Messaggi presunti e frutti senza radice. La Nota su Medjugorje e i suoi problemi


Vorrei proporre qualche riflessione sulla recente Nota del Dicastero per la dottrina della fede, “La regina della Pace”, che reca, come sottotitolo, un riferimento alla “esperienza spirituale” legata a Medjiugorje. Avverto, fin dai primi numeri, la positiva fatica del testo di uscire da un modo classico dei pronunciamenti romani. Ovviamente il prezzo pagato a questa evidente novità appare molto alto. Questo non perché si debba restare necessariamente sulle forme classiche di espressione del magistero, ma perché le forme nuove, come quella che qui appare con chiarezza, esigono formulazioni limpide e deliberazioni non contraddittorie. Nel testo si fa notare, già nelle prime righe, che questa “storia” deve trovare una fine. Ma la fine è possibile solo se si dicono cose lineari, non se ci si contorce in affermazioni e negazioni sugli stessi temi. Il documento ha una struttura molto chiara (ma a mio parere inadeguata): dopo una breve premessa (ma non irrilevante) affronta prima i “frutti” e poi i “messaggi”. Quasi a lasciare intendere che i frutti non dipendano dai messaggi e i messaggi non condizionino i frutti. Ma esaminiamo meglio i tre passaggi.

a) Premesse

Nei primi due numeri si cerca di orientare la lettura complessiva, sia escludendo temi, sia precisando l’uso dei testi. Che la perfezione morale dei “veggenti” non sia richiesta è un dato, ma che con il termine “messaggi” si debba sempre intendere “presunti messaggi” è una affermazione piuttosto azzardata. Il culto pubblico su cui, alla fine, si afferma il “nihil obstat”, si fonda su messaggi, la cui riferibilità a Maria viene lasciata con un punto interrogativo grosso come una casa. Può essere questo sufficiente? E’ possibile cavarsela con una affermazione apparentemente marginale, ma decisiva (e ripetuta al n.37), che suppone come tutta la seconda parte del testo, integralmente dedicata all’esame dei “messaggi”, abbia a che fare con una “presunzione” (sia in senso conoscitivo, sia in senso morale)? Altrettanto problematica è la presentazione della oggettività dei contenuti positivi dei messaggi, mentre quelli negativi sono così definiti “secondo l’opinione di alcuni”. Da un lato messaggi e veggenti sono solo “presunti”, ma dall’altro il positivo è presentato come oggettivo, mentre il negativo sembra solo il frutto della opinione di alcuni.

b) Frutti

Non vi è dubbio che le esperienze che ruotano intorno a Medjugorje presentino anche elementi di ricchezza e di intensità, sia sul piano della pratica cultuale, sia sul piano della vita dei soggetti. Ma il fondamento di questi frutti è chiaramente fondato sul ritmo settimanale dei messaggi, che creano una aspettativa verso i veggenti e verso i messaggi stessi. Staccare i frutti da questa mediazione “presunta autorevole” è un errore di metodo piuttosto grossolano. E’ vero che in questo modo il documento introduce una novità di linguaggio e di procedimento piuttosto ragguardevole. Ma è altrettanto vero che questa novità sembra più “dare un colpo al cerchio e uno alla botte”, che fornire una chiave ermeneutica del fenomeno. E’ possibile proclamanre cose false e produrre vita evangelica? Così dovremmo abituarci a pensare?

c) Messaggi

Una analisi così dettagliata dei messaggi tende a far tramontare, lungo il testo, quella avvertenza iniziale che aveva inteso sottolineare la qualità “presunta” dei messaggi. La lunga elencazione delle diverse tipologie di messaggi, una volta assunta in una Nota di un Dicastero romano, tende a produrre un oggetto autorevole, mentre in realtà lavora su testi privi di alcuna autorità. Questa non è la prima volta che accade negli ultimi anni. Come non ricordare il lungo lavoro dedicato da una Sezione della allora Congregazione alla “riforma del Messale del 1962” che ha prodotto nel marzo del 2020, in piena pandemia, due documenti fantasma, presto dimenticati? Perché mai si dovrebbero dedicare categorie così altisonanti (pneumatologia, cristologia, comunità, spiritualità…) a testi senza alcuna autorità? Qui una certa distorsione dello sguardo, che parte dai frutti e arriva ai messaggi, porta a giustificare un “culto pubblico” nonostante la precarietà allarmante di molti messaggi. Quasi che la vita santa, eventualmente generata, sia indipendente dalle parole annunciate e dai soggetti che pretendono di riferirle alla Gospa.

d) Conclusioni

Vorrei concludere su due piani. Il primo è quello delle conseguenze del documento, che restano nella ambiguità delle premesse. Da un lato infatti i nn. 38, 39 e 40 dicono una cosa e anche il suo contrario: si afferma il nihil obstat sul culto, ma si sottopone ogni futuro messaggio a controllo. Si lascia libero ogni fedele di aderire o di non aderire a questo “culto”, ma allo stesso tempo si raccomanda a pastori e fedeli la fecondità di questa esperienza spirituale. Addirittura si arriva ad affermare, al n. 38: “si è potuto registrare che in mezzo ad un’esperienza spirituale si sono verificati molti frutti positivi e non si sono diffusi nel Popolo di Dio effetti negativi o rischiosi.” Questa esclusione di effetti negativi o rischiosi viene tuttavia contraddetta dalla facoltà con cui si lascia ai singoli vescovi diocesani di “apprezzare il valore pastorale” di questa esperienza, oppure di non farlo.

Sul secondo piano mi sembra di poter rilevare, ancora una volta, una medesima tendenza del Dicastero sotto la Prefettura del Card. Fernandez. La volontà di seguire “nuove strade” appare del tutto apprezzabile. Ma gli effetti di questa “rimodulazione” lasciano ancora una volta assai perplessi. E’ accaduto per le “non-benedizioni” di Fiducia supplicans, è accaduto per lo strapotere delle formule in Gestis verbisque, e accade anche per questa “storia” di Medjugorie, dove il tentativo di separare i frutti dai messaggi, e i messaggi dai frutti, approda non ad una soluzione, ma ad una non-soluzione. Roma ha parlato e tutto resta come prima. Nello stesso giardino la lucertola trova l’insetto, la mucca l’erba e il gatto il topo. In questo giardino, anche il Figlio “uno e trino” non è poi un errore così grave. Basta che aumenti il numero dei Rosari e dei Pellegrinaggi e tutto si può sopportare.

Share