Il “genus abruptum” di un chiarimento: comunicazione e commento
In un largo ambito di lettori, anche tra padri e madri sinodali, la comunicazione del Prefetto Fernandez è parsa il seguito (la quinta puntata) di una sequenza infelice, che non riesca a uscire dal gorgo di una relazione mancata, distorta e comunque compromessa. E più si va avanti e più le cose diventano confuse. Ma andiamo per ordine ed esaminiamo punto per punto il comunicato di ieri mattina. A chi mancassero le 4 puntate precedenti, suggerisco di leggerle qui.
Iniziamo l’esame della Comunicazione, paragrafo per paragrafo, commentandoli punto per punto (in tondo il testo originale e in corsivo il mio commento):
a) Comunicazione del Cardinale Victor Manuel Fernandez nella XIII Congregazione Generale del Sinodo
Lunedì 21 ottobre 2024, mattina
Voglio chiarire che il Gruppo 5 è coordinato dal Segretario dottrinale del Dicastero per la Dottrina della Fede. Venerdì scorso aveva un intervento medico ed ha proposto al suo posto due persone molto capaci di ascolto per recepire le proposte. Dopo ho saputo che alcuni si aspettavano la mia presenza ed ho offerto una riunione giovedì alle 16.30.
– Nel mondo comune, quello normale, quello abitato da relazioni ordinarie, se ci sono motivi di salute per non intervenire ad un appuntamento importante, si dicono prima, non 4 giorni dopo. Ma se si tratta della mancanza forzata di chi può rispondere del lavoro fatto da un gruppo di lavoro, cosa che può sempre capitare e non scandalizza nessuno, non si mandano avanti dei “subordinati” che non hanno altra funzione se non distribuire indirizzi e-mail e trascrivere le domande come diligenti scolaretti. Neppure sembra lineare che il Prefetto sappia, solo dopo, di essere stato atteso e che abbia fissato, a posteriori, un incontro per giovedì. Tutta questa ricostruzione è fragile, vacillante, sembra venire da un mondo trasognato e scostante, reso possibile solo ipotizzando una “societas inaequalis”, che degna di attenzione una Assemblea, ma con misura e senza esagerare.
b) Sappiamo che il Santo Padre ha espresso che in questo momento la questione del diaconato femminile non è matura ed ha chiesto che non ci intratteniamo adesso su questa possibilità. La commissione di studio sul tema è giunta a delle conclusioni parziali che faremo pubblicare al momento giusto, ma continuerà a lavorare.
Il primo argomento che il Prefetto richiama è un “sappiamo”, che non risulta da nessun testo ufficiale, circa una volontà del papa di non affrontare la questione del diaconato. E’ invece chiara e ripetuta una intenzione del papa, che il Prefetto non sembra affatto ricordare, secondo la quale i Sinodi non si fanno per dire quello che vuol sentire il papa, ma per dare voce al popolo di Dio. Chi ha autorizzato il Prefetto a levare la parola al Sinodo su un tema specifico come l’accesso della donna al diaconato? Iniziare dal “principio di autorità” la propria risposta non aiuta a entrare in sintonia con la domanda che viene dalla Assemblea. D’altra parte dire che la Commissione di studio è giunta a conclusioni che “faremo pubblicare al momento giusto” (e chi dice quale sia il momento giusto, se le conclusioni sono già state raggiunte?) si contraddice poi con la assicurazione sulla continuazione del lavoro da parte della stessa commissione. Anche qui, una certa confusione denota queste righe iniziali, alquanto incerte.
c) Invece il Santo Padre è molto preoccupato per il ruolo delle donne nella Chiesa e, prima ancora della richiesta del Sinodo, ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della Fede di esplorare le possibilità di uno sviluppo senza concentrarci sull’ordine sacro. Noi non possiamo lavorare in una direzione diversa, ma devo dire che sono pienamente d’accordo. Perché?
– In questa terza proposizione il Prefetto Fernandez raggiunge il massimo della contraddizione: il ruolo della Donna nella Chiesa può essere sviluppato dal Dicastero “senza concentrarci sull’ordine sacro”. E poi aggiunge “noi non possiamo lavorare in una direzione diversa”: ma con chi si identifica questo “noi”? Certo questo vale per il Dicastero. Ma è forse vincolante per la Assemblea del Sinodo? Fernandez dice “noi”, ma vuole intendere “voi”? Forse egli vuole ridurre il Sinodo ad una “sezione minore” del suo Dicastero? Ma il bello deve ancora venire, perché fin qui Fernandez si è limitato ad assumere alcuni fatti (almeno alcuni dati che a suo avviso risultano autorevoli) senza spiegarli. Ora invece arriva alla fatidica domanda: perché? Le proposizioni seguenti si inerpicano sul ghiaccio scivoloso delle argomentazioni.
d) Perché pensare al diaconato per alcune donne non risolve la questione dei milioni di donne della Chiesa. D’altra parte, noi non abbiamo ancora fatto alcuni passi che invece potremmo fare. Vi do solo alcuni esempi:
Quando si è creato il nuovo ministero del catechista, il Dicastero per il Culto divino ha inviato una lettera alle Conferenze episcopali. Lì ha proposto due forme diverse di configurare il ministero. Una era collegata alla guida della catechesi. Ma la seconda accoglieva quanto aveva detto il Papa in Querida Amazonia sulle catechiste che sostengono le comunità in assenza di preti, donne che sono in capo, guidano le comunità e svolgono diverse funzioni. Le Conferenze episcopali potevano accogliere questo secondo modo, ma pochissime lo hanno fatto. Questa proposta era possibile perché il Papa aveva spiegato nei suoi documenti che la potestà sacerdotale, collegata ai sacramenti, non necessariamente si esprime come potere o autorità, e che ci sono forme di autorità che non richiedono l’ordine sacro. Ma questi testi non sono stati recepiti.
– Primo perché: il diaconato sarebbe esperienza di poche donne, mentre il vero problema è la autorità di tutte le altre donne. Una argomentazione che mi ricorda quella di economisti che si improvvisano teologi e dicono che le donne devono essere difese dal clericalismo, tenendole lontane dal ministero ordinato. Il secondo “perché” è invece legato alla recentissima apertura delle donne al ministero del catechista. Fernandez, volendo essere realista, idealizza una riforma che ha solo 3 anni e la giudica come se fosse una tendenza degli ultimi 3 secoli. Qui, metodologicamente, slitta paurosamente sul ghiaccio: anche perché egli evoca una “autorità che non richiede l’ordine sacro” come se fosse una realtà, ma è solo una idea, essendo il diritto canonico quello che è. Insomma, i primi due “perché” sembrano non spiegazioni, ma deduzioni indebite o su fenomeni recenti o su intenzioni non meglio precisate.
e) L’accolitato per le donne è stato concesso di fatto in piccola percentuale nelle diocesi, e molte volte sono i preti che non vogliono presentare donne al vescovo per questo ministero.
– E allora? In che senso questo sarebbe la risposta al “perché” l’accesso della donna al diaconato sarebbe prematuro. Si potrebbe invece capovolgere facilmente l’argomento. La resistenza delle donne (e dei preti) all’accolitato forse dipende da una comprensibile scarsa volontà di essere istituite nella funzione di “chierichette”. Perché mai Fernandez esclude questa possibile ragione, che sembra molto comprensibile?
f) Il diaconato per i maschi: in quante diocesi del mondo è stato accolto. E dove sono stati accolti, quante volte sono solo chierichetti ordinati?
A parte la formulazione infelice (sono maschi anche i futuri preti, ad es.) e la mancanza di rispetto per molti diaconi permanenti, che si vedono pesantemente etichettati dall’alto in una riga di testo, forse questo esito deludente dipende proprio da un progetto ecclesiale sul diaconato che è “minore”: se il diacono deve essere “a titolo gratuito” come potrà diventare un ministero? Se scegliamo come diaconi permanenti solo “maschi sistemati (o pensionati)” è colpa del diaconato o della nostra prospettiva che lo interpreta? Forse proprio la caduta della riserva maschile sul diaconato potrebbe riaprire anche la teologia e la pastorale a nuove possibilità.
g) Questi pochi esempi ci fanno capire che affrettarsi a chiedere l’ordinazione di diaconesse non è oggi la risposta più importante per promuovere le donne.
– No, proprio qui non ci siamo affatto. Qui si scivola irrimediabilmente. Gli esempi non ci fanno capire per nulla quello che Fernandez vorrebbe suggerirci. Ed è proprio l’uso disinvolto di alcuni esempi male assortiti, come se fossero dimostrazioni, che lascia intendere la difficoltà di comunicazione di tutta questa vicenda. Il lavoro sinodale ha manifestato che della promozione della donna fa parte anche la ordinazione diaconale. Per negarlo occorrono argomentazioni, non esempi che non dimostrano nulla. La questione è il riconoscimento della donna nello spazio pubblico come “segno dei tempi”. Ciò che Fernandez definisce “prematuro” era già evidente 60 anni fa: come fa a non accorgersene?
h) Per alimentare la riflessione ho chiesto che si mandino al mio Dicastero testimonianze di donne che sono veramente a capo di comunità o che svolgono ruoli importanti di autorità. Non perché siano state imposte alle comunità, o come risultato di uno studio, ma perché hanno acquistato questa autorità sotto l’impulso dello Spirito di fronte ad un bisogno del popolo. La realtà è superiore all’idea. Questa è la linea di lavoro in questa tappa. Chiedo specialmente alle donne membri di questo Sinodo che aiutino a recepire, esplicitare e far pervenire al Dicastero diverse proposte, che possiamo ascoltare nel loro contesto, su possibili vie per la partecipazione delle donne alla guida della Chiesa. In questa linea aspettiamo proposte e riflessioni. Giovedì dunque ascolterò idee sul ruolo delle donne nella Chiesa. Per quelli che erano molto preoccupati per le procedure e i nomi, lo spiegherò giovedì e darò i nomi stessi, così da associare dei volti a questo lavoro.
– Alla luce del discorso condotto fin qui, il Prefetto giovedì prossimo si dispone ad ascoltare la Assemblea soltanto su queste “testimonianze di donne” e su “possibili vie di partecipazione delle donne alla guida della Chiesa”. Certo, questo nelle intenzioni è chiaro, anche se può apparire un poco arbitrario: ma quando si arriva al punto-chiave, si torna in realtà al punto di partenza. Per avere una qualsiasi autorità di “guida” nella Chiesa oggi occorre essere ministri ordinati. Questo è il dato giuridico attuale, che non ci possiamo nascondere. Nessuna giurisdizione si dà senza ordine. Se le parole hanno un senso o Fernandez intende letteralmente rivoluzionare il Codice di Diritto Canonico, per attribuire alle donne (ad alcune, non a milioni) un potere di giurisdizione senza alcuna ordinazione, oppure, se vuole essere moderato, dovrà riconsiderare la ordinazione come la via ordinaria con cui alle donne, come agli uomini (ad alcuni, non a milioni) si attribuisce una autorità. Bisogna poi aggiungere che tutti i gruppi sono stati già dal luglio scorso identificati con un completo elenco di nomi. Solo il gruppo 5 aveva come riferimento esclusivo il Segretario del Dicastero per la Dottrina della fede. Perciò, se proprio dobbiamo dirla tutta, l’eventuale difetto non sta in chi è preoccupato oggi di nomi e procedure, ma in chi non si è preoccupato da mesi di fornire nomi e volti al lavoro in fieri.
i) Nonostante quanto detto, per coloro che sono convinti che si debba approfondire la questione del diaconato femminile, il Santo Padre mi ha confermato che continuerà ad essere attiva la Commissione presieduta dal Cardinale Giuseppe Petrocchi. I membri del Sinodo che lo vogliono – sia individualmente che come gruppi – possono inviare a quella Commissione considerazioni, proposte, articoli o preoccupazioni su questo tema. Il Cardinale Petrocchi mi ha confermato che i lavori riprenderanno nei prossimi mesi e analizzeranno i materiali che sono arrivati.
– All’ultima curva, prima dell’arrivo, quello che era chiuso si socchiude e la Commissione, di cui si pubblicheranno le conclusioni prima o poi, ancora lavorerà e potrà finalmente trovare qualche strada, purché si tratti di mesi, forse di anni e nel frattempo, depositata nel cassetto, invecchiando noi tutti e perdendo anche la memoria, ce la troveremo risolta senza mai averla affrontata. Cosicché da prematura si trasformerà in marcia. E si potrà anche dire che le conclusioni, una volta pubblicate, saranno già vecchie, perché intanto un fior di lavoro si sarà rimesso in moto, di certo garantito come moto perpetuo.
l) Amiche e amici, sono convinto che possiamo andare avanti passo a passo, ed arrivare a cose molto concrete, perché si possa capire che non c’è niente nella natura della donna che impedisca che esse abbiano posti molto importanti per la guida delle Chiese. Quello che viene veramente dallo Spirito Santo non si potrà fermare.
– In extremis, ecco anche la profezia: le cose “molte concrete” arriveranno, la natura della donna è senza impedimenti per la guida della Chiesa, e lo Spirito Santo nessuno lo potrà fermare. Un bel happy end ci voleva, lo richiedeva la situazione e lo spirito di corpo. Ci sarà anche chi potrà citare solo questo per consolarsi, o per arrabbiarsi di brutto. Forse qui sta la vera intenzione di Fernandez. Forse così avrebbe voluto non finire, ma iniziare: ma se fosse davvero così, tutto ciò che precede avrebbe dovuto essere detto ed espresso con altro tono e con altro stile, con maggiore esattezza e con più fini distinzioni. Purtroppo siamo invece alla quinta tappa di una commedia degli equivoci. A modo suo sarà difficile che non appaia anche come una piccola tragedia, prima di tutto per come le donne devono ancora una volta vedersi trattate, nominate e rimosse: ma loro possono consolarsi, perché la riserva maschile, quando non riesce ad esprimersi che così, assomiglia sempre di più ad una riserva indiana.
Caro Andrea, fai bene a chiarire tutti i passaggi ed evidenziarne il processo di riduzione se non di chiusura. Ti inviamo a seguire un testo, che ieri abbiamo inviato al Giornale di Sicilia, se può entrare, a latere, nel dibattito in corso, ma che neppure è… dibattito.
Diaconessa è bello!
Papa Francesco ha pubblicato da poco il bel testo Sei unica, inno al genio femminile (Pienogiorno, Città del Vaticano 2024), esaltando le qualità della donna con punte di profondo realismo e lirismo. Ma in questi giorni il papa, assecondando anche pressioni di stampo tradizionalistico, è pure intervenuto per rinviare l’accesso della donna al diaconato ritenendo non ancora maturi i tempi per questo primo grado del ministero ordinato. Offriamo qualche considerazione a partire da questa frenata.
Ci chiediamo: ma, finora a che cosa è servito il diaconato dei maschi? Pur nella poca esperienza che abbiamo, temiamo che esso abbia avuto poca visibilità e incidenza sia all’interno della Chiesa che all’esterno di essa; diciamo ‘all’esterno’ perché, trattandosi di un servizio da rendere ai poveri di vario genere, esso avrebbe dovuto avere anche una qualche visibilità nella vita sociale. Invece assistiamo a un dato di fatto che dà da pensare. Da un lato, continua a proliferare un volontariato concreto e radicale, che impegna laici, suore, giovani nel servizio di poveri, malati, disadattati, extracomunitari: a Palermo, in particolare, ricordiamo l’ampio servizio di accoglienza offerta dalla “Missione speranza e carità” fondata da Biagio Conte e portata avanti dalla sua comunità. Ebbene, queste persone che rendono generosamente il loro servizio in spirito cristiano, agiscono senza avere ricevuto il ministero del diaconato. Dall’altro lato, a parte qualche eccezione di diacono impegnato nel servizio della Parola e degli ultimi, la maggior parte dei diaconi vivono il loro diaconato non a fianco delle persone bisognose quanto piuttosto in curia, dietro una scrivania o compiendo per lo più qualche gesto liturgico.
Per favorire una ricomprensione del diaconato (maschile e femminile) urge che venga coltivato in tutta la società lo “spirito di servizio”, ovvero quel disporsi benevolo degli uni verso gli altri, che mette a frutto le proprie capacità e competenze, finalizzandole al miglioramento della vita e alla tessitura di costruttive relazioni sociali. Stiamo pensando, per esempio, al servizio ospedaliero, al servizio scolastico, al servizio culturale, ai servizi cittadini. Sì, proprio in ciascuno di questi ambiti c’è bisogno che si faccia strada la voglia di rendersi utili e l’orgoglio di saperlo fare. Cosa ci potrebbe essere di più bello di un ospedale dove tutto il personale (sanitario e amministrativo) si finalizza nel servizio all’ammalato facendolo sentire ben ospitato, in ospedale? E cosa di più bello di una scuola dove tutto si armonizza sincronicamente per la ‘promozione’ culturale, sociale e politica dei ragazzi/ragazze in vista di un loro inserimento libero e creativo nella società? Il tutto si potrebbe ricondurre a quella intestazione bella, che ancora risuona nel termine aulico e solenne di ‘Ministero/Servizio della Salute, della Scuola, della Cultura”! Su questo sfondo ‘ministeriale’ faremmo bene a dare rilevanza al lavoro, alla professione come la prima modalità di servizio che qualifica ogni cittadino. Infatti, i servizi sono espressione del servizio reciproco degli uni agli altri, a partire dalle proprie professionalità, messe a frutto nel circuito della vita comune. Lo sappiamo che le relazioni sociali rischiano di essere compromesse dalla competizione escludente, dall’efficienza spesso spersonalizzante; tutto questo crea quel grigiore negli uffici e nei servizi, che tendono a estraniare le persone anziché avvicinarle. Ma non possiamo rinunziare, però, a rilanciare la bellezza della costruzione sociale come dimensione che ai problemi e ai bisogni comuni cerca di offrire servizi che siano soluzioni comuni e per tutti. Solo ripartendo da questa riscoperta dell’humus profondamente umano della diaconia reciproca potremo tentare di cogliere l’ulteriore specificità del diaconato sacramentale.
E la donna? Senza volere rinchiudere o esaurire la sua identità nell’aspetto generativo, siamo convinti che la donna è la prima titolare del servizio, della diaconia alla vita; il seme della vita da lei viene accolto, portato in grembo, sviluppato, faticosamente portato alla luce e accompagnato nel suo sviluppo in un rapporto di generatività che non finisce mai perché la donna è già predisposta somaticamente a dare spazio a un’altra vita dentro se stessa. A questo punto, verrebbe la voglia di chiedere: a che titolo i maschi possono vantare l’attitudine al diaconato se il loro servizio alla vita, per quanto responsabile e impegnativo, è conseguente e si accompagna a quello più continuo e viscerale della donna? Non vogliamo suscitare competizione ma semplicemente prospettare che maschi e femmine (con le proprie differenze) solo stando insieme possono arricchire la società e, perché no, costituire un motivo di ripensamento della stessa ministerialità nella Chiesa.
Don Francesco Romano – don Cosimo Scordato