I sacramenti e le pericolose semplificazioni. La tesi di un nuovo libro


In un volume da me curato, con testi di Z. Carra, U. Cortoni, M. Gallo, con Prefazione di A. Catella e Postafazione di G. Grandi, studiamo un aspetto rimosso della tradizione sacramentale, ossia la relazione tra la dimensione di “santificazione” e la dimensione di “culto”. Il problema non è soltanto un tema “di scuola”, ma incide profondamente sulla esperienza della fede e sulla identità ecclesiale. Esso chiede alla teologia una “intelligenza del sacramento” che faccia tesoro del sapere liturgico e lo integri sul piano sistematico. Senza questa integrazione si continuerà a scindere strutturalmente santificazione e culto, come fa ancora, di recente, anche un documento magisteriale come la Nota Gestis verbisque del Dicastero per la dottrina della fede (2 febbraio 2024). D’altra parte la netta separazione tra “santificazione” e “culto” sovrintende, dal 1500, alla articolazione curiale tra i dicasteri romani, in cui a una “congregazione per la fede” (che si occupa di santificazione) corrisponde una “congregazione per il culto” (che si occupa del culto). Se per definire la “validità” del sacramento, il culto non ha rilevanza, la tradizione entra in crisi. Questa legittima distinzione, che nel tempo è diventata separazione, impedisce una vera intellegenza degli “oggetti”.  Da questa settimana il volume è disponibile in libreria, pubblicato dai tipi di Queriniana (A. Grillo [ed.], Il dono e il compito del culto. Il sacramento come officium, Brescia, Queriniana, 2024). Pubblico qui la pagina che chiude il volume, in cui riprendo una limpida idea di H. De Lubac, in uno dei suoi libri più importanti per lo studio della tradizione eucaristica. Questa idea ritrova oggi una grande attualità. 

Conclusione (pp. 211-213)

Bisogna stare attenti a non credere – atto più orgoglioso che illuminato – in un unico tipo di intelligenza”

(De Lubac, Corpus Mysticum, 414).

Proprio alla fine del suo grande volume di sintesi, Corpus Mysticum1, H. De Lubac inseriva come penultima nota in appendice un breve testo che ha per titolo Un’illusione della storia della teologia2. In che cosa consiste questa illusione? In uno “schema ingannevole” con cui si contrappone, in modo drastico, la teologia speculativa della scolastica alla teologia precedente, ritenuta semplicemente compilativa e positiva. In realtà la “teologia simbolica dei Padri” alimenta uno stile che arriva sicuramente fino a Ugo di S. Vittore. E prosegue anche oltre, sebbene nasca, con Pietro Lombardo e con Pietro Abelardo un altro stile, che si affermerà largamente e diffusamente nei secoli successivi. Alla fine De Lubac osserva che

“bisogna stare attenti a non credere – atto più orgoglioso che illuminato – in un unico tipo di intelligenza” (414).

Questo testo di De Lubac, come è noto, era stato elaborato prima in una serie di articoli ed era già pronto nel 1938, ma venne pubblicato solo nel 1949 e subito fu travolto dalla tempesta che nel 1950 si scatenò sulla scuola di Lyon Fourvière. Venne così ritirato dalle biblioteche della Compagnia di Gesù e ritirato dal commercio. A distanza di più di 70 anni, con tutto ciò che nel frattempo è accaduto alla Chiesa e alla teologia, alla “fortuna critica” di De Lubac e alla forma della celebrazione eucaristica, possiamo riconoscere ancora presente, nelle menti e nei corpi, quella “illusione” e quello “schema ingannevole”. Non certo nelle forme che De Lubac ha contribuito a criticare: nessuno pensa oggi alla teologia scolastica come a “la” forma del pensiero teologico cattolico. La “sapienza patristica” è oggi molto più diffusa, presente ed efficace di 70 anni fa, quando proprio la scuola di Fourvière dava inizio alla pubblicazione delle “Sources Chrétiennes”! Ciò che in questo volume abbiamo imparato da H. De Lubac è la critica ad una gestione troppo “formale” della sapienza intorno ai sacramenti, ricondotti ad un “unico tipo di intelligenza” e ad una sorta di condanna alla “efficacia estrinseca”. Lo sviluppo della coscienza ecclesiale, in questa parabola di tre generazioni, ci ha offerto una “intelligenza plurale” dei sacramenti, che non oscilla più semplicemente tra “speculativi” e “positivi”, o tra “scolastici” e “patristici”. Come abbiamo visto non solo è nata una “intelligenza liturgica” dei sacramenti che ha potuto svilupparsi grazie al Concilio Vaticano II, ma anche una “intelligenza officiale” dei sacramenti che prima ha coperto, in modo autorevole, lo spazio di un mezzo millennio, tra Isidoro e Pietro Lombardo, ma che poi è rimasta, accanto al sapere scolastico, come sapere cerimoniale, giuridico e morale intorno ai sacramenti. Non è difficile vedere come la intelligenza liturgica si sia mossa precisamente nello spazio teorico del “de officiis”, ma con un ripensamento radicale della azione rituale, solo ora intesa come “fonte e culmine” di tutta l’azione della Chiesa. Così gli sviluppi postconciliari della prassi celebrativa hanno portato ad una nuova intelligenza rituale dei sacramenti, che oggi può trovare alcuni suoi presupposti nel “sapere officiale” sviluppatosi tra il VI e il XI secolo, poi superato dal sapere scolastico, ma rimasto come “registro pratico” della intelligenza sacramentale. Il fatto che questo “registro della pratica” sia diventato importante, per non dire decisivo, per la intelligenza del sacramento costituisce il centro della attenzione di tutto questo libro, che ha ereditato da De Lubac il superamento di “illusioni ingannevoli” e ha provato ad elaborare “schemi meno ingannevoli” per offrire diversi “chiarimenti”, nella speranza che questi lampi di luce, nello loro mescolanza di antico e nuovo, siano capaci di salvare i sacramenti e la liturgia come decisivi fenomeni simbolici: proprio la non univocità, per quei simboli rituali che sono i sacramenti, non si presenta affatto come un limite, bensì come la forma più tipica della loro autorità.

1Cfr. H. De Lubac, Corpus Mysticum. L’Eucaristia e la Chiesa nel Medioevo, Milano, Jaca Book, 1982 (ed. erigi. 1949)

2La nota F si trova in De Lubac, Corpus Mysticum, 411-414.

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