck

Recensione

Ho terminata la lettura di Basilio Petrà, Una futura morale sessuale cattolica, In/fedeltà all’apostolo Paolo, Cittadella Editrice 2021, e mi sento stimolato a riflettere ulteriormente per conto mio. Il testo, gentilmente consigliatomi dal professor Andrea Grillo, Roma, è teologicamente e storicamente ben fondato e molto equilibrato nella costruzione. Il che fa sì che, nella speranza che risulti fertile, merita di essere discusso.

1. Breve riassunto

In questo saggio sulla morale sessuale cattolica, Basilio Petrà ne considera innanzitutto la storia. L’autore parte dal pensiero di Paolo, per poi confrontarlo con quello di Agostino. Entrambe le autorità vedono nel matrimonio l’unica circostanza che permetta un’esperienza sessuale positiva. Allo stesso tempo, tra i due c’è una differenza, la quale, vista la forte influenza storica di Agostino, porta con se delle conseguenze: per Paolo, il matrimonio è ‘remedium fornicationis’; per Agostino è ‘remedium concupiscentiae’. Ossia: mentre Paolo vede nel matrimonio il modo buono di trattare qualcosa che è di per sé un bene, per Agostino sposarsi risulta solo fare un bene… con un male. Egli permette però un solo ‘piacere’: la coscienza di collaborare alla procreazione.

Prima della sua perorazione per il matrimonio, Paolo pronuncia un’arringa per lo stato di celibato. Parla su un duplice sfondo: la venuta di Gesù è imminente, il che relativizza ogni preoccupazione per quanto perpetua la vita umana sulla terra; tuttavia, non tutti gli esseri umani potendo vivere senza sesso, per loro, invece di bruciare e di rischiare di cadere nella porneia, è certamente preferibile scegliere lo stato matrimoniale.

L’atteggiamento di Paolo, secondo Basilio Petrà, dà prova di realismo. Dal VI alla metà del XX secolo Petrà vede il tema, per così dire, sommerso da un’immagine più agostiniana dell’uomo e della sessualità. Egli nota, tuttavia, da papa Paolo VI in poi e con un primo culmine in Amoris Laetitia, scritta da papa Francesco nel 2016, un cambiamento nel modo in cui il magistero parla: l’egemonia del pensiero giuridico sta perdendo colpi a favore di un atteggiamento personalistico; la parola chiave non è più “ius in corpus”, ma “amore reciproco”.

In questa evoluzione, Petrà scopre il ritorno del realismo Paolino. Ponendo al centro ciò che accade tra i partner del matrimonio e al loro interno, la Chiesa si avvicina alla cultura odierna nella quale la sessualità si considera un bene in sé: la si vede come una funzione naturale dello sviluppo umano; e anche nel caso in cui non è separata dalla procreazione, questa funzione ha sempre la precedenza. Non sembra più impensabile, quindi, che la Chiesa valuti diversamente anche le circostanze in cui si svolge il rapporto con il bene che è la sessualità. Qui, l’autore paragona l’atteggiamento verso l’omosessualità e le relazioni tra persone dello stesso sesso, con l’atteggiamento verso la schiavitù: Paolo sapeva guardare ambedue solo attraverso gli occhi della sua cultura e del suo tempo; essendo cambiati, oggi, sia il tempo che la cultura, vediamo le cose in modo diverso.

2. Sitz-im-Leben

Il pensiero di Basilio Petrà scaturisce dalla cultura moderna nel senso che si riferisce specificamente alla ‘sessualità’: di per sé, il sesso è neutro; gli viene dato un significato dalla persona che ne fa uso. In altre parole: le persone fanno qualcosa della loro sessualità. Assumono la responsabilità attraverso il rispetto: per l’altro, per se stessi, per le relazioni. Questo comporta delle conseguenze sociali: fondamentale è il libero consenso reciproco; il quale è unicamente possibile in condizioni che lo salvaguardino.

Occuparsi consapevolmente della propria sessualità rientra perfettamente nel quadro dell’essere umano come “soggetto”. Le persone che esistono come soggetti manifestano ripetutamente la tendenza a vedere in questo modo di vivere tipicamente moderno, una fase finale di un’evoluzione da attraversare da parte di tutti, sempre e ovunque. Vedere la sessualità prima di tutto come qualcosa che rende felici e non più anzitutto in funzione della procreazione, è in linea con l’immagine (freudiana) dell’uomo come una creatura di bisogni che cerca soddisfazione. Una visione considerata, al 100%, una liberazione.

Come detto prima, seguendo quella che rileva come la corrente positiva di Paolo, l’autore si rallegra di un allargamento del pensiero cattolico-romano, anche verso un apprezzamento positivo dell’omosessualità e della coppia omosessuale. Nel saggio, il rimanere celibi non viene esaminato. Eppure anche questo aspetto è sostenuto da Paolo.

Non sembra insensato chiedersi se ci sia una connessione con il tema considerato. Se effettivamente la visione della sessualità oggi sta diventando positiva, questo cambia anche la visione della cosiddetta “vita consacrata”? Per gli eterosessuali e, dove si tratta di convivere con delle persone dello stesso sesso, in modo specifico anche per gli omosessuali?

3. Vita consacrata

Perché questa domanda? Qual’è il suo sfondo? Essendo io cresciuto come una persona moderna ed essendo per questo anche molto grato, nella mia esperienza è tanto vivificante quando un essere umano passi al di là del suo essere ‘soggetto’. Solo allora, mi sembra, nasce l’abbandono, come anche l’accoglienza della vita che, di continuo, si dà per Amore. Solo allora la persona diventa fondamentalmente accessibile, perché immersa in una connessione indipendente dal nostro lavoro, e che ci precede. Tuttavia, l’idea che un soggetto possa detronizzare se stesso mi sembra insensata. (Lo so: sto criticando il cosiddetto “post-modernismo”.) La domanda è quindi: dove e come avviene una tale detronizzazione?

Una prima risposta mi arriva da ciò che tradizionalmente si chiama “vita consacrata”. Per gli autori che ne hanno fatto esperienza – penso a Bernardo Gianni o.s.b. 2019, Lode Van Hecke o.c.s.o. 2022, Rony Ceustermans o.praem. 2022… – l’essere umano non coincide con l’immagine di cui sopra, anche se per l’uomo moderno questa visione spesso viene considerata unicamente una liberazione. Oltre ai bisogni, così ci dicono questi autori, nell’uomo vive anche il desiderio. E mentre i bisogni possono essere soddisfatti, per il desiderio questo non è possibile. Il desiderio umano essendo infinito, l’appagamento può essere cercato solo nell’Infinito, ossia solo in Dio, ossia nella Sorgente che ci invita ad ascoltarLa nel silenzio.

Ho il massimo rispetto per il monachesimo. Appunto per questo desidero capire meglio quale sia, in questa visione, il significato attribuito a ciò che accade tra le persone. Certamente, questo è considerato un segno distintivo della relazione con Dio: i monaci sono come i raggi di una ruota con Dio al centro; più i monaci si avvicinano a Lui, più si avvicinano gli uni agli altri. (Cfr. Guigo il Certosino, spesso citato dall’abate Manu Van Hecke o.c.s.o.) Tuttavia, l’interpersonale può anche essere punto di partenza? (Anche così credo di poter leggere Bernardo Gianni.) La relazione interpersonale può anche offrire la situazione specifica in cui al “soggetto moderno”, ormai regista che determina l’andamento delle cose, la regia viene tolto dalle mani?

Ritorno sull’osservazione circa l’essere celibe: la vita comunitaria potrebbe offrire una motivazione per il celibato, oppure, al contrario, il celibato per la vita comunitaria? E se, parlando dell’apprezzamento positivo non solo della sessualità in sé, ma anche specificamente dell’omosessualità, supponiamo che per alcune persone, anche moderne, la vita comunitaria si presenti davvero come una vocazione – o come il luogo in cui da “soggetti moderni” si sentono invitate a permettere che le immagini che hanno di se stessi, dell’altro, del mondo e di Dio… si sgretolino al fine di arrivare alla resa fiduciosa e all’accoglienza della vita stessa che si dona per Amore – c’è una differenza per chi è eterosessuale o omosessuale? E se c’è, quale sarebbe?

4. Una visione antica…

Nel saggio – pagine 61-62 – è menzionato un pensiero di Massimo Confessore (580-626). Parlando in un’epoca in cui la sessualità non andava di pari passo con l’identità, parlava di impulsi sessuali. Se ho capito bene, in questa spinta, lui, da monaco, scrutava per così dire un trampolino verso l’amore per il prossimo e da lì anche verso Dio. È una visione ispiratrice che, dall’approccio positivo alla sessualità sostenuto nel libro di Petrà, oggi può essere applicata a tutti gli orientamenti sessuali. Quindi: cosa è lecito aspettarsi dalla Chiesa, oggi, da parte di una persona omosessuale e, più specificamente, da parte di una persona omosessuale che si sente chiamata alla vita comunitaria?

Ascoltiamo Amoris Laetitia dove (nn. 291-312) il papa parla di “distinguere, accompagnare, integrare”. Per me questo è un appello all’accoglienza e al rispetto, non in modo paternalistico, né per magnanimità legata all’apertura mentale della persona che ho davanti a me. Il vero rispetto richiede anche un riconoscimento ufficiale come anche, soprattutto per la Chiesa cattolica romana, la trasparenza interna! Ogni essere umano, infatti, ha bisogno di modelli positivi. Chi sa di essere omosessuale ha bisogno di ascoltare discorsi positivi anche sulla sessualità che è la sua, di essere accompagnato nell’esplorazione adolescenziale che è la sua… Se poi una persona omosessuale si sente chiamata alla vita comunitaria, ha anche bisogno di persone radicate come lui, che testimonino della loro vita comune e dell’amore con una gioia prima di tutto irradiata. Ha bisogno della testimonianza di chi è esperto della strada che l’Amore prepara per ognuno di noi: una strada di maturazione, che anche per lui ora non parte da giudizi negativi, da restrizioni o divieti, come neanche da un sogno – ’68esco – di appagamento o di promiscuità, ma che, invitando la persona a ‘fare un bene con un bene’, anche qui, la porta ad una purificazione ad vitam.

5. Da riscoprire per fedeltà?

Torniamo, in conclusione, al saggio di Basilio Petrà. Dobbiamo esaminare se e, in caso affermativo, dove si lasci scrutare una connessione tra l’omosessualità da un lato e la vita comunitaria celibe dall’altro. Ce lo chiede il rispetto verso coloro che, sentendo un possibile legame dentro di sé, hanno domande in merito. Questo rispetto, come anche la ricerca ad esso collegata, incarnano, anche nelle persone di Chiesa, la fedeltà a Dio, all’altro, a se stesse, alla Chiesa… Incarna la fedeltà a delle persone concrete e, per il bene di queste persone, alla propria Tradizione. Incarna la fedeltà, infine, anche a san Paolo.

Wim De Moor (Gent, Belgio)

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