Breve storia dei tentativi, delle revisioni e dell’attuale proposta di riforma della Costituzione // Verso il referendum, n. 3
L’esigenza di una riformulazione della seconda parte della Costituzione non è una novità nella storia italiana. Il problema fondamentale della riforma dello Stato (come lo definì Dossetti, vedi post precedente) ha scandito la storia repubblicana. Essa infatti può essere divisa in due parti: dal 1948 al 1979, il trentennio dell’attuazione della seconda parte della Costituzione; dal 1980 ad oggi, la fase dei tentativi di modifica.
L’attuazione della Costituzione fu un lento processo. La legge sulla Corte costituzionale fu approvata nel 1953; quella per l’istituzione del CNEL nel 1957; il Consiglio superiore della magistratura fu disciplinato nel 1958; i referendum e le Regioni furono istituiti nel 1970. Dagli anni ’80 in poi, c’è stato un fiorire di Commissioni istituite per la riforma della Carta (dalla Commissione parlamentare bicamerale “Bozzi” del 1982 al “Progetto Violante” presentato alla I Commissione della Camera durante la XV Legislatura).
Dal 1948 ad oggi le leggi di revisione costituzionale sono state quindici; dei primi cinquantaquattro articoli (che riguardano i “Principi fondamentali” e i “Diritti e doveri dei cittadini”) soltanto tre sono stati modificati: l’art. 27, per la proibizione della pena di morte; il 48, per introdurre il voto all’estero; e l’art. 51 per la promozione dell’uguaglianza di genere.
A partire dagli anni ’90 l’incedere di proposte di revisione della Costituzione e le riforme entrate in vigore sono state numerose. In particolare, oltre a quello oggi in discussione, due sono stati i tentativi di revisione di carattere strutturale che, alla prova del referendum, hanno avuto esiti opposti: il primo, confermato in sede referendaria, ha visto la modifica dell’intero Titolo V (“Le Regioni, le Provincie, i Comuni”) con legge cost. 3/2001. Viceversa nel 2006 fu bocciato dagli elettori il progetto proposto dal Governo Berlusconi che prevedeva la riforma dell’intera Parte II della Costituzione.
Dopo la XVI legislatura (2008/2013) – segnata dalla caduta del Governo Berlusconi, la nascita del Governo “tecnico” di Monti e dalla riforma dell’art. 81 Cost. sul pareggio di bilancio –, l’inizio dell’attuale attività parlamentare fu contraddistinto dall’istituzione di due commissioni di “saggi” dapprima sotto impulso del rieletto presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e poi del Presidente del Consiglio Letta.
La Commissione di Letta, composta da trentacinque esperti esterni al Parlamento, ha prodotto un documento che voleva essere la base per un’organica riforma della Costituzione.
La Commissione prospettava due punti di riforma:
a) la modifica della forma di governo (proponendo l’alternativa tra la razionalizzazione della forma di governo parlamentare o il semipresidenzialismo alla francese);
b) il superamento del bicameralismo paritario con la trasformazione del Senato in camera rappresentativa dei territori (sulla cui composizione i “saggi” prospettavano diverse ipotesi).
La fine del Governo Letta ha fatto cadere nel dimenticatoio le proposte della Commissione e ha bloccato il processo di approvazione di una legge costituzionale che prevedeva l’istituzione di un Comitato parlamentare per la riforma costituzionale in deroga alle modalità prevista dall’art. 138.
L’8 aprile 2014 il Governo – da due mesi presieduto dal premier Matteo Renzi – presentò al Senato il disegno di legge recante «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione» (AS 1429).
L’attuale proposta di riforma nacque nel gennaio del 2014 con il “Patto del Nazareno”. L’accordo tra gli schieramenti di centro-destra e centro-sinistra comprendeva, oltre alla riforma, la modifica della legge elettorale 270/2005, cd. Porcellum, dichiarata incostituzionale dalla Corte con la sentenza 1/2014.
L’iniziale maggioranza che appoggiava la riforma si è progressivamente sfilacciata: Forza Italia, infatti, ha votato a favore alla prima lettura al Senato, ritirando il suo appoggio dopo l’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Dopo l’iter parlamentare che ha visto sei deliberazioni a maggioranza assoluta di Camera e Senato, entrambi gli schieramenti (soltanto i favorevoli però hanno raggiunto il numero di firme necessarie) hanno richiesto, secondo la previsione dell’art. 138, il referendum per rimettere al popolo di approvare o bocciare della riforma.