Triduo, ossia tre Pasque, anzi quattro


 

Se è giusto comprendere bene la divisione temporale del Triduo Pasquale e la sequenza di eventi che caratterizzano i tre giorni – ossia Cena e Croce il primo giorno, assenza di eventi il secondo giorno e celebrazione della Veglia e celebrazione eucaristica il terzo giorno – altrettanto interessante è considerare il triduo come una successione di “pasque” che dicono, in modo articolato, il senso della affermazione paolina: “Cristo nostra Pasqua” (1Cor 5,7). In che senso possiamo comprendere questa identificazione della Pasqua con Cristo e di Cristo con la Pasqua? Provo a rispondere identificando tre diverse Pasque, anzi quattro!

a) La Pasqua rituale: la messa in coena Domini

La prima esperienza pasquale (per Israele e per la chiesa cristiana) è la autorevole consegna di “riti di congedo e di presenza”: la frazione del pane, la condivisione del calice e la lavanda dei piedi identificano, sia pure in modo differenziato, una interpretazione radicale della croce. La interpretazione precede la esperienza: questo mette in difficoltà i discepoli, che capiranno la anticipazione solo alla luce della esperienza, comprenderanno la Pasqua rituale alla luce della Pasqua storica. Ma la forza della Pasqua rituale è quella di essere destinata alla ripetizione, a differenza della Pasqua storica, che vale “una volta per tutte”. La esperienza di “non vivere più per se stessi” può ripetersi nel corso del tempo, attingendo all’unico evento, mediante parole e riti autorevoli e toccanti.

b) La Pasqua storica: la morte in croce

La memoria della passione e morte segna l’intera settimana santa: prima nella Domenica delle Palme e poi nella solenne memoria del pomeriggio del Venerdì santo. La croce diventa glorificazione, può essere adorata e sotto ad essa i cristiani possono “comunicarsi”, in una continuità con la celebrazione dell’inizio del venerdì (per noi giovedì sera). La Pasqua storica è l’evento della vita di Dio che attraversa la morte e la riscatta. In quella morte, “tutto è compiuto”. Quella morte rompe la irreversibilità della storia e la porta al compimento, aprendola radicalmente all’amore. La liberazione è al centro della esperienza e il non vivere per se stessi da Gesù assunto come verità del rapporto con il Padre, nello Spirito.

c) La Paqua escatologica: la comunione del Cristo morto con i defunti

Nel silenzio del sabato, accade una Pasqua che è sottratta ad ogni sguardo, ad ogni rito, ad ogni forma esterna: il riscatto di tutti i defunti, la loro liberazione dal peccato, la infrazione delle catene della morte, la parola di vita che attraversa tutta la storia, tutto il passato e tutto il futuro. Il silenzio ecclesiale, rotto solo dal ritmo della preghiera oraria, si prepara a tradurre questo evento invisibile in forma visibile. La liberazione dei defunti precede quella dei viventi. Ricominciando dal fuoco, dalla luce, dall’acqua, dalla parola, dal pane, dal vino, questo tratto “definitivo” qualifica la ripresa dell’ultima esperienza pasquale, quella ecclesiale.

d) La Pasqua ecclesiale: la dimensione battesimale della veglia pasquale

Il punto di arrivo di questa sequenza è sorprendente. Anzitutto perché non è coerente con la sequenza storica dei “fatti”. Per arrivare al “sepolcro vuoto”, la Chiesa deve andare incontro al Signore che ritorna alla fine dei tempi. E il tema della Veglia pasquale è la unicità del battesimo-crisima come incontro liberante con la carne del Crocifisso. La scoperta del sepolcro vuoto trasforma la comunità radunata nel corpo di Cristo. Così è possibile tornare a celebrare l’eucaristia, tre giorni dopo. Il rito consegnato da Gesù, che interpreta la morte in croce, la sepoltura e la discesa agli inferi, diventa luogo ecclesiale di scoperta del sepolcro vuoto, di presenza del Signore anzitutto nell’ascoltare la Parola e nello spezzare il pane. Ma il Signore, che è veramente risorto, si lascia riconoscere solo nell’amore, nella fede, nella speranza. Un Dio immediatamente irriconoscibile, ma vivo e toccante, si percepisce nel prossimo bisognoso. Sono gli ultimi e i piccoli la via al risorto. Per questo S. Agostino ha scritto che tutte le domenica noi celebriamo la “Pasqua di Cristo” (transitus Christi), ma una volta all’anno, proprio nel Triduo, celebriamo la “Pasqua dei Cristiani” (transitus christianorum). Questo “transito” da Cristo alla Chiesa, e dalla Chiesa a Cristo, è il senso della sequenza rituale. Questo “evento ecclesiale”, come esperienza di libertà in Cristo, resta al centro della celebrazione eucaristica per 50 giorni, per 7 settimane, fino al giorno di Pentecoste.

Quando diciamo “Pasqua”, ci riferiamo a questi quattro significati della liberazione in Cristo, che nutrono l’esperienza personale e comunitaria, nel ritmo quotidiano, settimanale e annuale. In lui diventiamo profeti, sacerdoti e re. Un mondo nuovo nasce dalla esperienza che un morto, maledetto, vive per sempre, benedetto. E che la sua benedizione vince ogni maledizione ed è destinata a tutti, ad ogni uomo e ad ogni donna.  Il rito, la storia, il sonno e la veglia annunciano questa notizia sorprendente. Il Signore è veramente risorto, la storia è veramente cambiata, ognuno può essere davvero benedetto.

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