Anniversari, di vita e di morte. Giampiero Bof, papa Giovanni e la tradizione “sostanziosa”
Non avevo mai pensato che la data di nascita di Giampiero Bof, 3 giugno 1934, corrispondeva per giorno alla data di morte di papa Giovanni, 3 giugno 1963. Nel giorno in cui il papa moriva Giampiero compiva 29 anni. Ho notato solo quest’anno questa coincidenza perché essa si sovrappone e richiama altre due coincidenze, che ho vissuto sulla mia pelle, proprio nell’anno 2017. In quell’anno, infatti, il caro amico Abate Benno Malfér è mancato, improvvisamente, il 28 agosto, nel giorno del mio compleanno. Mentre Giampiero, pochi mesi dopo, si è addormentato il 30 novembre, nel giorno di S. Andrea, il mio giorno onomastico. Questi anniversari, che intrecciano le vite e le morti, gli inizi e le fini, lasciano tracce nelle biografie e segnano le storie. Oggi, 3 giugno 2020, faccio memoria della morte di un papa che ha rilanciato la vita della Chiesa e ricordo la nascita di un teologo che ha saputo assumere con limpida freschezza la eredità di quel papa, portando nella sua vita una parola forte, irreversibile, aperta, dialogica, profondamente evangelica. Giampiero aveva intuito, sicuramente fin dal 1958, la potenza di quella testimonianza di papa, e l’aveva in qualche modo sigillata per sempre, dal giorno della morte del papa, nella sua biografia. Non aveva neppure bisogno di nominarlo con troppa insistenza: aveva sempre chiaro, scritto nella sua storia vorrei dire biologica, il compito di una serena e decisiva rilettura della tradizione. Quel testimone, che aveva ricevuto il 3 giugno del 1963, è rimasto centrale per 54 anni, per 54 compleanni. In tutto quello che Giampiero elaborava intellettualmente, sul piano teologico o filosofico, musicale o pastorale, ecclesiale o civile, portava il soffio di quella intuizione: tornare alla “sostanza della antica dottrina”. Questa intuizione è stata decisiva per papa Giovanni: tornare alla trama “sostanziosa” della tradizione. Di questo compito ha vissuto a fondo Giampiero. Gli è servito per vivere la sua vita di cristiano, di prete, di teologo. Offrire della tradizione cristiana ed ecclesiale una lettura “sostanziosa” e “nutriente”: questa idea di Giovanni XXIII, che Giampiero ha fatto sua almeno dal suo compleanno del 1963, ci è arrivata grazie a loro e non l’abbiamo più dimenticata, facendola nostra, senza indugio. Ora, nel riprenderla e nel portarla avanti, non sappiamo più se la dobbiamo più al primo che l’ha formulata o al secondo che l’ha articolata. Ed è proprio di queste “benedette confusioni” che la tradizione può fiorire e può vivere.
Si dice: morto un papa, se ne fa un altro. E oggi che solo lei, prof. A. Grillo, sembra essersi ricordato della morte di un grande Papa, sembra proprio che quel detto risponda al vero.
Ma i grandi restano nella Storia anche quando in pochi anni hanno dato una svolta decisiva, magari senza saperlo, ad un cammino sempre uguale e ripetitivo. Così è stato per “il Papa buono”, come è stato definito, una volta per tutte, Giovanni XXIII. La sua, quella del C. Vaticano II, fu una intuizione di profondo carattere spirituale. Da allora la Chiesa è andata avanti con un altro percorso, anche se ostacolato fino ad oggi ( e chissà fino a quando) da un tradizionalismo senza “sostanza” che riempie di lividi chi invano arranca per tenergli dietro.
Lode e preghiere per chi, come don Giampiero Bof, persegue, con spirito sempre nuovo, la rilettura della tradizione “nutriente”.