La svista del card. Mueller: “rappresentare” o “rendere presente” il Signore?


In una recente intervista il card. Mueller torna sul latte versato. Aveva già scritto a più riprese sul tema della ordinazione della donna e il suoi testi sono di più di 20 anni fa, alla fine della sua carriera di teologo e sulla soglia dei suoi incarichi episcopali. In quei testi già utilizzava argomenti deboli e vecchi, ad esempio presentando come “insuperabile” la posizione di Tommaso d’Aquino sul tema, senza rendersi conto che Tommaso non ragionava teologicamente, ma sociologicamente e antropologicamente. Ma nella intervista di alcuni giorni fa, che si può leggere qui, Mueller porta alle estreme conseguenze, con una rozzezza che gli è molto facile, un ragionamento errato, che segna le argomentazioni tardo-moderne intorno al tema. Ossia le letture della “simbolica dell’ordine” che enfatizzano la “somiglianza” dell’uomo (e non della donna) al Signore Gesù. L’argomento sarebbe questo: siccome Gesù era un maschio, solo un uomo maschio (e non una donna) può rappresentarlo. Mueller usa, in tedesco, il verbo “darstellen”, che è precisamente “rappresentare”, “mettere in mostra”. Questo argomento ha un precedente medievale in Bonaventura, ma nessun passo di Tommaso d’Aquino autorizza a questa soluzione. E’ interessante, però, che i testi recenti del magistero, compreso Mueller, attribuiscano a Tommaso la paternità di questa idea. Come lo fanno? Interpretando in modo errato, a partire da Inter Insigniores nel 1976, un passo di Tommaso che parla della “somiglianza” richiesta nei sacramenti tra il “segno” e il “significato”. A partire dal testo del 1976, si ripete: “siccome Tommaso dice che tra il segno e il significato deve esserci una certa somiglianza allora per dire “Cristo” occorre un essere simile (un maschio) e non dissimile (una femmina)”. Ma così si mettono in bocca a Tommaso parole che Tommaso non ha mai detto. Tommaso, infatti, quando parla della “necessaria somiglianza” non sta parlando delle donne, ma degli schiavi. E dice: lo schiavo non può essere ordinato, perché non è simile alla “libertà” del Signore. Ciò che per Tommaso è rilevante non è la somiglianza della forma fisica, ma della forma libera: non la anatomia, ma la autorità è in questione. Questo è l’abbaglio di cui è vittima anche il card. Mueller, il quale ha contribuito non poco, da 25 anni, ad avvalorare questa lettura distorta di Tommaso e della tradizione. In questione non vi è il “genere sessuale”, ma la “qualità autorevole del soggetto”. Il mondo che escludeva la donna dalla pubblica autorità (al quale apparteneva Tommaso, ma non apparteniamo noi) è finito. Oggi possiamo riconoscere, tanto ad uomini, quando a donne, di poter “rappresentare” il Signore, nel senso non  di “scimmiottare” o di “reduplicare” o di “personificare”, ma nel senso di “rendere presente”, “ripresentare”, “far agire”, “rendere efficace”. Questo salto di argomentazione, che troviamo già nei medievali, purché lo sappiamo riconoscere anche all’interno di un mondo che non riconosceva la autorità pubblica della donna, ci permette di guardare al riconoscimento della autorità femminile come ad un passaggio che è possibile, formalmente, da ben 60 anni, purché si esca da false rappresentazioni del passato. Per capire in che senso la donna può essere “chiamata” al ministero ordinato bisogna “rappresentare” la tradizione in modo veritiero. Il “darstellen” che fa problema è quello della lettura storica e sistematica, che Mueller “mostra” di avere poco chiara. Con una teologia basata sui pregiudizi, non si va lontano e si rischia di difendere non il depositum fidei, ma le piccole cose di pessimo gusto a cui si era legata non la fede, ma la nostalgia irrazionale per un mondo che non c’è più. Nel mondo di oggi la donna può essere “chiamata”: chi lo nega, nega la storia e anche una migliore comprensione del Vangelo. Essere cattolici non significa essere nostalgici, ma essere universali. Tra nostalgia e universalità non dovremmo avere dubbi dove stia la apertura al Vangelo.

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