In aeternum cantabo. Un tentativo di sciogliere qualche nodo (a)liturgico


Questa amplia riflessione di Wim de Moor, che ringrazio, osserva le possibilità del canto liturgico, in una storia e in una geografia pensata “da Nord”. Può essere un buon punto di confronto per punti di vista mediterranei… (ag)

In aeternum cantabo.

Un tentativo di sciogliere qualche nodo (a)liturgico

di Wim de Moor

1. punto di partenza: Gand

Parto da una constatazione: da tre anni organizziamo mensilmente un vespro cantato nella chiesa di San Nicola a Gand; come direttore del coro, sono responsabile della scelta dei canti, il che non risulta facile. Desiderando offrire un’atmosfera di quiete, mi pare che siano più adatti i canti modali e non metrici. In gran parte, questo corrisponde a ciò che mi si propone in parrocchia nella messa domenicale, almeno nelle Fiandre. Volendo scoprire qualcosa del tutto diverso, però, non devo guardare lontano: le volte che partecipo ad una celebrazione in Vallonia, sento piuttosto dei canti tonali e metrici. Sorge la domanda: cosa significa? Esiste un solo modo “giusto” di fare le cose? O forse tutto questo non ha tanta importanza, e non ha senso osservare i vicini?

Voglio subito dire che sono musicista professionista. Per tre decenni ho insegnato violino e musica da camera alla LUCA-School of Arts, Campus Lemmens, Lovanio. Dal 2016 al 2019, una volta alla settimana, nella cappella della scuola organizzavo un’ora sesta. Come l’insegnamento, anche questo mi è sembrato un’estensione di ciò che, vivendo in una piccola comunità, sperimentiamo a casa: imparare ad essere ricettivi, ovvero ad accogliere ciò e chi la vita ora ci offre.

Appena l’emerito-docente di musica che sono entra in dialogo con il monaco che mi sento, alla base della mia richiesta di sostegno si lasciano scoprire molteplici livelli. Per me è importante cosa si canta nella liturgia, ma anche il come e non di meno il perché. Pensando poi alla Chiesa cattolica romana, mi chiedo quale sia, nelle Fiandre ma non solo, la strada da percorrere: in che modo la Chiesa può posizionarsi il più apertamente possibile nei confronti dei tanti appelli che, di solito silenziosi ma a volte anche urlati, risuonano dal mondo di oggi?

2. breve schizzo storico

Partiamo dal canto. Fa parte dei linguaggi non verbali. Come in ogni ambito espressivo, questo vale anche nella liturgia.i Per questo, la scienza liturgica dà tanta importanza a ciò che è pre-verbale: determina l’esperienza! Più nel profondo che attraverso le parole, i riti entrano nel nostro mondo esperienziale attraverso le azioni. Più specificamente, i rituali liturgici agiscono su di noi attraverso azioni basilari quale nutrirsi, lavarsi, profumarsi…ii Qual è, allora, all’interno della liturgia, il ruolo della musica?iii

a) il Gregoriano medievale

Sant’Agostino l’avevo capito bene: chi si sente per così dire sommerso da un evento di rinascita, o da una liberazione per via di un’unione incondizionatamente donatasi… canta. Canta perché non può farne a meno! Questo canto, Agostino lo chiama “Jubilus”. Nella consapevolezza che l’uomo abbia bisogno di trasformare tale evento in un’ esperienza, egli colloca questo canto liturgicamente: trova posto dentro ad una narrativa verbale, presentata all’interno di una comunità quanto proclamazione vincolante di una confessione condivisa.iv

Nel tempo in cui Agostino fu vescovo, dal 395 al 430, il cristianesimo aveva superata l’infanzia. Per quanto riguarda la preghiera, non aveva reciso le radici ebraiche, ma abbastanza presto aveva dovuto piantarle nel terreno culturale medio-platonico, cioè ellenico. Per quanto riguarda la struttura organizzativa, l’aveva adottata dalla società romana della quale era diventata religione di Stato. Le teorie greche sull’effetto psichico di fare musica in particolari modi – un modus è un sistema di ordinare i toni in una serie –,v furono accettate senza resistenza. Per tanti cristiani, però, l’inserimento nella “normalità” amministrativa suscitava repulsione: la vera testimonianza cristiana non fu forse quella dei martiri? Emerse la fuga mundi, prima individuale ed estremamente eroica, ben presto raggruppata attorno ad una figura paterna, l’abbas. Insieme a questa forma alternativa di vita cristiana, emerse un modo alternativo di pregare, solidificato in una cosiddetta forma cattedrale da un lato e un ordo monastico dall’altro.

Non é negli intenti di quest’articolo, soffermarsi sull’influenza monacale sulla politica ecclesiastica o sul canto (ad una sola voce). Indichiamo soltanto che ciò che oggi chiamiamo “canto gregoriano” era originariamente un canto romano, che poi fu trasferito e adattato dai Franchi in Gallia, e da lì nuovamente esportata a Roma. Divenne il canto dei monasteri, depositari medievali per eccellenza della cultura antica. Dal XVI secolo in poi, il repertorio gregoriano si fece strada attraverso ciò che la Controriforma ne aveva selezionato e consolidato. Dopo un periodo di buiovi, fu riportato alla luce nel XIX secolo, più specificamente nelle abbazie di Solesmes e di Beuron.vii Solesmes, in particolare, esercitò una forte influenza, da molti subita fino ad oggi, sublimando tante emozioni in un canto un po’ femminile, e offrendo un’immagine di Chiesa come un vero “collettivo”, ossia come un gregge guidato da un pastore. Coscientemente, il canto gregoriano fu strumentalizzato per forgiare un’identità di Chiesa, avvertita come necessaria dopo la Rivoluzione Francese e il dominio della cultura moderna percepita come ostile.

b) il dominio moderno dell’organo

La Chiesa, tuttavia, non conosceva che il canto monastico ad una sola voce. A partire dal XIII secolo, nelle cattedrali francesi si sviluppò la polifonia contrappuntistica, ossia un dialogo musicale tra voci ugualmente valide. Questa ebbe sia una evoluzione splendida (i “Polifonisti Fiamminghi”) sia un deragliamento nell’ uso, come cantus firmus, di veri canti di strada. Trento reagì con la decisione di promuovere, accanto al canto gregoriano, la polifonia sobria di Palestrina ad unica musica ufficiale della Chiesa cattolica romana.

In parallelo a tutto questo, continua a svilupparsi la cultura popolare: la gente canta, gioca, balla… Certe danze sono stilizzate ed elaborate presso le corti. Essendo queste corti sia secolari che ecclesiastiche, tante danze di corte, in analogia alla storia del canto romano, trovano posto nella musica di Chiesa, soprattutto nel periodo barocco. Riguarda al canto e al gioco, accanto alla liturgia in Latino che per tanta gente risulta incomprensibile, si nota un’evoluzione dalle laude popolari ai misteri, precursori delle Passioni della Riformazione.

Alla fine del XVIII secolo, in piena Rivoluzione Industriale, e con forza nel XIX secolo liberale, si fa avanti, ora in un ambito puramente secolare, una nuova forma di “clericalizzazione”: la musica diventa “arte assoluta”, presentata dall’artista/sommo sacerdote, e assaporata da chi ne sia iniziato. Anche questo sistema trova la strada nella direzione delle chiese: arriva la cosiddetta “Messa Alta”, con composizioni solenni, scritte per complessi con formazione professionale.viii Alla fine, mentre la voce umana trova il suo posto nella cultura corale ormai diffusaix, la cultura musicale della Chiesa culmina in quello che viene adottato come icona del potere di riunire le forze: l’organo. Dal lavoro di geni come l’organaro Cavaillé-Coll e l’organista César Franckx, si può notare fino a che punto, in un’epoca in cui la messa, incomprensibile per i fedeli, si svolgeva all’altare, la forza per eccellenza di sostegno e di guida del rito usciva dalle canne dell’organo.xi

c) la partecipazione postconciliare

Viviamo nel 2024, ossia circa 60 anni dopo la conclusione del Concilio Vaticano Secondo, e 61/62 anni dopo la promulgazione di Sacrosanctum Concilium, la Costituzione Dogmatica sulla Liturgia. Tale costituzione testimonia una svolta inequivocabile e per tutti immediatamente percepibile, tanto nella partecipazione di tutti i fedeli alla celebrazione dell’Eucaristia in lingua volgare, quanto nella presidenza rivolta verso il popolo.

Questa svolta non arrivò all’improvviso. In molto centri di studio, tra cui le abbazie già citate ma anche in Germania, in Belgio, in Italia… era sorto il “Movimento Liturgico”.xii La restaurazione dovette cedere il passo al “retour aux sources”: in primo luogo, la liturgia fu capita come un atto di culto dell’intero popolo di Dio; di conseguenza i laici, in precedenza presenti solo passivamente, furono incoraggiati a parteciparci in un modo attivo. I testi liturgici furono tradotti in volgare. Iniziò la creazione di un repertorio canoro considerato adeguato.

Arrivò “maggio ’68”. Il mondo politico e quello culturale si trovarono di fronte alla rivolta degli studenti. Tanto nella Chiesa quanto altrove, ciò che era considerato elitario dovette cedere il passo a ciò che era considerato democratico. Fu un’epoca di sperimentazione. Comparvero le chitarrexiii e divenne la norma l’amplificazione col microfono.xiv Il repertorio comprendeva anche le musiche pop e jazz. In certe chiese si propagava, a volte persino durante le celebrazioni eucaristiche, la lettura del giornale come se fosse il vangelo aggiornato.

Divenne un’epoca di “adattamento esistenziale”. In Olanda emerse, attraverso una nuova traduzione dei salmi adottata anche nelle Fiandre, una nuova lettura dei valori etici propri della vita cristiana. A fare da apripista fu la poesia di Huub Oosterhuis, musicata soprattutto in stretta collaborazione con Bernard Huijbers.

La comunità belga di lingua francese optò per dei canti metrici e tonali, in uno stile più informale e facili da cantarexv, agli occhi di certi fiamminghi a volte fin troppo popolare. (En passant: un fattore potrebbe essere stato il fatto che la società vallona, a differenza di quella fiamminga, non ebbe mai conosciuto né il predominio cattolico degli anni ’50, né la forte preponderanza numerica (70% nelle Fiandre) delle scuole secondarie cattoliche. Il funzionamento parrocchiale partendo da una diversa base sociale, l’enfasi sulla pastorale giovanile fu evidente.)

Allo stesso tempo, “maggio ’68” suscitò reazioni, anche da parte dei musicisti di chiesa, soprattutto nelle Fiandre. Ci si attaccò all’esempio della Cäciliën-Verein, legata a Beuron, sempre basato sul concetto che, ora attraverso il canto corale, il cristiano abbia da imparare a far parte di un collettivo con una chiara leadership. Nuovamente, il tono fu in gran parte modellato sugli esempi del canto gregoriano e di Palestrina, il che vuol dire che era modale e ieratico.

e) hodie

La storia non si è fermata, nemmeno fra i cristiani.xvi Gli anni ’60 portarono con sé una coscienza politica di “sinistra”. La prassi ebbe la precedenza sul dogma. Un decennio più tardi, si vide una (ri)scoperta della “spiritualità” in cui, ispirata dall’”Oriente”, si associarono preghiera e allenamento corporeo. Iniziò anche la ricerca di un “maestro”, o guru. Seguirono gli anni ’80, un periodo di rinascita dei movimenti carismatici. Dalla fine del XX secolo fino ad oggi, fiorisce il nichilismo, incluso la lotta tragica con la domanda su cosa, in tempi di incertezza socio-economica e di scarsa opportunità di espansione, possa dare un senso alla vita.

Dove, ci chiediamo ancora una volta, si collocano gli appelli? Di che cosa la gente soffre, oggi? Dove trovare sostegno e conforto, soprattutto quando si è giovani? Essendo chiaro che ci vuole discernimento: come può e deve la Chiesa rispondere pastoralmente, oggi?

3. escursione oltre il confine linguistico

Ho parlato di una notevole differenza concernente le scelte liturgiche delle Fiandre e della Vallonia. Per illustrare, ecco una breve escursione illustrativa. Supponiamo di andare da Sint-Joris-Weert a Nethen, due villaggi del Brabante, uno situato nelle Fiandre e l’altro in Vallonia, a circa 5 chilometri di distanza l’uno all’altro, su entrambi i lati del confine linguistico. Già per strada si nota quanto siano diverse le usanze: quando ci si saluto ci si bacia, anche tra uomini; si gesticola di più e si parla anche con le mani. Completamente diversi appaiono anche i banchi dei salumieri e delle panetterie. Il plat du jour costa sensibilmente meno. Sembra che mentre da un lato la vita si svolga un po’ più “à l’aise”, da un altro sia più emotiva ed intensa… Per molti “tedeschi”, tra i quali mi trovo anch’io, la prima sensazione è quella di una liberazione.

Parla da sé che tutto questo dà luogo a ricerche scientifiche politiche, economiche, storiche, antropologico-culturali, linguistiche… che richiedono competenze che non ho. Non so nemmeno in che modo fiamminghi e valloni abbiano imparato a dare forma al loro cristianesimo, né sino a che punto sia corretta la mia impressione che in altre nazioni “romaniche” come la Francia, l’Italia a la Spagna, si siano fatte scelte musicali ecclesiastiche più “popolari” rispetto a quelle “germaniche” dei Paesi Bassi e della Germania…

Tralasciamo il problema dell’estrapolazione. Certo è che, con queste differenze, la Commissione Inter-diocesana Belga per la Liturgia non ha mai avuto alcun problema. Si trattava di scelte pastorali considerate potenzialmente feconde. Oggi, però, in ambedue le parti del paese, le chiese sono quasi vuote. Giovani e bambini si contano su una o al massimo su due mani. Invece della fioritura attesa, constatiamo l’aridità. C’è, forse, qualcosa che ci sfugge?

4. energia

Mi limito innanzitutto ad una situazione con la quale sono familiare: l’Eucaristia nelle Fiandre. Che cosa incontra chi, casualmente o meno, entra in una chiesa dove i cristiani stanno “celebrando”? Questo verbo è degno del suo nome? La gioia di cui si parla è percepibile?

Come musicista, per me è ovvio: nelle chiese, la questione da porsi non é soltanto che cosa si canta ma anche come si canta. Di nuovo, qui mi ritrovo con ciò che si presenta pre-reflessivamente, ovvero con la corporeità e la sensorialità. Oppure, e lo ricordiamo dalla svolta “orientale”: i rituali siano prima di tutto corporei o… non funzionano proprio!xvii

Sono convinto: i cristiani fiamminghi hanno urgentemente bisogno di imparare a cantare.xviii Questo non significa che debbano dedicarsi al bel canto. Si tratta di imparare a lasciar fluire l’energia, per poi canalizzarla. In concreto, sarebbe bello se chi viene a messa imparasse a risuonare, con la voce impostata – per gli occidentali, in termini tecnici: “nella maschera”xix – e a sentire il ritmo dal centro di gravità più basso possibile.xx Sarebbe anche bello se, cantando insieme o assieme all’organo, si riuscisse a sentire come risuona fisicamente un intervallo “giusto” come ad esempio le quarte e le quinte. Bello, infine, se chi canta imparasse a “proiettare” sguardo e voce verso l’altare e gli altri… e quindi imparasse ad “abitare” fisicamente lo spazio di preghiera.xxi

Pian’ piano, si stanno allargando di nuovo le acque in cui stiamo navigando. Va sottolineato, infatti, che la situazione di apprendimento è più bella perché più feconda, quando le persone imparano tutte queste cose in un modo pre-riflessivo, cioè nell’infanzia. Tuttavia: dove ancora si canta in casa? Ovunque, inoltre, l’uso dell’Internet fa sì che le associazioni stanno attraversando momenti difficili: i gruppi esistenti si stanno visibilmente invecchiando, il contatto intergenerazionale diminuisce. Dove trovare la fonte vitale da cui trarre forza, anche per la celebrazione ecclesiale?

5. il compito

Anche di questo sono convinto: o le chiese offrono una comunità… o offrono una mera finzione. Questo è vero nelle Fiandre, è vero ovunque. Tuttavia, è vero che se le chiese vogliono offrire una comunità credibile, devono intraprendere un duplice percorso di dialogo e di autocritica. Oggi si dice: devono diventare “sinodali”.xxii

Il dialogo sembra ovvio ma é essenzialmente nuovo, soprattutto per la Chiesa cattolica romana.xxiii Per secoli, essa si è forgiata una identità coltivando le immagini nemiche: la Chiesa “santa” si oppone al mondo “cattivo”. Anche all’interno le cose erano chiare: l’autorità dettando la legge, ogni deliberazione è inopportuna. Quest’atteggiamento autoreferenziale si è rivelato un vicolo cieco, anche agli occhi della stesso magistero tra cui per primo papa Francesco.xxiv

Oggi, e qui seguo i sociologi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, sia la Chiesa che il mondo hanno bisogno di rispetto reciproco.xxv Il sogno moderno, così dicono, è radicato proprio nel cristianesimo. Quest’ultimo confessava un Dio onnipotente, una salvezza personale e universale, offerta a tutti gli uomini. I moderni hanno sostituito tutto questo rispettivamente con la tecno-scienza, la soluzione terapeutica dei problemi personali, ed una evidente esportazione delle conquiste dell’Occidente, anche in culture con un’etica tanto diversa da quella occidentale. La Chiesa dovrebbe rispondere con un monito: per quanto sia positiva la ricerca del benessere e della felicità, un umanesimo che si aspetta tutto dall’uomo e dalle sue realizzazioni, diventa al contrario subumano.xxvi Da questo non si deduca che essere cattolici coincida con la rassegnazione dalla parte dei loser nei confronti di chi si espande!xxvii Anche la Chiesa professa che, per sperimentare la felicità, bisogna che la persona si permetta di vivere e di svilupparsi, ma altrettanto, se non di più, che quella stessa persona, donandosi in piena libertà e per amore, accetti che venga spogliata dagli idoli di onnipotenza e di narcisismo, come anche dall’illusione di essere arrivata ad un livello di evoluzione insuperabile. Nota: il donarsi cristiano non è un’astrazione. La solidarietà non si limiti alla donazione di denaro a qualche ente di ridistribuzione; inizia a casa, in famiglia, nel quartiere… ovunque delle persone, anche non legate da qualche scopo esterno, si ritrovano insieme. Essa trae la sua credibilità anzitutto dal rapporto concreto che mantengo con le persone che mi stanno accanto.

Allo stesso tempo, le chiese devono guardarsi nel proprio cuore: ciò che offrono risponde davvero alle domande e alla disperazione e la solitudine sperimentate, oggi, da tante persone? Il rispetto e la tolleranza, entrambi valori moderni, sono un punto di partenza necessario. Nelle nostre chiese vive pure la reciprocità basata sulla fiducia, qualunque sia la purificazione che quella può richiedere? Dove un credente può invitare un compagno e dirgli: “Vieni a vedere”?

6. perché cantare?

Sono arrivato al punto cruciale della mia argomentazione: il Jubilus di cui parla Agostino non nasce per necessità mia, ma nostra. Il quid e il quomodo del canto hanno quindi tutto a che fare con il terminus a quo e il terminus ad quem. Tutto ruota intorno all’imparare ad aprirsi all’essere connessi, quale donazione continua ed incondizionata.

Tento un minimo di teologia. La Costituzione Dogmatica Sacrosanctum Concilium dice: la liturgia è Culmen et Fons della vita cristiana. Non dice, quindi, che vita cristiana e celebrazioni liturgiche coincidono. La liturgia nutre la vita cristiana e la innalza non in un modo magico, ovvero non senza che questa stessa vita si apra al dono gratuito di Dio. Anche così si lascia leggere l’“Ora et labora” di San Benedetto: bisogna che i cristiani imparino ad implorare, ringraziare e lodare Dio attraverso tutte le loro azioni. Viviamo, con un’espressione teologica, “in Cristo”: lo Spirito assume la nostra vita nella lode extra-temporale resa dal Figlio risorto al Padre. Di questa lode, l’unica vera Liturgia, la nostra liturgia è un momento di solidificazione. Dio sa che gli uomini ne hanno bisogno: è un dono da parte Sua a noi.xxviii

Sia chiaro: i cristiani celebrano in comunità!xxix Cristo si rende presente tra coloro che pregano. Da qui l’immagine della Chiesa come Suo corpo. La Sponsa Christi non è, come è stato proposto per secoli, la singola “anima”. È il radunarsi di coloro che credono che la vita più autenticamente umana stia nell’essere inclusi nell’energia della risurrezione di Chi, in piena libertà e per amore, si è persino lasciato crocifiggere.

Di conseguenza, se oggi le chiese hanno il compito di offrire una comunità, non sarà innanzitutto volendo formare comunità, ma piuttosto imparando a scoprirla. Perché anche se come uomini non possiamo fare a meno di separarci e di rifiutare la comunione, siamo essenzialmente connessi, tra di noi come con tutto ciò che è. Ecco l’esperienza dalla quale il nostro canto nasce, ecco l’esperienza alla quale il nostro canto ci porta.

7. gli occhi aperti

Le chiese si trovano davanti ad un compito difficile: devono convertirsi. È il compito di sempre. Come chiese Papa Giovanni XXIII nel 1963, la Chiesa presti il suo orecchio ai “segni dei tempi”. Cosa significa, concretamente, oggi?

È ora, forse, che la Chiesa spolveri alcuni dei tesori a Lei affidate.xxx Per primo penso al silenzio,xxxi e quello condiviso. Altro che un mero strumento che permetta all’individuo di reggersi in piedi in un mondo impazzito, il silenzio condiviso invita all’affidamento ed a una fiducia altrettanto condivisi. Allo stesso tempo, la Chiesa deve riscoprire la bellezza della materia:xxxii la materia è la Creazione affidatami, per cui è Parola di Dio tanto quanto lo possano essere le parole; di conseguenza non può essere ridotta ad una mera cosa che mi permette la creatività o l’auto-espressione. Urgente è anche il ritorno al corpo: il corpo è un tempio da scoprire, pulire, nutrire, curare… in un modo permanente. Nella misura in cui lo lasciamo abitare dallo Spirito, é in armonia con il cosmo.

Allo stesso tempo, la Chiesa deve superare diverse paure.xxxiii In termini di liturgia, deve liberarsi dalle “vertigini” che portano a schermarsi da ciò che è considerato elitario: siamo diversi e dotati in misura diversa; il problema non sono le élite, ma piuttosto i privilegi che spesso le élite rivendicano. (O, per dirla in termini musicali: suonare o ascoltare Beethoven non mi rende affatto avverso a ciò che musicalmente è meno stratificato e complesso; proprio il suo genio mi permette di scoprire bellezza in tutto ciò che certi “compositori” provano.) Per quanto riguarda il tessuto sociale, c’è da abbandonare la “paura della profondità”: in ogni essere umano, di qualsiasi classe sociale, ci sono antri oscuri; il punto è di esserci presente senza condannare la persona, affinché possa crescere la fiducia da cui può emergere, in un modo del tutto naturale, l’ascolto reciproco. Infine, bisogna liberarsi dalla “paura della piazza”, ossia della paura di posizionarsi, non in primo luogo in termini di dottrina, ma proprio in termini di umanità.

In sintesi, la Chiesa ha bisogno di riscoprire e valorizzare l’Eros: diventare silenziosi per ascoltare; scoprire la bellezza, perfino nelle molte forme di morire; insegnarci come diventare ogni giorno più sensibili, affettuosi, toccabili… In ogni essere umano, anche se a volte rimasta nascosta in un angolo recondito del cuore, c’è una sensibilità al silenzio, alla bellezza, alla condivisione… come anche un desiderio di sicurezza incondizionata.

Per questa esperienza, il Vangelo ci offre un’immagine di uno splendore unico: Tabor.xxxiv Essere Chiesa significa diventare sempre più aperti alla trasfigurazione, ossia ad una prefigurazione della Pasqua. Significa continuare a sperare, con occhi e cuore aperti verso ciò che è vero e bello, soprattutto dove non me lo aspetto.

8. ritorno a Gand

Il mio pensiero prese spunto dal desiderio di sostenere la mia scelta di canti per i vespri di Gand. Terminò in un confronto con la pluralità: in me convivono un monaco ed un musicista; il mio Paese ospita culture diverse; nel nostro tempo si confessano filosofie diverse. In una situazione del genere, mentre è già bella la pacifica coesistenza, spero si arrivi ad una fecondazione reciproca. Capisco che ogni cosa ha una storia, ed è la mia indole cercare di incorporarla e di impararne. Oggi, mi sembra, questo atteggiamento si traduce in una pazienza fiduciosa.xxxv

Cosa dice tutto questo di Gand? Cosa oserei programmare? Contribuirà a far sì che durante i vespri ci sia “qualcosa da vedere e da sperimentare”, anche per chi passa per caso?

Il vespro segue la struttura della Liturgia Horarum: un inno, tre salmi, lettura e intercessioni… ecc. Siccome per me è fondamentale che il canto non sia un trucco liturgico ma una forza portante, e memore del motto di Marcel Pérès “Les catholiques chantent dans la messe, les orthodoxes chantent la messe”xxxvi, cantiamo tutto! È anche importante, però, sapere dove cantiamo: si tratta di una chiesa nel centro di una città di media grandezza. In un contesto del genere, altro, forse, che in un’abbazia, mi sembra anacronistico adoperare un ordo liturgico maturato e conclusivo tipo il canto gregoriano. Nemmeno cantiamo in una cattedrale, dove, offrendo della musica adatta come quella di, solo per nominare alcuni nomi famosi, Olivier Messiaen, Arvo Pärt, John Tavener… si devono accogliere anche dei fedeli anonimi come ad esempio i turisti. Anche una liturgia di questo genere può invitare ad una partecipazione ‘attiva’xxxvii, ma nel nostro vespro quest’invito si manifesta proprio nel fatto che chi desidera cantare, può farlo.

Sul come cantare, posso essere breve: apprendere a cantare e a cantare assieme è una pura necessità, sicuramente dalle nostre parti, anche se, sicuramente nel contesto attualexxxviii, richiederà uno sforzo. Trattandosi di uno sforzo condiviso, però, esso potrà contribuire a solidificare i rapporti reciproci, Qualcosa di massima importanza.

Riguardo al repertorio, infine, a volte il canto sarà musicalmente un po’ ibrido: sia modale che tonale; sia ritmicamente fluttuante che metrico. Al posto del canto d’ingresso in fiammingo, infatti, a volte cantiamo un brano gregoriano un po’ “popolare” ma da diverse persone conosciuto come ad esempio il Rorate Caeli. In quanto lo permette il budget, poi, per il Jubilus vesperale per eccellenza, il Magnificat, do una commissione compositoria. Ogni canto porterà con sé qualcosa che proviene dai diversi contesti socio-culturali in cui è nato. Per questo, e anche per non frustrare il mio desiderio di offrire un’atmosfera di quiete, sto attento a che, intuitivamente, ciò che cantiamo mi sembri nato dal silenzio, dalla sobrietà, da una purificazione vissuti… Tutto questo nella speranza che pregando insieme, tanto inseriti in ciò da cui proveniamo quanto protesi verso ciò che verrà, siamo inseriti, proprio a partire da ciò che esploriamo localmente a Gand, in un cammino di tutta la Chiesa verso una sintesi nuova.

Proprio riguardo a questa speranza, termino con una confidenza: dopo il vespro, invito a casa il piccolo gruppo di musicisti. Condividiamo la cena. Per me, infatti, cantare e mangiare assieme formano un dittico! Così facendo, in un modo davvero piccolo piccolo, professo un vero mio credo: il canto non sostituisce mai il perché e il percome di un’esposizione e di una cura reciproche. Solo attraverso di esse possiamo dare addio alla decrepita gerarchia tra liturgia e comunità, affinché, di nuovo, liturgia e comunità si fecondino a vicenda. Diventare cristiani significa: avere il coraggio di amarsi, di continuare ad amarsi… e di mostrarlo. Non solo a Dio – Colui in cui, coscienti della nostra impotenza di amarci fino in fondo, possiamo confidare nel più profondoxxxix – ma anche e innanzitutto tra di noi.

iJoris Geldhof, ‘Getijden van het leven’, in: Over liturgie en bidden, red. Joris Geldhof & Thomas Quartier o.S.B., Halewijn, Antwerpen 2016.

iiAndrea Grillo, Iniziazione, Una categoria vitale per i giovani e la fede, Gabrielli, S. Pietro in Cariano (Verona) 2017.

iiiSeguiamo Pierangelo Sequeri, La risonanza del sublime, L’idea della musica in Occidente, Studium, Roma 2010; soprattutto i capitoli I, II, III e IV.

ivPer la psicologia dell’elaborazione di un evento forte, vedi: Giuliano Zanchi, La forma dell’evento cristiano: Gesù, il divino, la religione, in: Parlare di Dio, credere in Gesù, Corso di teologia per principanti en perplessi, Vita e Pensiero, Milano 2022. pag. 33-80

vIn questo campo, i filosofi più noti sono Pitagora e Platone.

viHelen Nolthenius, ‘Liturgie en de benadering van liturgische muziek’, in: Muziek tussen hemel en aarde, De wereld van het Gregoriaans, Vantilt, Nijmegen 2009 (1981), pag. 119-124.

viiMartin Hoondert, Gregoriaans in de steigers, Restauratie en verspreiding aan het begin van de twintigste eeuw, Gooi & Sticht, Kampen 2003.

viiiVedi: Rainer Bayreuther, ‘Die Professionalisierung der Kirchenmusik in 19. und frühen 20. Jahrhundert’, in: Der Gottesdienst und seine Musik, herausgegeben von A. Gerhards & M. Schnieder, Leber-Verlag, Laaber 2014, Band II: Liturgik, pag. 297-316.

ixVedi: Christian Finke, ‘Singen im 20. Jahrhundert’, in: Der Gottesdienst und seine Musik, herausgegeben von A. Gerhards & M. Schnieder,, Leber-Verlag, Laaber 2014, Band I: Grundlegung der Hymnologie, pag. 302-307.

xÈ ovvio che qui mi viene alla mente una lista quasi infinita di compositori: Charles-Marie Widor e, più tardi, Maurice Duruflé; Anton Bruckner e Max Reger… In Belgio: Jacques-Nicolas Lemmens e Edgard Tinel…

xi Vedi: Harald Schroeter-Wittke, ‘Kirchenmusik in einem säkularen Umfold’, in:Der Gottesdienst und seine Musik, herausgegeben von A. Gerhards & M. Schnieder, Leber-Verlag, Laaber 2014, Band II: Liturgik, pag. 308.

xiiPer il panorama degli autori e delle diverse fasi, vedi: Paul De Clerck, ‘Actieve deelname: liturgisch overzicht van Pius X tot Vaticanum II’, in: Jozef Lamberts (red.); De actieve deelname aan de liturgie herbekeken, Honderd jaar na Pius X en veertig jaar na het Concilie, Acco, Leuven 2004; Andrea Grillo, ‘I movimenti del ressourcement‘, in: Il genere del sacramento, Introduzione alla teologia sacramentaria generale, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2022, pag. 92-93. Per la teologia sottostante: Jürgen Mettepenningen & Karim Schelkens, ‘Nouvelle théologie‘, in: Van Concilie tot Concilie, Hoofdlijnen en fragmenten van Kerk en theologie van Vaticanum I tot Vaticanum II, Halewijn, Antwerpen 2010, pag. 108-121.

xiii Dries Bosschaert & Thomas Valgaeren, ‘Populaire muziekgenres, hun verhouding tot religie en de studie ervan’, in: Goddeloze muziek?, Populaire muziekgenres en hun verhouding tot religie, Leuvense cahiers voor Praktische Teologie 2021.

xivGianpiero Gamalieri, ‘La liturgia e il microfono’, in: La Chiesa secondo McLuhan, Il volto sconosciuto del profeta dei media, Verso il Concilio Vaticano III, Armando, Roma 2023, pag. 41-51.

xvAssieme al metro regolare della danza, la ‘tonalità’, con la sua imprescindibile tensione armonica e melodica tra dominante e tonica, forma la base delle costruzioni musicali dalle quali, da piccolo, ogni uomo occidentale è condizionato. Sta alla base della musica classica come anche della musica Pop.

xviSeghiamo Enzo Bianchi, Waarom bidden, hoe bidden?, Lannoo, Tienen 2010, pag. 11-23.

xvii Vedi: Roberto Fassi, Ignazio Cuturello, Davide Magni, Francesco Tomatis, î, la Via del T’ai Chi Ch’üan, Città Nuova, Roma 2012.

xviii Non dimentichiamo Sacrosanctum Concilium 30: Ad actuosam participationem promovendam… cantica, necnon actiones seu gestes et corporis habitus foveantur.

xix Vedi il site ufficiale del cantore Allessandro Brustenghi ofm, frate minore della Provincia Serafica, Umbria.

xx Si tratta di sviluppare l’energia sentita nel ”centro energetico” che si trova alcuni centimetri sotto l’ombelico. In giapponese questo centro si chiama Hara, in cinese Tan Tien. Si veda: Karl Graf von Durckheim, Hara: The Vital Center of Man, Inner Traditions. 2004. 

xxi Vedi Aude Viot Coster, ‘Vers l’oeuvre: épreuve spatiale de l’expérience esthétique’, in: Art et Liturgie, La grâce d’une alliance, Mame, Paris 2023, pag. 67-68.

xxii Andrea Grillo e Paolo Ricca, ‘È possibile condividere la cena del Signore?’, https://www.youtube.com/watch?v=g7hlqcelU0E, ascoltato nel mese di gennaio 2024.

xxiii Marinella Perroni e Andrea Grillo, “Un sinodo per cambiare”, https://www.youtube.com/watch?v=qmJ2DFcF7dU; Andrea Grillo, “Cose nuove e cose antiche: la Chiesa alla prova della sinodalità – incontro con Andrea Grillo”, https://www.youtube.com/watch?v=zffyJ5hU3Fs, ascoltato nel mese di gennaio 2024.

xxiv Cfr. Amoris Laetitia 304.

xxv Per questo paragrafo mi sono lasciato ispirare da Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, La scommessa cattolica, C’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo?, il Mulino, Bologna 2019.

xxvi Su questa evoluzione, l’ interpretazione più profonda che abbia mai letta è quella di quella di Martin Heidegger, Brief über den Humanismus, 1947.

xxvii Come si sa, è questa la critica sul cristianesimo elaborata da Nietzsche.

xxviii Robert F. Taft, ‘Che cosa fa la liturgia?’ Verso una soteriologia della celebrazione liturgica, in: Oltre l’Oriente e l’Occidente, Per una Tradizione liturgica viva, Lipa, Roma, 1999, pag. 259-281.

xxix Per ciò che segue, sia sulla necessità di celebrare in comunità che sul legame tra liturgia e vita, mi sono lasciato ispirare da Leo Di Simone, Liturgia secondo Gesù, Originalità e specificità del culto cristiano, Per il ritorno ad una liturgia più evangelica, Reefrai, Comunità di San Leolino, 2003.

xxx Alla base di questo paragrafo sta un pensiero di Simone Weil, Attesa di Dio, Adelphi 1978, citato e commentato in: Bernardo Gianni, La Città dagli Ardenti Desideri, Per sguardi e gesti pasquali nella vita del mondo, Libreria Editrice Vaticana/San Paolo, Città del Vaticano/Roma 2019, pag. 53-54.

xxxi Thomas Eicker, ‘Katholischer Ansatz einer Theologie der Kirchenmusik’, in: Der Gottesdienst und seine Musik, herausgegeben von A. Gerhards & M. Schnieder, Leber-Verlag, Laaber 2014, Band II: Liturgik, pag. 119.

xxxii Desiderio Desideravi 46.

xxxiii Cfr. Leo Di Simone o.c., pag. 333-387.

xxxiv Cfr. Leo di Simone o.c., pag. 387-395; Bernardo Gianni o.c. Pag. 87-105; Desiderio Desideravi 24-26.

xxxv Arrivato a questo punto, non so resistere al desiderio di citare un testo che mi sta tanto al cuore… ‘Demnach liegt die Gelassenheit, falls man hier von einem Liegen sprechen darf, ausserhalb der Unterscheidung von Aktivität und Passivität…’, Heidegger, Zur Erörterung der Gelassenheit, Neske, Pfullingen1992 (1959), pag. 33.

xxxvi Marcel Pérès, Jacques Cheyronnaud, Les voix du plain-chant, Desclée De Brouwer, Paris 2001.

xxxvii Per una profondissima riflessione sulla possibilità di una actuosa participatio, anche a partire dal solo essere presenti senza dover ‘fare qualcosa’ né capire le parole del canto: Thomas Pott, ‘Een spirituele en mystagogische herbezinning op de actieve deelname’, in: Jozef Lamberts o.c., pag. 81-94.

xxxviii Davanti agli occhi ho le conseguenze della digitalizzazione, ma anche un’”infantilizzazione”, introdotta con le migliori intenzioni nei cori di bambini. Sembra che sia obbligatorio che tutto quello che si fa sia “divertente”, con poca attenzione all’impostazione della voce o al metrum. Agli occhi di un musicista, quest’atteggiamento sembra, capito in un modo negativo, anti-pedagogico.

xxxix È ciò che dice Giuliano Zanchi: nell’eucaristia si vede che quello che facciamo ci trascende; si tratta di noi… come anche di più di noi. Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=Q9vrrrxV-g0, ascoltato nel mese di gennaio 2024.

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