Che cosa è la “pena temporale”? Le distinzioni di Tommaso d’Aquino e la loro recezione moderna e contemporanea
«Se il penitente dichiara che vuol rimandare all’altro mondo la penitenza e soffrire in purgatorio tutte le pene che gli sono dovute, allora il confessore deve imporgli una penitenza leggerissima tanto perché il sacramento sia intero, e soprattutto se si accorge che quello non ne accetterebbe una maggiore»
(B. Pascal, Le provinciali, Torino, Einaudi, X, p. 108)
Una adeguata comprensione del “fare penitenza” ecclesiale non può perdere di vista il tesoro delle distinzioni con cui i maestri medievali hanno gettato luce sulla tradizione. Certamente non si tratta semplicemente di conservare quelle distinzioni, così come esse si presentano. Custodirle significa saperle comprendere, nel loro contesto, e poterle tradurre in un mondo nuovo e in una cultura diversa. Hanno ancora molto da dirci. L’occasione del riemergere del tema delle “Indulgenze”, legate al Giubileo del 2025, pone la questione di riscoprire in che senso la “pena temporale” – di cui è questione di “remissione” nelle indulgenze – possa avere ancora un senso nella esperienza ecclesiale del “fare penitenza”, nel senso più ampio del termine. Quindi non soltanto in rapporto al “sacramento della penitenza”, ma anzitutto in relazione alla “virtù di penitenza”. In effetti, indirettamente ma efficacemente, non è affatto escluso che un approfondimento dedicato al concetto di “pena temporale” non sia in grado di gettar luce sulla penitenza della Chiesa, che la teologia più classica (e più avvertita) chiede di non identificare mai nel solo sacramento e tanto più in una lettura riduttiva del sacramento stesso.
Per procedere a questa elaborazione, che è complessa, vorrei lavorare in due passaggi. Nel primo intendo esporre in modo dettagliato la dottrina della “pena temporale” così come appare all’interno di una delle opere più importanti di Tommaso d’Aquino, ossia nello Scriptum super Sententiis. Da questo esame trarremo alcuni elementi di riflessione, mediante i quali potremo provare a interpretare diversamente alcuni concetti-chiave della pratica penitenziale e, al suo interno, anche della pratica delle indulgenze.
Il duplice passaggio, dalla doppia valenza della penitenza (come virtù e come sacramento) alla centralità del solo sacramento, per poi arrivare alla riduzione del sacramento ad una concezione astratta e generale dell’ex opere operato, che ha di fatto eliminato ogni spazio per la “pena temporale”, facendola diventare un elemento estrinseco rispetto alla dinamica penitenziale, di fatto arrivando a negarne la consistenza e la realtà. Il processo penitenziale tende ad identificarsi nella ripetizione di un sacramento ridotto alla formale “remissione dei peccati”. Manca ad esso tutto lo spessore specificamente penitenziale. Resta solo la amministrazione del perdono, solo grazia operante, senza grazia cooperante. Per questo una ripresa del tema della “pena temporale”, nella dettagliata disamina proposta da Tommaso, è quasi la via obbligata per tornare a dare senso al fare penitenza nella Chiesa, largamente al di qua e al di là della occasione giubilare.
A. Una serie di distinzioni decisive
Ciò che colpisce sempre, nel procedere dell’Aquinate, è la forza con cui le distinzioni scolastiche riescono a delineare nel dettaglio una esperienza della penitenza. Preliminare ad ogni distinzione è la grande divisione che oppone, da un lato, peccato mortale e peccato veniale, e dall’altro lato, quella tra pena eterna e pena temporale. Dice infatti Tommaso, in Super Sent., lib. 3 d. 19 q. 1 a. 3 qc. 1 co:
[…] poena aeterna dicitur per oppositum ad vitam aeternam; unde poena per quam vita aeterna privantur, dicitur poena aeterna. Homo autem vitam aeternam amittere potest dupliciter: scilicet per peccatum naturae, scilicet originale, cujus poena est carentia visionis divinae, et per peccatum personale actuale, scilicet mortale
La cosiddetta “pena eterna” è l’opposto della vita eterna. Essere privati della vita eterna è “pena eterna”. Tommaso poi precisa che l’uomo può perdere la vita eterna in due modi: col peccato originale, la cui pena è la mancanza di “visio divina”; oppure per peccato attuale, ossia mortale. Questa premessa generale non è inutili, perché scandisce anche il modo con cui si parla, per analogia, anche della “pena temporale”, di cui si legge in Tommaso d’Aquino Super Sent., lib. 3 d. 19 q. 1 a. 3 qc. 2 co:
«[…] poena temporalis dicitur per quam privatur aliquod bonum temporale: quia bonum temporale non est natum manere semper. Haec autem temporalis poena in homine est duplex. Quaedam quae universaliter invenitur in tota humana natura, sicut necessitas moriendi, passibilitas, inobedientia carnis ad spiritum, et hujusmodi: et haec quidem poena naturae humanae debetur ex originali peccato: nihilominus hujusmodi ex principiis naturae consequuntur gratia innocentiae destitutae. Has igitur poenas per suam passionis poenam Christus ab omnibus sufficienter exclusit, quamvis non efficaciter ab omnibus, scilicet illis qui ejus passionis participes non sunt; nec tamen ita quod statim post passionem ab omnibus auferantur, vel ita quod auferantur ab illis qui sacramenta passionis ejus percipiunt, statim post perceptionem sacramenti: sed in fine mundi ab omnibus sanctis simul auferentur: quia istae poenae debentur naturae, in qua omnes sunt unum; unde tunc non solum hominum, sed totius mundi natura reparabitur per resurrectionem: quia et ipsa creatura liberabitur a servitute corruptionis in libertatem gloriae filiorum Dei: Rom. 8, 21. Aliae autem poenae sunt quae aliquibus hominibus specialiter infliguntur; et hae poenae dupliciter ad eos comparantur. Uno modo ut vindicantes culpam, secundum quod culpa facit debitum hujus poenae: et hoc modo Christus omnes istas poenas sua morte quantum ad sufficientiam abstulit, removendo causam. Sed ad hoc quod aliquis his poenis quantum ad efficaciam liberetur, exigitur quod passionis Christi particeps fiat; quod quidem contingit dupliciter. Primo quidem per sacramentum passionis, scilicet Baptismum, in quo consepelimur Christo in mortem, ut dicitur Rom. 6, in quo divina virtus quae inefficaciam nescit, operatur salutem; et ideo omnis talis poena in Baptismo tollitur. Secundo aliquis fit particeps Christi per realem conformitatem ad ipsum, scilicet inquantum Christo patiente patimur, quod quidem fit per poenitentiam. Et quia haec conformatio fit per nostram operationem, ideo contingit quod est imperfecta, et perfecta. Et quando quidem est perfecta conformatio secundum proportionem ad reatum culpae, tunc poena totaliter tollitur, sive hoc sit in contritione tantum, sive etiam sit in aliis partibus poenitentiae. Quando autem non est perfecta conformatio, tunc adhuc manet obligatio ad aliquam poenam vel hic vel in Purgatorio. Non tamen oportet quod sit conformatio ad passionem Christi secundum experientiam tantae poenae ad quantam aliquis obligatur ex culpa: quia passio capitis in membra redundat; et tanto plus, quanto est ei aliquis per caritatem magis conjunctus; unde ex vi passionis Christi diminuitur quantitas debitae poenae; et secundum hoc dicitur has poenas auferre, inquantum eas diminuit. Alio modo dictae poenae comparantur ad eos quibus infliguntur, ut medicinae: quia poenae sunt quaedam medicinae, ut dicitur 2 Ethic., vel sibi, inquantum scilicet praeservant a culpa, seu ad virtutem promovent; vel aliis, inquantum scilicet est aliis exemplum, ut unus pro aliis aliqualiter satisfaciat: et hoc modo per passionem Christi poena temporalis non est neque totaliter ablata, neque diminuta, sed magis augmentata caritate crescente, quantum ad praesentem statum, in quo et peccare possumus, et proficere nobis et aliis; sed in futuro, quando erit terminus viae, omnino poena tolletur per virtutem passionis Christi.»
Davvero appare impressionante il modo con cui Tommaso entra nei dettagli delle distinzioni, per articolare al meglio le tensioni e le opportunità. La definizione di «pena temporale» procede in nome analogo rispetto alla «pena eterna». La relazione con i «beni temporali» diventa qualificante per una definizione convincente: siccome il bene temporale è qualificato per il fatto di «non essere per sempre», la pena temporale assume tuttavia un aspetto duplice. In primo luogo riguarda la condizione naturale, segnata dal peccato originale. In questo primo significato la pena temporale è costituita dalla mortalità, dalla passività, dalla incapacità, dalla fragilità che affetta ogni uomo e ogni donna. Il rimedio a questa pena temporale consiste per Tommaso nella pena della passione che Cristo ha vissuto e che come tale libera tutti coloro che partecipano alla sua passione mediante la fede e i sacramenti. Questa prima forma di “pena temporale” è dunque generale. Vi è però una seconda forma di pena temporale, che riguarda invece i singoli e vengono inflitte a ciascuno a sua volta in modo duplice. In primo luogo come conseguenza della colpa, che chiede il debito della pena. Questo primo modo di ricevere la pena può essere superato in due modi: anzitutto nel battesimo, che ci da partecipare alla morte del Signore, che ha efficacia verso ogni colpa e pena. Secondariamente nella penitenza, che, per usare la espressione di Tommaso, «per realem conformitatem ad ipsum, scilicet inquantum Christo patiente patimur». Assai interessante è il fatto che la differenza, tra il sacramento del battesimo e il sacramento della penitenza sia la “reale conformità a Lui, come passione del Cristo che ha patito”. Qui Tommaso aggiunge una ulteriore preziosissima annotazione. Siccome la penitenza implica che questa conformazione a Cristo ( haec conformatio) avvenga mediante una nostra azione (fit per nostram operationem), ne deriva che sia o imperfetta o perfetta (ideo contingit quod est imperfecta, et perfecta). Quando la conformazione mediante la azione è perfetta, tutta la pena viene rimessa, o solo nella contrizione o negli altri atti del penitente. Quando invece questa conformazione non è perfetta, resta un obbligo di pena, da compire o qui o in Purgatorio. Resta poi il corno alternativo alla comprensione delle pene come “vendetta”, ossia le pene come “medicina” sia verso se stessi, sia verso gli altri. In questa diversa visione, Tommaso propone una lettura sorprendente: nella vita temporale, esposta alla tentazione, le pene subiscono addirittura un incremento in rapporto alla passione di Cristo: «hoc modo per passionem Christi poena temporalis non est neque totaliter ablata, neque diminuta, sed magis augmentata caritate crescente, quantum ad praesentem statum, in quo et peccare possumus, et proficere nobis et aliis». La pena non è né totalmente rimessa, né diminuita, ma piuttosto aumentata dal crescere della carità, che ci rende più chiara la possibilità di peccare quanto a noi stessi e la opportunità di aiutare noi stessi e gli altri.
Ne possiamo desumere un modello di comprensione del tema “pena temporale” che si snoda con una rete di distinzioni davvero preziose:
a) pena eterna o pena temporale
b) pena temporale come retribuzione o come medicina
c) retribuzione generale naturale o retribuzione specifica e singolare
d) battesimo o penitenza come due “remissioni della pena temporale”
e) penitenza con conformazione perfetta o imperfetta del penitente a Cristo
f) pena come medicina, dove la relazione con il mistero pasquale anziché diminuire, o cancellare, aumenta la pena con il crescere della carità.
Queste distinzioni oggi sono del tutto dimenticate, non solo perché non fanno parte di una dottrina comune, ma perché sono prive di percezione da parte del penitente. Nessuno non solo le sa, ma neppure le sente. Il fatto che si possa pensare il sacramento della penitenza senza più percepire la questione delle “pene temporali” costituisce una delle prove della “crisi del IV sacramento”. Il sacramento della crisi è entrato in crisi, ma non per mancanza di soggetti che lo domandano, ma per la carenza di argomentazione che lo giustifica.
B. Alcune conseguenze sul fare penitenza della Chiesa.
Come è evidente da una lettura puntuale della teoria scolastica circa la “pena temporale”, essa nasce dalla relazione con i beni temporali, ossia con ciò che di buono la vita ci offre e che nella nostra esperienza può volgersi in male. Non a caso in prima fila, nei beni temporali, ci sono la vita terrena, la salute, la virtù…così le pene temporali sono anzitutto la morte, la malattia, la fragilità, il vizio. Queste sono pene che non si possono levare, ma che possono essere lette in vista della vita eterna. Il vero problema, per la salvezza, sono le “pene eterne”, non le temporali. Tanto è vero che le indulgenze, per la loro struttura, non sono obbligatorie, ma facoltative. Nessuno è tenuto a celebrarle, perché incidono su quelle pene temporali che sono la conseguenza di atti di perdono che attendono dal soggetto una risposta (quella che Tommaso chiama “operatio”) che fa parte del sacramento.
Questo mi pare l’aspetto più interessante della questione: ossia che il concetto di pena temporale
mette in luce una struttura del sacramento della penitenza più complessa di quello che ordinariamente pensiamo. Provo a riassumerlo in una forma sintetica, in una serie di punti:
1. La parola “penitenza” non indica anzitutto uno dei 7 sacramenti, ma descrive una condizione creaturale di conversione, in pare necessaria e in parte voluta e può essere identificata come
– passione
– azione
– virtù
– sacramento
2. La scoperta di questo “retroterra penitenziale” del IV sacramento è decisiva se si vuole comprenderne la struttura complessa. Sono nell’orizzonte di una vita segnata dalle dinamiche passive, attive e virtuose di conversione/penitenza, si può capire il IV sacramento nella sua verità
3. Le tre dimensioni di passione, azione e virtù sono parte della vita umana e della esperienza battesimale. Ogni uomo e ogni donna vive la soglia tra passione, azione e virtù (ossia il patire un male, l’agire bene e la abitudine al bene) come un travaglio illuminato dal battesimo che diventa eucaristia.
4. Questa condizione “penitenziale” accade integralmente dentro la logica della iniziazione cristiana, senza alcun bisogno di un “altro sacramento” della penitenza. Si vive la penitenza come passione azione e virtù.
5. La dottrina cattolica, a differenza di altre confessioni cristiane, considera come reale la eventualità che il soggetto battezzato, che vive la comunione con Cristo, possa entrare gravemente in crisi e abbia perciò bisogno di un “altro sacramento” che lo riconduca all’interno della comunione con Dio e con la comunità ecclesiale.
6. Questo IV sacra.mento è strutturato in modo diverso dai sacramenti della iniziazione cristiana. In esso, infatti, non c’è soltanto il dono di grazia, ma anche la risposta della libertà. Questo è stato chiaro almeno fino al Concilio di Trento e ancora il decreto sulla giustificazione e il decreto sulla penitenza ne offre una lettura limpida.
7. Ciò che invece è cambiato, in seguito alle affermazioni tridentine, è la estensione alla penitenza di una comprensione troppo semplice e del tutto unilaterale della “efficacia” dei sacramenti. Una teoria distorta della efficacia “ex opere operato”, estesa indebitamente al sacramento della penitenza, ha persuaso larga parte della Chiesa (chierici e laici) che il sacramento della penitenza consiste in una parola di perdono detta efficacemente sul peccato del battezzato. Ma se il IV sacramento viene ridotto alla parola di assoluzione non viene più compreso nella sua differenza dalla iniziazione cristiana. Non è più sacramento di guarigione, ma ripetizione della iniziazione.
8. Il sacramento della penitenza si qualifica non solo e non anzitutto per la nuova offerta di perdono, che ha in comune con i sacramenti della iniziazione, ma per la presenza degli “atti del penitente” che riguardano il cuore, la bocca e il corpo del peccatore perdonato. Questo “lavoro di risposta” è parte costitutiva e qualificante del sacramento.
9. Il concetto di “pena temporale”, sotto questo punto di vista, è utile per uscire dalle logiche immediate che affliggono la penitenza nella tradizione cattolica. Questa immediatezza è una deriva moderna della tradizione, causata indirettamente dalla sintesi tridentina, che pure ha parlato correttamente del sacramento come di un “battesimo laborioso”.
10. Possiamo rivalutare il concetto di “pena temporale” pensandolo con una distinzione diversa da quella medievale. Per i medievali “pena temporale” è alternativa a “pena eterna”. Per i post-moderni “pena temporale” è alternativa a “riconciliazione immediata”. Riscoprire che il sacramento della penitenza esige un tempo disteso per la risposta al perdono assicurato da Dio e che non può essere ridotto ad un atto immediato di remissione (sulla base di una interpretazione forzata della efficacia ex opere operato) costituisce la opportunità di comprendere meglio la dinamica penitenziale, nel suo complesso articolarsi di passione, azione, virtù e sacramento.
Il concetto di “pena temporale”, avendo il tempo come propria specifica caratteristica, difficilmente può essere spostato oltre la morte. Il rilievo della dimensione temporale, dove non c’è più tempo, diventa un concetto contraddittorio. La pena temporale ha però ancora una pertinenza teologica, perché riguarda non anzitutto ciò che non è “pena eterna”, ma ciò che non è “salvezza immediata”: ossia la vita storica dei battezzati, in cui alla immediatezza con cui Dio perdona corrisponde la lenta e sofferta risposta di un essere non immediato come l’essere umano. La frase citata dalle Provinciali di Pascal, che risuona ironicamente all’inizio di questo scritto, delinea, a metà del XVII secolo, la linea di recezione del Concilio di Trento che ha preparato la nostra incomprensione di oggi. Uscire da quella visione di “dilazione” della pena temporale fuori dal tempo significa recuperare la penitenza in tutta la sua ricchezza e complessità.