Benedire il coniugio: Cosimo Scordato commenta Mauro Cozzoli (di C. Scordato)


 

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Sollecitato dal testo pubblicato su OR, anche Cosimo Scordato, prof. di Teologia sacramentaria a Palermo, interviene con altri importanti argomenti. Lo ringrazio per il suo testo lucido e profondo. (ag)

Sull’articolo del prof. Cozzoli

L’analisi di un articolo è inevitabilmente selettiva perché, anche se il testo è breve, contiene una serie di precomprensioni e suggestioni, che è difficile poter analizzare nella loro concatenazione e validità; ci limitiamo soltanto a qualche osservazione di carattere logico-argomentativa.
Il prof. Mauro Cozzoli nell’articolo pubblicato sull’OR analizza due serie di osservazioni critiche, che sono state rivolte al Responsum della Congregazione; la prima serie è relativa al tema dell’amore omosessuale, la seconda serie è relativa al tema della misericordia e della verità. Nel passaggio dall’una all’altra l’autore è disposto a recepire quanto segue. Egli riconosce a una coppia omosessuale la dimensione dell’amore; ma essa, caratterizzata dalla finalità puramente unitiva e dalla esclusione (almeno dalla impossibilità di inclusione) di quella generativa, risulta compromessa perché l’esercizio della sessualità è consentito solo all’interno della relazione matrimoniale. Leggiamo testualmente: “Non si può negare l’amore che può esserci nelle unioni omosessuali. Ma è un amore amicale non coniugale, è un amore – è anche il caso di aggiungere – unitivo non procreativo. È per questo che non si può benedire tutto: occorre che ciò che viene benedetto sia ordinato a ricevere e ad esprimere il bene che gli viene detto, la grazia che gli viene elargita”. Non ce ne voglia il professore Cozzoli se facciamo un osservazione ad hominem; infatti la Chiesa prevede la benedizione delle nozze tra due persone anziane, anche se ormai impossibilitate a procreare; in questo caso, l’unico amore possibile è quello unitivo e non quello procreativo; eppure, detto matrimonio viene considerato valido e quindi viene benedetto, anche se la finalità generativa non è possibile e neppure nel caso nel quale non fosse in alcun modo desiderata. Siamo dinanzi al caso, escluso dal prof. Cozzoli ma previsto dalla stessa tradizione ecclesiale, di un amore unitivo ma non procreativo benedetto da un sacramento.
Inoltre, venendo alle condizioni normali, sappiamo che tante volte la coppia, pur ponendo un atto coniugale potenzialmente generativo, si può augurare che non lo sia, limitandosi a gioire del suo aspetto unitivo. E se un partner (o tutti e due) dovesse scoprire di essere sterile l’aspetto unitivo perde il suo valore perché incapace di generatività? O, più radicalmente, l’unione di amore della coppia prende valore dal fatto che l’atto è generativo o, al contrario, è bello che l’atto sia generativo se, e solo se, la coppia è profondamente unita? A questo punto risulta chiaro che l’aspetto unitivo dell’atto coniugale è già un bene di per sé, che si può arricchire del suo valore generativo, ma non in maniera vincolante o necessitante. A questo punto, facciamo notare che non a caso abbiamo usato l’espressione “atto coniugale”; essa vuole sottolineare l’aspetto del coniugium, ovvero l’aspetto unitivo, che arricchisce la vita delle due persone, l’una dell’altra; cosa che, come prevedeva l’articolo in esame, può interessare anche la coppia omosessuale. A questo punto perché non bene-dire il bene che c’è, ossia l’unità della coppia realizzata dall’atto che la congiunge, lasciando aperta la possibilità che la generatività possa prendere anche altre strade? Si può essere generativi in tanti modi e, nell’ambito del volontariato, c’è l’imbarazzo della scelta; e ciò nell’attesa che si prenda in seria considerazione la possibilità dell’adozione di bambini, orfani o abbandonati, che hanno un bisogno estremo di persone che, anche se non li hanno generati fisicamente, sono interessati ad accoglierli e pronti a prendersene cura con tutto il cuore e tutto se stessi.

Cosimo Scordato

 

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