Anno della fede: Concilio, catechismi e liturgia.


Compendio sì, purché accompagnato dai “genitori”

Gli amici che dirigono l’Istituto di Scienze Religiose “Giovanni Paolo II” di Pesaro mi hanno invitato a parlare del tema: La celebrazione del mistero cristiano nel Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica. Riassumo qui di seguito il nocciolo del discorso di venerdì scorso (14 dicembre 2012)

Il piccolo volume del Compendio del CCC (=Com) si può acquistare ovunque: non solo in libreria, ma su una bancarella, in un autogrill  o in un piccolo supermercato, magari trovandolo accanto agli spazzolini da denti o ai film in DVD. La sua brevità e il suo costo molto contenuto determinano una grande commerciabilità. Ciò che vorrei dire, per cominciare, riguarda la cautela con cui il lettore deve accostarsi a questo testo. In effetti esso è il frutto di una lunga storia, che in questo “Anno della fede” deve essere brevemente ripercorsa. Il grande Catechismo Tridentino (=CT), che era “ad parochos”, per i parroci, è un testo grandemente discorsivo, molto dettagliato, che poi è stato riformulato in breve e con stile dialogato, ai primi del 900, nel famoso Catechismo di PIO X (= CPX). Poi, dopo la metà del 900, vi è stato il grande evento del Concilio, che ha rappresentato, anche per la catechesi, un punto di svolta del tutto fondamentale. Riattingere al linguaggio biblico, patristico, liturgico, superando il primato del linguaggio dottrinale e definitorio ha profondamente mutato lo stile della catechesi e dei testi catechistici di sintesi. Il progetto di un grande Catechismo della Chiesa Cattolica (=CCC) che si è realizzato nel 1992, solo 20 anni fa, costituisce senza ombra di dubbio uno dei frutti del Concilio. Sarebbe molto difficile poter affermare che il CCC costituisca la interpretazione autentica del Concilio, ma è certo che in esso l’ impronta conciliare, sebbene non lineare e non continua, appare ben presente e talora anche vistosa.
Dobbiamo fermarci brevemente a considerare questa relazione tra Concilio e CCC, e lo faremo proprio sul piano della “celebrazione del mistero cristiano”. Proprio su questo tema il CCC costituisce veramente un “novum” nella storia della catechesi cattolica. Alla classica collocazione dei “sacramenti” dopo l’analisi del “simbolo di fede”, proposti nello schema dogmatico dei sacramenti in genere e sacramenti in specie, ora si sostituisce una parte sulla “celebrazione del mistero cristiano”, al cui interno si trova il discorso sui sacramenti. Per accedere al contenuto teologico del sacramento occorre conoscere la forma liturgica della azione che si compie. Questa novità epocale del ‘900, notata già negli anni 70 da Joseph Ratzinger, comporta un profondo cambiamento teorico e pratico nella comprensione dei sacramenti. A questa novità strutturale corrisponde una novità linguistica davvero sorprendente: la catechesi viene condotta non più secondo un sistema di definizioni, ma in essa prevale la narrazione biblica e patristica, e l’uso delle fonti liturgiche.  Queste due novità – strutturali e linguistiche – fanno della parte del CCC dedicata alla liturgia/sacramenti un piccolo capolavoro nell’ambito della recezione del Concilio.
Dobbiamo ora chiederci: che cosa accade con il Compendio? Le esigenze di “brevitas” e la “struttura dialogica” come influiscono sul risultato del testo? Il giudizio che dobbiamo dare deve essere molto articolato. Da un lato dobbiamo osservare che anche il Compendio conserva la struttura profondamente innovativa del CCC. Ciò non di meno l’esigenza di brevità e di concisione non permette se non raramente di onorare la scelta linguistica del Concilio e del CCC. Il Compendio ha la tendenza a tornare a un linguaggio decisamente dottrinale, perdendo non raramente la specifica novità conciliare. Questa scelta formale esercita un influsso non sempre positivo sul contenuto.  Vorrei fare due esempi di questa difficoltà.
Leggiamo nel compendio una domanda/risposta formulata così:

“256. In che cosa consiste il rito essenziale del Battesimo? Il rito essenziale di questo Sacramento consiste nell’immergere nell’acqua il candidato o nel versargli dell’acqua sul capo, mentre viene invocato il Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

La difficoltà di questo numero del Com sta tutta nella domanda. Alla luce del Concilio e del CCC, il “rito essenziale” è un concetto limite che non è affato utile per pensare il sacramento. Nel pensiero possiamo certamente pensare l’essenza di un rito.  Ma i riti essenziali sono una contraddizione in termini. Nella realtà i riti non sono essenziali, mentre le essenze non sono rituali. I riti sono, per loro natura, “più che essenziali” e “meno che essenziali”, sono trascendenti e insieme contingenti.  La logica della liturgia non  è la logica di “essenze”. E’ piuttosto una logica “nutriente”, una logica “sostanziosa”. Aver scoperto questa realtà “nutriente” del sacramento per la fede è già tipico delle fonti originarie del Concilio, fin dal grande discorso di Giovanni XXIII che ha aperto il Concilio, Gaudat mater Ecclesia, dell’11 ottobre del 1962, che distingue tra “sostanza della dottrina” e suo “rivestimento”, intendendo sostanza non come “essenza”, ma come “nutrimento”.
Su questo registro è fondato il modo con cui il CCC parla del battesimo.  Ascoltiamo i primi numeri, che rinunciano a definire, per raccontare una identità:

1229 Diventare cristiano richiede, fin dal tempo degli Apostoli, un cammino e una iniziazione con diverse tappe. Questo itinerario può essere percorso rapidamente o lentamente. Dovrà in ogni caso comportare alcuni elementi essenziali: l’annunzio della Parola, l’accoglienza del Vangelo che provoca una conversione, la professione di fede, il Battesimo, l’effusione dello Spirito Santo, l’accesso alla Comunione eucaristica.
1230 Questa iniziazione ha assunto forme molto diverse nel corso dei secoli e secondo le circostanze. Nei primi secoli della Chiesa l’iniziazione cristiana ha co nosciuto un grande sviluppo, con un lungo periodo di catecumenato e una serie di riti preparatori che scandivano liturgicamente il cammino della preparazione catecumenale per concludersi con la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana.

Questi due numeri sono solo l’inizio della grande narrazione che introduce al battesimo, rinunciando esplicitamente alla via breve – ma poco nutriente – della definizione riduttiva.

Un altro esempio di grande interesse è costituito dalla questione del ministro dell’eucaristia. Alla classica prospettiva giuridico-istituzionale della tradizione post-tridentina il Concilio e il CCC aggiungono una prospettiva ecclesiale e simbolica di grande pregio. Ascoltiamo il numero dedicato al tema dal CCC:

1348 Tutti si riuniscono. I cristiani accorrono in uno stesso luogo per l’assemblea eucaristica. Li precede Cristo stesso, che è il protagonista principale dell’Eucaristia. E’ il grande sacerdote della Nuova Alleanza. E’ lui stesso che presiede in modo invisibile ogni celebrazione eucaristica. Proprio in quanto lo rappresenta, il vescovo o il presbitero (agendo “in persona Christi capitis” – nella persona di Cristo Capo) presiede l’assemblea, prende la parola dopo le letture, riceve le offerte e proclama la preghiera eucaristica. Tutti hanno la loro parte attiva nella celebrazione, ciascuno a suo modo: i lettori, coloro che presentano le offerte, coloro che distribuiscono la Comunione, e il popolo intero che manifesta la propria partecipazione attraverso l’Amen. (CCC)

Si tratta di un testo molto impressionante per profondità e per articolazione. Ne emerge una concezione della ministerialità ampia e molto ricca, che introduce alla ricchezza nutriente di una assemblea, strutturata gerarchicamente, che manifesta sacramentalmente la relazione teologica e antropologica tra Cristo e la sua Chiesa. Stupisce non poco che la sintesi offerta dal Com, nel 2005, sia soltanto questa:

“278. Chi è il ministro della celebrazione dell’Eucaristia? È il sacerdote (Vescovo o presbitero), validamente ordinato, che agisce nella Persona di Cristo Capo e a nome della Chiesa”.

Nulla di diverso diceva, sia pure con il linguaggio e le giustificazioni del tempo, il CT e il CPX . Il minor spazio, lo schema a domande/risposte e il linguaggio dottrinale sembrano determinare una certa tendenza a rimuovere tutto ciò che di nuovo il Concilio ha saputo dire sul tema. Nell’anno della Fede, che ha al centro la memoria conciliare, questa forma di “amnesia conciliare”, che trapela qua e là dal testo del Compendio, merita una accurata riflessione.
Il grande mutamento della Catechesi, rappresentato dal Concilio Vaticano II, e che ha preso una forma ufficiale nel CCC, ha a sua volta generato figli. Tra questi troviamo questo testo del Compendio, convincente sul piano della struttura, ma talvolta molto fragile sia nelle formulazione delle domande, sia nell’espressione linguistica delle risposte.
Potremmo allora dire che il Compendio si presenta come il figlio minore, magrolino, piuttosto chiuso e silenzioso, di un padre aperto come il Concilio e di una madre loquace come il CCC. Sarebbe cosa buona che questo figlio circolasse sempre accompagnato, se possibile da entrambi i genitori, se non si può, almeno da uno. Se resta da solo, risulta troppo breve e fragile per poter essere incontrato e accolto correttamente. Pur trovandosi anche nei supermercati, appare come il libro più difficile da comprendere e solo in apparenza potrebbe essere considerato come il più semplice.
In conclusione, vorrei ricordare una frase famosa che si trova nella Introduzione di I. Kant alla sua “Critica della Ragion pura”, dove, citando l’abate Terrasson, il filosofo scriveva:

“Se noi misurassimo la lunghezza dei libri non già dal numero delle pagine, ma dal tempo che impieghiamo per comprenderli, di molti libri potremmo dire che sarebbero molto più brevi, se non fossero così brevi”.

Anche del nostro Compendio, per le ragioni che abbiamo illustrate, possiamo dire la stessa cosa. Vorrei tradurla, alla fine, nelle parole del nostro titolo: Compendio sì, purché accompagnato dai “genitori”.

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