Ancora Tolstoj


Che l’arte sia generatrice di abitudini condivise, consolidate nei secoli oppure di nuovo conio, non è convinzione oggi diffusa. Piuttosto incerto oggi è anche il principio che essa svolga un fondamentale ruolo celebrativo. Del tutto estranea ci è inoltre la convinzione che possa provocare, per contrasto con la sua qualità elevata, vergogna per atteggiamenti umani contrassegnati da evidente meschinità, da ricerca di eccessi di benessere. Infine non riusciamo a pensare al sacrificio di sé come atto generato dalla percezione di una dignità della vita, anch’essa opera d’arte, che ci lega gli uni agli altri. Non è così per Tolstoj, che scrive:

La peculiarità dell’arte rispetto alla parola consiste nel fatto che “con la parola l’uomo comunica a un altro i suoi pensieri, mentre attraverso l’arte gli uomini si scambiano tra loro i sentimenti. […]. L’arte comincia quando l’uomo con lo scopo di trasmettere ad altri un sentimento provato da lui lo proietta fuori di sé e lo esprime tramite certi segni esterni” (pp. 26-27).

“Se è stato possibile trasmettere attraverso l’arte i modi tradizionali di accostarsi alle cose della religione, di stabilire rapporti con i genitori, con i bambini, con le donne, con i parenti, con gli estranei, i rapporti con i più anziani, con i sottoposti, con i sofferenti, con i nemici, con gli animali; e queste usanze vengono osservate da generazioni e da milioni di persone senza la minima coercizione – infatti non possono essere scalzate se non dall’arte – allora sempre con l’arte possono essere suscitate anche altre usanze, più conformi alla coscienza religiosa del nostro tempo.
Se è stato possibile comunicare mediante l’arte il sentimento di venerazione per un’icona, per l’eucarestia, per la persona di un re, il sentimento di vergogna per l’amicizia tradita, della fedeltà alla bandiera, della necessità di vendicare un’offesa, dell’esigenza di sacrificare il proprio lavoro per costruire e onorare i templi, dell’obbligo di difendere il proprio onore e la gloria della patria, allora la stessa arte può suscitare anche il profondo rispetto della dignità di ogni uomo, della vita di ogni animale, può suscitare la vergogna del lusso, della violenza, della vendetta, dello sfruttamento per il proprio piacere di cose indispensabili ad altri; essa può indurre gli uomini a sacrificare se stessi liberamente e con gioia, senza nemmeno accorgersene, per servire gli altri” (p. 175).

(Lev. N. Tolstoj, Che cosa è l’arte?, a cura di T. Perlini, C. Gallone editore, Milano 1997)

Le riflessioni di Tolstoj ci invitano a riflettere non solo sull’arte ma anche sul vario e multiforme mondo delle immagini di cui l’arte può appropriarsi, poeticamente trasfigurandole. Ma a lui non importa esplorare questo secondo livello dell’immaginario, gli interessa dar riconoscimento di valore a quel ‘pieno di vita’, a quella densità esistenziale che emerge in una realtà che, a volte, chiama ‘popolo’, in altri casi, ‘gente’. Gli interessano i sentimenti robusti che si radicano negli uomini e danno in loro forma a comportamenti identitari, sempre in evoluzione perché partecipi dei flussi della vita, ma al tempo stesso struttura portante della stessa. Gli interessano, dei sentimenti, i fulcri immaginativi che investono tutto il genere umano, in tutte le sue condizioni ed età, un flusso che può identificare, per farsi comprendere con esempi concreti: icona, eucarestia, re, bandiera, patria, templi. Gli interessa il silenzioso e umile, persino inconsapevole, eroismo quotidiano che riconosce in molti uomini comuni.
Potremmo persino ritenere che gli interessa il capolavoro che l’uomo è in quanto uomo e che, conseguentemente, chiama opere d’arte quelle che gli paiono le più esplicitamente umane, quelle di più densamente espressive della dignità che ogni uomo e ogni donna, in tutte le stagioni della loro vita, sanno esprimere a se stessi e al mondo in cui stanno, comprendendovi gli animali con i quali convivono.
Con arte Tolstoj intende dunque cultura viva, senso esistenziale largamente condiviso e operosamente espresso; intende livello moralmente elevato delle popolazioni, intende valori cristallizzati in opere, valori costruttivi di comunità, di condivisione, di rispetto delle differenze.
Ho qui proposto queste brevi riflessioni sul suo orientamento per provocare in chi legge un confronto, con la situazione attuale, non predeterminato dalla mia percezione che, tuttavia, in conclusione, intendo esprimere. Toltstoj non evoca, mi pare, un mondo ideale, descrive al contrario una realtà sociale che conosce e che ama, alla quale avverte di appartenere profondamente, consapevole sia del proprio compito di intellettuale che, nello stesso tempo, della fecondità del proprio ancoraggio nel senso comune. L’arte è, per lui, esito in opere, sue e del popolo, dall’unica sorgente popolare. Questo è l’affascinante dinamismo che riesce a mettere in evidenza e che costituisce un termine di confronto col presente su cui riflettere a fondo.

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