“Dignitatis Humanae Vitae”: Papa Francesco nei “discorsi americani” al Congresso e all’Onu


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Dignitatis Humanae Vitae”

Papa Francesco nei “discorsi americani” al Congresso e all’ONU

Le reazioni alle parole di papa Francesco a Washington e a New York appaiono molto limpide nel mostrare la novità del suo magistero e la difficoltà nel mettersi in vera sintonia con esso. Due sono i nuclei teorici intorno a cui le sue parole chiare e dirette, anche se garbate e cesellate con cura, sono risuonate sul Capitol Hill e ai piedi del Palazzo di Vetro. Da un lato la insistenza nuova e sorprendente sul tema dei “diritti” e della libertà del singolo. E’ una ripresa, assunta dalla prospettiva “americana”, del grande dettato del Concilio Vaticano II. In particolare del suo nuovissimo magistero sulla “libertà religiosa” e sulla “libertà di coscienza”. Di qui viene tutta la forza della denuncia della “cultura dello scarto”, e, insieme ad essa, del fondamentalismo religioso, politico ed economico. Nella terra in cui il fondamentalismo è nato – scaturendo da letture non equilibrate della tradizione religiosa cristiana di fronte al sorgere del liberalismo – la forza di questo grido in difesa del diritto di ogni singolo, di ogni persona, è risuonata potente e sorprendente. Questa è la eredità di “Dignitatis Humanae”, ripensata e riproposta, 50 anni dopo, con uno sguardo “periferico” e con risonanze inattese. Ma, insieme a questo, è emersa con altrettanta forza, anche se con linguaggio assai nuovo, la richiesta di una “trascendenza” della “natura”, della “persona”, della “vita”. La ammissione che una cultura dei diritti non regge se il soggetto che li rivendica dimentica di essere “trascendenza a se stesso” e “non autosufficiente”, appare come una audace e coerente traduzione del “realismo” e della “ontologia” classica in termini non statici e non oggettivistici. In questo caso è la tradizione cui appartiene anche “Humanae Vitae”, ma liberata di quella non piccola percentuale di fondamentalismo e di oggettivismo che la rende non più ripetibile oggi come tale. Per essere difesa, deve essere tradotta. Se non viene tradotta, produce divisione e perdita di comunione. Potremmo dire, allora, che in Francesco scopriamo, con grande sorpresa e non senza gioia, l’apparire, nel linguaggio del Magistero papale, di una audace traduzione della tradizione, che si fa carico di uscire dalla doppia strettoia del soggettivismo relativistico e dell’oggettivismo fondamentalistico. Se paragonate con le lucide parole dei due discorsi papali, l’appello a “salvaguardare Humanae Vitae” firmato da 50 teologi moralisti, duramente irrigiditi nelle loro monolitiche categorie classiche, assomiglia molto al tentativo di “restare tolemaici” in un mondo in cui Copernico e Galileo hanno dischiuso orizzonti nuovi, vite promettenti e relazioni più intense. Non solo Dignitatis Humanae, dunque; non solo Humanae Vitae, certamente. Piuttosto una nuova sintesi, che tenta di uscire dalle strettoie del relativismo e del fondamentalismo, facendo tesoro di una relazione fondata e di un fondamento relazionale, cui restituire autorevolezza senza autoritarsimo, cui riconoscere vera libertà nella comunione. Si potrebbero intitolare questi due grandi “discorsi americani” di Francesco: Dignitatis Humanae Vitae

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