Ciò che dal cuore sovrabbonda


VIII Domenica del Tempo ordinario – C

Lc 6,29-45

Al termine del discorso del piano di Luca troviamo una serie di detti di Gesù che a prima vista potrebbero sembrare scollegati tra di loro, come se l’Evangelista avesse voluto radunare qui materiale diverso tratto in gran parte da una fonte comune con il Vangelo di Matteo. Tuttavia, possiamo chiederci se ci sia un tema che unifica questi detti e un messaggio principale che ha spinto Luca a mettere insieme tutti questi detti di Gesù.

Innanzitutto possiamo sottolineare che tutti questi detti sono caratterizzati da una impostazione polare: ci sono sempre due poli in gioco in ognuno dei detti qui riportati. Si parla infatti di due ciechi, di maestro e discepoli, di pagliuzza e di trave, di albero buono e di albero cattivo, di uomo buono e di uomo cattivo, di male e di bene. È un primo elemento che ci aiuta a comprendere il messaggio di fondo di questi detti di Gesù. Essi sono un invito al discernimento. I discepoli di Gesù devono vivere nella storia con uno spirito di continuo discernimento per saper riconoscere il bene e il male. Infatti, c’è sempre il rischio di sentirsi sempre dalla parte del bene e della ragione, tanto da essere accecati.

Se la necessità del discernimento come stile del discepolo attraversa tutto il brano, c’è anche un secondo tema che sembra appartenere a tutti questi detti. Si tratta del rapporto maestro e discepolo. Il discorso della pianura nel Vangelo di Luca termina trattando un tema fondamentale all’interno della comunità: quella delle guide, cioè di coloro che si credono maestri. Tale tema si sviluppa attraverso vari passaggi: l’immagine di un cieco che cerca di guidare un altro cieco (Lc 6,39-40), quella della trave e della pagliuzza (Lc 6,41-42), quella dell’albero buono e dell’albero cattivo (Lc 6,43-45).

La prima immagine è un forte richiamo alla responsabilità per coloro che nella comunità dei discepoli di Gesù hanno un ruolo di guida. Se il maestro è cieco, non potrà che guidare i suoi discepoli «in un fosso», cioè fuori strada. La strada nelle Scritture è l’immagine della via di Dio. Il maestro nella comunità ha il compito unico di guidare gli agli a camminare sulla medesima vita di Gesù. Se lui stesso è cieco e incapace di sequela, come potrà guidare altri? Un forte richiamo alle guide della comunità a mettere principalmente al centro la loro sequela del Signore: chi non è alla sequela di Gesù non può essere guida di altri. Un discepolo «che sia ben preparato, sarà come il suo maestro» (Lc 6,40). Il maestro a quindi responsabilità grande nei confronti del discepolo.

La seconda immagine è anch’essa collegata alla vista, sottolineando ancora una volta il suo valore simbolico in riferimento alla sequela. Chi non vede bene non può camminare sulla via di Gesù, non può stare alla sua sequela. L’immagine della pagliuzza e della trave è un richiamo ai maestri e alle guide della comunità a giudicare prima di tutto se stessi. Non si può essere guide e maestri se non si sanno vedere e riconoscere i propri limiti, le proprie difficoltà nella sequela, il proprio peccato. Il maestro nella comunità deve avere innanzitutto la consapevolezza di essere lui per primo un peccatore perdonato, un cieco bisognoso di guarigione.

L’ultima immagine è tratta dal mondo vegetale. Si fa un parallelismo tra alberi buoni e uomini buoni, tra alberi cattivi e uomini cattivi. Come da alberi buoni provengono frutti buoni, mentre da alberi cattivi non possono che venire frutti cattivi, così è anche del rapporto tra maestri e discepoli nelle comunità cristiane. Si tratta di un forte invito alle guide della comunità a prendersi cura della propria interiorità. Non può essere guida di altri chi non si prende cura della propria interiorità, del proprio rapporto con Dio. Spesso pensiamo che prendersi cura di sé sia sottrarre tempo agli altri. Il Vangelo invece di dice che il primo servizio agli altri che chi svolge un ruolo di guida deve avere è proprio quello di prendersi cura si sé e della propria interiorità. Se «il tesoro del cuore» non è buono, non ne può venire il bene. Significativo è l’invio a fare discernimento a partire dai frutti: un albero buono, una guida buona, non può che portare frutti di bene.

Questo testo, così apparentemente frammentario, ad una attenta lettura si rivela nella sua unitarietà. Un invito profondo e severo rivolto alle guide delle comunità, ma anche alle comunità in quanto tali. Infatti, la logica della trave e del frutto non vale solo per i singoli che hanno funzioni di guida, ma anche per le comunità cristiane nel loro insieme.

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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