Castità, morale e istituzioni. In dialogo con Aristide Fumagalli
In un articolo di Aristide Fumagalli, pubblicato domenica 10 luglio su Avvenire, dal titolo La castità, bavaglio dell’amore o aiuto spirituale oltre l’egoismo?, il moralista milanese ritorna sul tema della castità prematrimoniale, intorno alla quale si è sviluppato un certo dibattito nelle ultime settimane, in seguito alla pubblicazione degli Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale.
All’inizio del suo testo Fumagalli chiarisce bene l’equivocità con cui si confonde molto frequentemente la virtù di castità con il voto di castità. La prima riguarda tutti i battezzati, mentre la seconda riguarda la vita degli ordini religiosi e, in una certa misura, anche quella dei ministri ordinati (con l’eccezione dei diaconi permanenti sposati).
Oltre a questa importante distinzione Fumagalli sottolinea efficacemente che l’insegnamento della Chiesa sull’amore di Cristo riguardante la sessualità può essere certo approvato o contestato, ma deve essere compreso nella sua verità. E su questo piano l’errore più grande è proprio l’identificare la castità con la continenza, finendo così per leggere la castità solo come una serie di divieti. La castità invece dev’essere presentata come alleata dell’amore, non come sua negazione.
All’analisi proposta da Fumagalli vorrei aggiungere un elemento che per lo più sfugge alla prospettiva morale, ma che è decisivo per comprendere lo sviluppo storico delle forme della vita casta, che non procedono solo da evidenze di carattere morale, ma anche da assetti istituzionali che mediano tra vita naturale, vita civile e vita di fede. Consideriamo una serie di casi molto interessanti:
a) la polluzione notturna. Una lunga tradizione teologica si è posta il problema di quelle infrazioni della continenza dei religiosi che si realizzano nei casi di eiaculazione durante il sonno. In quale misura queste “azioni disordinate” possono essere ricondotte alla colpa del soggetto o discendono semplicemente dalla “abundantia seminis” che la natura, in quanto tale, assicura a tutti gli uomini? Qui è evidente che le logiche dell’inconscio non si lasciano totalmente comandare da una disposizione istituzionale e che la demonizzazione della masturbazione cosciente si riflette in una potenza naturale che non può essere totalmente dominata. Al punto che il controllo appare molto più egoistico e autoreferenziale che non la accettazione di una dimensione naturale insuperabile anche nel monaco o nel frate.
b) stati di vita e istituzioni. Come abbiamo visto all’inizio, la vita casta che riguarda ogni battezzato ha assunto forme storiche differenti che interpretano in modo diversificato l’essere uomini e donne sessuati in Cristo. Vita monastica e vita religiosa hanno assunto il voto di castità come regola delle comunità maschili e femminili. Diverso è lo sviluppo per il ministero ordinato, che ha elaborato la vita celibataria in modo non univoco e con grandi differenze. Un prete può essere concepito come colui che vive nel celibato la continenza monastica, ma anche come un uomo sposato che vive la castità coniugale. Tutti i battezzati che non abbracciano né la vita religiosa, né il ministero ordinato, né il matrimonio sono chiamati a quella virtù di castità che resta spesso indeterminata e ridotta a semplice logica negativa. Spesso non si riflette abbastanza sul fatto che coloro che si avviano a sposarsi rientrano precisamente in questa categoria.
c) castità prematrimoniale. Questa locuzione esige una chiara comprensione di carattere storico, poiché nella accezione con cui la usiamo oggi dipende da due fatti storici decisivi che hanno cambiato la storia del matrimonio e la storia della castità.
Il primo fatto è il famoso decreto Tametsi, con cui il concilio di Trento nel 1563 assume ogni competenza sul matrimonio, spostando il consenso al centro del rito del sacramento e superando così quei matrimoni clandestini che pure non vuole negare nella loro validità. A partire da quella data è possibile parlare di rapporti prematrimoniali, perché la Chiesa ha assunto la piena competenza giuridica anche sul contratto. Fino ad allora, invece, i matrimoni clandestini, che potevano essere chiamati anche matrimoni naturali, concepivano rapporti sessuali tra soggetti liberi che venivano riconosciuti come matrimoni legittimi. La prima cosa che notiamo dunque è che per 1500 anni non si poteva parlare tecnicamente di rapporti prematrimoniali, perché la Chiesa si limitava a benedire un contratto di matrimonio che la natura e la cultura avevano già realizzato.
Ma c’è un secondo punto che deve essere riconosciuto, ossia la trasformazione del soggetto battezzato femminile e l’entrata della donna nello spazio pubblico. Il sistema creato dal concilio di Trento interpreta quasi solo la castità femminile, non quella maschile: nel matrimonio un solo anello viene benedetto, quello che l’uomo mette alla donna. Nella benedizione è la sposa ad essere benedetta, perché sia feconda e fedele. Il nuovo Rito del 1969 concepisce lo scambio degli anelli e la benedizione degli sposi. Questo cambia il modo di pensare anche la castità coniugale, che trova nella espressione sessuale non soltanto lo strumento della generazione, ma l’esperienza più radicale di comunione tra i coniugi.
d) amore, egoismo e individualismo. La fine della soluzione tridentina, che prevedeva la rivendicazione da parte della Chiesa di ogni competenza sul matrimonio, e la nuova soggettività femminile nel mondo, nella Chiesa e nella famiglia cambia la interpretazione della castità, uscendo dalla identificazione di istituzionale con comunione e di individuale con egoistico. Troppo facilmente restiamo vittime dell’idea tridentina secondo cui è l’autorità della Chiesa a porre la legittimità del matrimonio. Come è evidente, non si tratta di dire cose nuove, ma di riprendere cose antiche in una nuova prospettiva. La dignità originaria di ogni uomo e di ogni donna può accedere alla vita casta in Cristo non solo per percorsi istituzionali. Per questo la castità prematrimoniale non deve essere identificata con la continenza. Una variabile istituzionale nel modo di concepire il matrimonio, recuperandone logiche naturali e civili senza pretendere di assorbirle sul piano ecclesiale, modifica anche il giudizio su che cosa è davvero dono e apertura e su che cosa è egoismo e chiusura. Non vorrei che quando si discute di questi temi delicati si dimenticasse quella fondamentale acquisizione proposta da Charles Taylor quando ricorda che individualismo non è solo il nome di un vizio, ma anche di una grande virtù, grazie alla quale si passa dalla società dell’onore alla società della dignità.
Ho letto velocemente: se si dice qui che che erratamente il matrimonio cristiano prevede rapporti solo dopo il sacramento non sono d’accordo. Si va nella direzione esiziale di considerare il matrimonio un fatto sostanzialmente naturale (https://gpcentofanti.altervista.org/il-miracolo-di-ogni-vocazione/). Invece credo nel cammino personale e graduale di ciascuno grazie e verso i riferimenti della fede.
Come rilevo nel commento successivo.
Ecco il seguito del commento.
https://gpcentofanti.altervista.org/la-gabbia-del-concetto-la-liberazione-del-seme/
Oltre alle considerazioni pertinenti offerte da Andrea, soprattutto nel riferimento all’impianto post-tridentino, e oltre alle precisazioni circa la polluzione notturna (che chiama in causa una riconsiderazione della polluzione … non notturna!), andrebbero messe in conto le ‘varianti’ non indifferenti dell’epoca che stiamo vivendo; prendiamo atto che il tempo ‘prematrimoniale’ si è allungato comprendendo il lungo periodo della formazione scolastica; tempo caratterizzato da tante sollecitazioni nuove e da comportamenti, che faremmo bene a conoscere e cercare di capire; mediamente, le coppie sposano intorno ai trent’anni, che viene a coincidere con buona parte del tempo ‘postmatrimoniale’ del passato. Dobbiamo riconoscere che si tratta di un fatto nuovo, che richiede sia un ripensamento della morale che una ricomprensione socio-culturale. Crediamo opportuno osservare che, quanto più la coppia matura il suo orientamento verso il matrimonio, tanto più andrebbero riconsiderati i rapporti cosiddetti prematrimoniali come facenti parte della celebrazione esistenziale dell’amore coniugale, ovvero che congiunge la vita della coppia. Parimenti, non diamo per scontato che i rapporti postmatrimoniali (specialmente quando inclineranno a un allontanamento della coppia) siano messi al riparo da una considerazione attenta che vigili sulla sua qualità morale e antropologica. Alla fine, ciò che qualifica è l’atteggiamento e il comportamento in quanto espressivi di un amore, che incrementa l’unione di vita tra due persone.
@Cosimo Scordato
In realtà le coppie oggi si sposano sempre più tardi, ben oltre i 30. Addirittura l’età media per gli uomini al primo matrimonio è 35 anni e per le donne 32 https://www.youtrend.it/2020/01/08/matrimoni-italia-2018-istat-religiosi-civili/ . 35 anni significa che per ogni uomo che si sposa a 30 anni ce n’è uno che si sposa a 40
Sarebbe davvero importante che la chiesa approfondisca queste riflessioni per chi, come me, non è sposato, non è consacrato e non vive una vita di coppia. E siamo davvero tanti, non una minoranza irrilevante di disadattati come molti sacerdoti tendono sbrigativamente ancora a considerarci (“che aspettano? Si sposino o si consacrino!” Sembra accora il leit motiv). Come ci è dato vivere la nostra castità e la nostra sessualità? L’unica risposta istituzionale (datami da alcuni sacerdoti incapaci di affrontare con carità e pensiero la cosa) sembra ancora essere l’obbligo di vivere come se si fosse vincolati al voto di assoluta castità. Che non abbiamo mai espresso…
La tematica è interessantissima, profonda e estremaente meritevole di approfondimenti; se non per pura speculazione teologico-antropologica almeno per necessità pastorale, considerando che la morale sessuale cattolica è oggi “imbarazzante” da proporre perché la si cerca di proporre con i modi e i linguaggi di qualche decennio fa; e non si sa adeguare la modalità della proposta (si badi: non il contenuto, ma la modalità di proporlo) alla antropologia contemporanea.
Quando vengo però qui a scoprire (perdonatemi se non lo sapevo) che “Una lunga tradizione teologica si è posta il problema di quelle infrazioni della continenza dei religiosi che si realizzano nei casi di eiaculazione durante il sonno” mi cadono le braccia e mi viene da pensare che se veramente fa problema (e fa argomento di riflessione teologico-morale) persino la polluzione notturna… beh allora siamo letteralmente sulla Luna e non ce la potremo mai fare.