Anche nelle prigioni si costruiscono presepi: il caso dello scultore Nicola Sebastio


Uno dei re magi (1)Nicola Sebastio (1914- 2005) è stato scultore allievo di Giorgio Morandi e di Oskar Kokoschca e protagonista dell’arte sacra del XX secolo. Lascia disegni, bassorilievi, sbalzi su lastre metalliche, sculture a tutto tondo realizzate per privati e per opere pubbliche, per arredi liturgici nelle chiese in particolare. Chiamato alle armi nel 1942, assegnato al 540° Battaglione Costiero in Sicilia, dove tra 9 e 10 luglio 1943 iniziò lo sbarco degli alleati detto in codice operazione di Husky, venne catturato subito dagli inglesi e internato in Egitto nel campo di prigionia 304.

Quasi per opporsi al senso di panico provato durante il viaggio in nave, scolpì come mai aveva fatto prima. Ricorda: “[…] prendendo per caso un coperchio di latta e battendolo con un ferro, mi accorsi che questa cedeva. Rozzamente vi sbalzai un pesce”. Quest’abilità fu la sua buona stella per muoversi nel campo di prigionia. Con le incisioni sulle scatolette delle derrate alimentari, aperte e stese, l’artista affascinò infatti commilitoni e inglesi che gliene conservarono perché lavorasse a più soggetti.

Per il Natale del 1943, il cappellano lo convinse a realizzare con questo materiale di scarto anche un presepe. Su questo intendo qui soffermarmi brevemente. Siamo troppo abituati a considerare il presepe una devozione bella, semplice, accessibile a tutti. In realtà lo è, ma è anche la ‘rappresentazione’ che narra ed espone l’avvento di una impensabile prossimità degli uomini a Dio. É figura la cui continua ripetizione nei secoli ha reso familiare, almeno come possibilità per tutti, questa prossimità. Essa era, da secoli, figura del concretarsi di una aspirazione di popoli interi che non riuscivano ad immaginarla se non attraverso un numero davvero alto di segni e rimandi. Il piccolo presepio realizzato nel deserto africano fu vissuto dal suo autore entro, non solo in una situazione umanamente faticosa e dolorosa ma anche, e forse soprattutto, un’esperienza religiosa e artistica che glielo rese particolarmente caro. Lo riportò in Italia e lo tenne in bella vista nella sua casa fino alla morte nel 2005.

Nel suo genere l’opera è un fragile e potente capolavoro composto da figure sbalzate in latta, ricche di rimandi all’arte e insieme molto tradizionale, popolare anzi. Il suo doppio valore testimoniale, di documento di storia e di piccolo gioiello di moderna sensibilità liturgica e artistica, lo rende invito affettuoso, a chi lo guarda, a rinnovare in ogni casa – con devozione, senso teologico e gusto – la tradizione del presepio familiare. Pur rimanendo aderente ai Vangeli canonici, Sebastio si ispirò ai tardi racconti della vita di Gesù e ai testi apocrifi. Al centro pose Gesù Bambino benedicente affiancato dalla Madonna e da San Giuseppe oranti. Secondo tradizione sbalzò i Re Magi originariamente distinti dalle cavalcature: l’elefante per Melchiorre, il cammello per Baldassarre e il cavallo per Gaspare.

Ci lascia così una commovente testimonianza di fede viva oggi, nel XX XXI secolo. Il presepe non è mai stato concepito nella tradizione cristiana come rimando storico, né come gioco fine a sé stesso per quanto poetico e suggestivo. Ha sempre segnalato che Gesù, nascendo, si è fatto nostro contemporaneo. L’artista, in questo caso, lo produsse in un contesto di nostalgia per la famiglia e per il proprio paese ma anche, ed è questo un fatto che può apparire paradossale ed è invece profondamente umano, all’interno di un incontro d’arte straordinario. Grazie ad esso esplose in lui un’intensità religiosa che lo segnò per sempre. Senza dar luogo a sincretismi o a banali accostamenti di diverse credenze.

Sebastio realizzò la sua piccola opera quando aveva trent’anni. Dalla prigione nel deserto vedeva le piramidi. Una grande esperienza di civiltà era all’improvviso a portata di mano, in un periodo della vita nel quale le sue ricerche espressive non potevano misurarsi nel concreto mentre sentiva fremere grandi tensioni dentro di sé. Tentò una fuga verso mastaba e piramidi dell’area di Saqqara, vicina all’antica Memphis non lontana dall’attuale Cairo. Gli inglesi compresero la sua ansia, lo riaccolsero al ritorno e tollerarono altre sue uscite.

Per sette mesi stette nel cuore delle piramidi, stupefatto dalla forza di segni che per la gran parte non comprendeva ma che osservava in composizioni ordinate di figure e geroglifici secondo ritmi e colori. Non provò paura. Anche una mummia che gli si avvicinò in sogno poté essere abbracciata. L’incontro con l’arte fu per lui l’incontro con uomini di cui colse d’impeto, intuitivamente, l’amore per la vita e per la sua immortalità. Più tardi, tornato in Italia, comprese di aver ricevuto il dono di un’esperienza di religiosità umana universale; consultando storie dell’Antico Egitto si accorse di aver colpito nel segno.

Precisò egli stesso, in un dialogo intervista, il momento più alto e indimenticabile dell’incontro, vissuto ascoltando musica classica da un giradischi di campo: “[…] il giorno di Pasqua del 1945 ero da solo nella tomba dell’architetto Ti [era la tomba di un alto funzionario e architetto al servizio del faraone]. L’ho messo su, il disco ha incominciato a girare […] Ho vissuto attimi di eternità. Erano contemporanei in quel momento gli egizi che avevano raffigurato quelle immagini, era contemporanea tutta l’umanità prima degli egizi sino all’inizio della creazione, erano contemporanei tutti i miei conoscenti, i miei cari, i miei genitori, gli amici, e anche i defunti, e tutta l’umanità che sarebbe venuta sino al ritorno di Cristo. In un attimo era presente tutto! Questa è stata la sensazione, e me la porto ancora dentro”.

 

Fu inevitabile per lui disegnare quello che vedeva per fissare i connotati essenziali di quest’esperienza. La ‘portò dentro’ di sé sempre, non fu ostacolo alla vita di vede, piuttosto li fece meglio comprendere quale sia la condizione umana nella sua natura profonda: costante apertura al Mistero. Lo introdusse dunque, possiamo supporre da come operò d’artista in seguito, al mistero impensabile della venuta di Dio tra gli uomini, al mistero del Natale.

Per queste ragioni il piccolo presepio del deserto mi ha ricordato le grandi conquiste dell’antropologia religiosa, da Mircea Eliade a Julien Ries: al fondo dell’uomo, di ogni uomo e di ogni tempo, vi è sempre un senso religioso, un’apertura al mistero, una domanda di essere. Qualcosa al fondo ci accomuna tutti, nel tempo e nello spazio: il Mistero che ci ha chiamato alla vita.

Si è aperta per due giorni, tra 17 e 18 dicembre 2022 e riaprirà dal 17 gennaio fino al 23 febbraio 2023 la mostra L’Egitto di Nicola Sebastio. Dal campo di prigionia 1943-45. Sculture, disegni, presepio. La sede è l’Istituto per la Storia dell’Arte Lombarda (ISAL) a Palazzo Arese Jacini in Cesano Maderno (piazza Arese 12), in provincia di Monza e Brianza. Promossa da ISAL e dal Comune Cesano Maderno, l’esposizione è composta: dalla sequenza dei disegni sul mondo dell’Antico Egitto di Sebastio, per lo più a matita e acquarello, realizzati su fogli d’occasione; da una serie di pannelli narrativi che ne accompagnano la comprensione e la contestualizzazione; dall’allestimento di un presepio realizzato con latta dall’autore, visibile da una finestra dall’esterno anche quando la mostra è chiusa.

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