Chi scriverà un “Diario del Sinodo”?


Perché è così difficile un serio confronto teologico in vista del Sinodo dei Vescovi?

In questi giorni ho ascoltato, ripetutamente, la lettura a tavola del “Diario del Concilio” di Yves Congar. E’ un testo sorprendente,scintillante, arguto, per molti versi impressionante e ricchissimo di osservazioni, giudizi lapidari, delicate mediazioni, riflessioni morali e spirituali. Ma una cosa mi ha colpito in modo più acuto. Nella Chiesa conciliare degli anni 1962 e ’63, raccontati in quelle pagine, vi era un confronto a tutto campo e a 360 gradi, su ogni tema. Le diverse posizioni in gioco si confrontavano continuamente, dibattevano, trovavano compromessi, accendevano scontri, ma tutto avveniva in una forma diretta, aperta, argomentata. Congar, nel suo testo, può enumerare continue prese di posizioni di Vescovi, di Cardinali, di esperti, di teologi, di pastori.
Mi sono chiesto: che cosa è rimasto di tutto ciò? Ci manca, oggi, il gusto del confronto. Preferiamo squalificare l’avversario prima ancora che abbia espresso la sua posizione. Preferiamo tacere pubblicamente e mormorare privatamente. Preferiamo restare nel vago e non definirci. Dovremmo appassionarci al servizio dell’oggetto, non anzitutto posizionarci come soggetti. Dovremmo sviscerare le questioni, senza fare sconti, anche se con grande rispetto.
Avremmo bisogno di uno stile “radicale” e insieme “pudico”. Ascoltando le parole di quel Diario di Congar mi dicevo: ma come si potrà scrivere, domani, un Diario del Sinodo?  Se le questioni che riguardano la “famiglia” non vengono discusse ampiamente, liberamente, attentamente, con gusto e con passione, come potremo trovare soluzioni realmente convincenti?
Un motto della saggezza “romana” dice: “non c’è problema, per quanto grave, che, restando chiuso in un cassetto per anni, non finisca per risolversi da sé”. Non vorrei che questo concentrato di cinismo e di indifferenza diventasse per noi come un undicesimo comandamento. Non mi sembrano lontani da queste “soluzioni” anche i propositi di quei teologi che, richiesti di dire la loro sui temi più urgenti, preferiscono “parlare dopo il Sinodo”, con la preoccupazione di non correre il rischio di essere smentiti!  Sarebbe così assurdo pensare che è il Sinodo ad avere bisogno di un previo confronto teologico, per lasciarsi ispirare dal dibattito e per poter affrontare le questioni sulla base di un lavoro in parte “già avviato”?

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