Come fraintendere la “naturale rassomiglianza”


Su un luogo comune a sostegno della “riserva maschile”

Due tra i volumi più importanti che studiano la relazione tra donna e ordinazione (il volume di Alberto Piola e quello di Luca Castiglioni) convergono nell’identificare nel concetto di “naturale rassomiglianza” una delle argomentazioni principali contro la ammissione della donna al ministero ordinato. E’ interessante osservare, tuttavia, come il cuore di tutta questa giustificazione antropologica si fondi, almeno sul piano magisteriale, su una citazione di Tommaso d’Aquino che è stata clamorosamente fraintesa: nella Dichiarazione Inter Insigniores, e ancor più nel Commento alla Dichiarazione apparso contestualmente ad essa sull’Osservatore Romano, è stato utilizzato il concetto di “naturale rassomiglianza” in un senso che non è affatto confermato dalla fonte tomista. Esaminiamo con cura questo passaggio fondamentale.

Già A. Piola, nel suo testo monumentale di ricostruzione di tutto il dibattito intorno alla questione della ordinazione sacerdotale della donna, segnalava come intorno a questo concetto vi fosse una citazione della fonte incompleta. Egli scriveva infatti: “La citazione dell’Inter Insigniores tronca la frase di Tommaso d’Aquino che invece continuava con le parole; ‘mulier autem ex natura habet subiectionem” (A. Piola, Donna e sacerdozio (Cantalupa 2006), nota 156, p. 455)1. Qui tuttavia è necessario ricostruire bene i singoli passaggi, perché la sacramentaria di Tommaso viene utilizzata dalla Dichiarazione in modo profondamente distorto. Esaminiamo meglio il testo citato dalla Dichiarazione da considerare:

“« I segni sacramentali – dice S. Tommaso – rappresentano ciò che significano per una naturale rassomiglianza ».Ora, questo criterio di rassomiglianza vale, come per le cose, così per le persone: allorché occorre esprimere sacramentalmente il ruolo del Cristo nell’Eucaristia, non si avrebbe questa « naturale rassomiglianza », che deve esistere tra il Cristo e il suo ministro, se il ruolo del Cristo non fosse tenuto da un uomo: in caso contrario, si vedrebbe difficilmente in chi è ministro l’immagine di Cristo. In effetti, il Cristo stesso fu e resta un uomo.”

Come apparirà chiaro, questo testo di Inter Insigniores utilizza un passo di Tommaso d’Aquino, senza approfondirne né la fonte né il contesto. Ad un esame più attento, infatti, risulta facile riconoscere la debolezza della argomentazione magisteriale, che ricorre ad un testo il cui contenuto reale, di fatto, smentisce le premesse stesse del documento magisteriale. Cerco di esporre con semplicità il frutto della mia ricerca:

1. La espressione di Tommaso citata da Inter insigniores appare nel Commentario alle sentenze di Pietro Lombardo (Super Sent., lib. 4 d. 25 q. 2 a. 2 qc. 1 ad 4) ed è parte di una risposta alla discussione, che non riguarda la ordinazione della donna, ma quella dello schiavo (l’articolo 2 si intitola infatti “Se la schiavitù sia impedimento alla ricezione dell’ordine”)! Il testo della citazione integrale, che risulta molto breve, suona così:

“ Ad quartum dicendum, quod signa sacramentalia ex naturali similitudine repraesentant; mulier autem ex natura habet subjectionem, et non servus; et ideo non est simile.”

2. Come è evidente se si legge il testo per intero, il riferimento alla “similitudo” non riguarda di per sé la “somiglianza maschile/femminile” rispetto al Signore, ma la dissomiglianza della “condizione di schiavitù”, che lo schiavo ha per contratto o per convenzione, mentre la donna ha “per natura”. Per capire meglio questa risposta, tuttavia, bisogna leggere la obiezione cui risponde, che si trova qualche pagina prima.

3. La posizione che viene confutata nel “ad quartum” citato sopra è la seguente, che sostiene la non ordinabilità dello schiavo, che sarebbe un caso “più grave” rispetto a quello della donna:

Sed contra, videtur quod (servitus) impediat quantum ad necessitatem sacramenti. Quia mulier non potest suscipere sacramentum ratione subjectionis. Sed major subjectio est in servo; quia mulier non datur viro in ancillam, propter quod non est de pedibus sumpta. Ergo et servus sacramentum non suscipit.”

Questo testo, che costituisce l’oggetto della confutazione di Tommaso, richiama un passo di interpretazione della creazione della donna dalla costola di Adamo che Tommaso presenta così nella Summa Theologiae.

Era conveniente che la donna fosse formata dalla costola dell’uomo. Primo, per indicare che tra l’uomo e la donna ci deve essere un vincolo di amore. D’altra parte la donna “non deve dominare sull’uomo” [1 Tm 2, 12], e per questo non fu formata dalla testa. Né deve essere disprezzata dall’uomo come una schiava: perciò non fu formata dai piedi. Secondo, per una ragione mistica: poiché dal costato di Cristo dormiente sulla croce dovevano scaturire i sacramenti, cioè il sangue e l’acqua, con i quali sarebbe stata edificata la Chiesa.” (S. Th. q92 a3 co)

Possiamo dunque scoprire che la “similitudo” di cui si parla, nel testo di Tommaso riguarda non il rapporto tra Cristo e il suo ministro ordinato, come la intende Inter insigniores, ma la somiglianza tra la condizione di schiavo e la condizione di padrone. La “similitudo” negata da Tommaso è la relazione tra lo schiavo e la donna circa il “defectus eminentiae gradus”. E viene contestata proprio per il fatto che la “carenza di autorità” per lo schiavo è reversibile, mentre per la donna non lo è. La natura, per Tommaso, pone la donna in una soggezione insuperabile. La “naturale rassomiglianza” richiesta non riguarda perciò la forma fisica o l’anatomia, ma la capacità di esercitare la autorità e di essere “a capo” di una comunità.

4. La controprova della non pertinenza del presunto principio della sacramentaria tomista invocato da Inter Insigniores  si trova leggendo i testi che precedono quelli a cui abbiamo fatto riferimento, ossia quelli dell’articolo 1, dedicato specificamente alla questione “Se il sesso femminile sia un impedimento alla ricezione dell’ordine”. In questa parte del commento il principio invocato da Inter insigniores appare in forma diversa, ossia con un ragionamento leggermente più ampio, ma che chiarisce ancora meglio la “mens” di Tommaso e la sua profonda differenza dalla intenzione con cui Inter insigniores lo assume, in una prospettiva profondamente diversa.

5. Anche in questo caso la citazione utilizza la logica della “similitudo”, allegando anche un esempio, tratto dal sacramento della unzione degli infermi. Leggiamo il passo

Unde etsi mulieri exhibeantur omnia quae in ordinibus fiunt, ordinem non suscipit: quia cum sacramentum sit signum, in his quae in sacramento aguntur, requiritur non solum res, sed significatio rei; sicut dictum est, quod in extrema unctione exigitur quod sit infirmus, ut significetur curatione indigens. Cum ergo in sexu femineo non possit significari aliqua eminentia gradus, quia mulier statum subjectionis habet; ideo non potest ordinis sacramentum suscipere.” (Super Sent., lib. 4 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 1 co.)

Come è evidente dal ragionamento proposto da Tommaso, la domanda non solo della “res”, ma della “significatio rei”, che in qualche modo equivale a quanto sostenuto a proposito della “similitudo” nel caso precedente, viene argomentata esclusivamente in rapporto alla “significatio” della “eminentia gradus”: il sesso femminile è escluso dalla ordinazione non perché “difforme” rispetto al corpo maschile, ma perché incapace di “significare ed esercitare la autorità”.

6. Tutto ciò fa apparire in modo assolutamente chiaro che la citazione utilizzata da Inter insigniores, se ricompresa nel suo contesto coerente, riconduce la argomentazione di Tommaso non alla somiglianza del sesso maschile del ministro con il sesso maschile di Gesù, potremmo dire inteso nel suo lato oggettivo e formale, ma alla somiglianza di autorità e di assenza di subordinazione, di soggezione e di schiavitù dell’ordinando rispetto al Signore nella cui persona deve agire. Così pare evidente la debolezza della argomentazione magisteriale, condotta sulla base di una presunta evidenza che il testo di Tommaso non contempla, e che non fa altro che ribadire proprio quella impostazione classica che assume la relazione tra uomo e donna segnata non solo da una legittima differenza, ma da una strutturale subordinazione della seconda al primo.

Come accade più frequentemente di quanto si pensi, anche in questo caso un testo di Tommaso d’Aquino, soprattutto quando formula un “principio” o un “criterio generale”, se sganciato dal suo contesto originario, può essere utilizzato in modo fuorviante, per dare autorevolezza ad una posizione obiettivamente assai debole, e comunque molto diversa da quella sostenuta dal Dottore angelico. Tommaso non utilizza mai nella discussione sugli impedimenti alla ordinazione l’argomento della somiglianza corporea, se non riferendola al “difetto di autorità”. In altri termini, lo schiavo non può essere ordinato perché privo di autorità. Ma lo schiavo può superare questo impedimento, che non gli deriva dalla natura, ma dalla tradizione e da contratto. Invece la donna “ha la schiavitù per natura” e per questo non può essere ordinata. La ragione della dissomiglianza non è la “forma” o la “struttura corporea” femminile, ma il “defectus eminentiae gradus”.

Se letta nel suo contesto, quindi, la affermazione sulla “rassomiglianza” – riproposta dal documento del 1976 e dai documenti che lo accompagnano – riafferma soltanto la prospettiva che per Tommaso risultava decisiva: ossia la “mancanza di autorità della donna” come principio antropologico e sociologico del suo tempo e che si imponeva anche alla discussione teologica, la quale si lasciava istruire volentieri da questa evidenza culturale. Però noi abbiamo superato questa evidenza da almeno mezzo secolo.

Essendo Inter insigniores introdotta da una semicitazione del testo con cui Papa Giovanni segnala in Pacem in terris la acquisizione della “donna nello spazio pubblico” come “segno dei tempi, sembra davvero paradossale che per dar seguito a questa nuova affermazione, di cui si fregia il titolo del documento, si sia fondata la soluzione argomentativa “di convenienza” su un testo medievale che conferma precisamente ciò di cui oggi dovremmo liberarci. Se si ribadisce in premessa che “per natura la donna non può comandare”, ogni discussione teologica risulta superata e senza alcuno spazio e troppo facilmente risolta.

Una semplice esegesi tomista, condotta nel contesto da cui Inter insigniores trae la affermazione di Tommaso, libera il campo per argomentazioni davvero convincenti, che debbono essere nuove, giacché scaturiscono da un mondo trasformato dalla libertà e dalla eguaglianza. La debolezza obiettiva delle argomentazioni del magistero, di cui il teologo deve fare accurata rassegna, liberano il campo per una ricerca di argomentazioni più forti e più convincenti, che rispondano davvero alla questione sollevata da Giovanni XXIII e accettino che, in rapporto al femminile, qualcosa di decisivo è accaduto tra XIX e XX secolo, di cui il XXI secolo deve dar conto, senza ambiguità e con coraggio. La “rassomiglianza naturale” richiesta da Tommaso è la “assenza di schiavitù”: a suo avviso possibile per lo schiavo, ma impossibile per la donna. Il suo testo, dunque, assume un orizzonte che non è più il nostro. Le “insigniores notas” che il mondo da 60 anni ci offre – dalle quali la Chiesa dovrebbe disporsi ad imparare qualcosa e tra le quali spicca  la entrata delle donne nella vita pubblica – esigono dalla parola del magistero e dalle riflessioni dei teologi che predispongano al più presto “insigniores cogitationes”.

1Va detto che la segnalazione di Piola, sulla incompletezza della citazione che la Dichiarazione fa del testo di Tommaso, è a sua volta incompleta. In effetti il tenore letterale del brano di Tommaso, dal quale si trae il “criterio” della naturale rassomiglianza, non continua solo con “mulier autem ex natura habet subjectionem”, ma presenta, dopo questa clausola apparente, una chiusa ulteriore: “et non servus, et ideo non est simile”. Come vedremo subito dopo, questa clausola chiarisce che il discorso non riguarda la donna, ma lo schiavo. E il criterio invocato da Inter Insigniores non riguarda la “anatomia femminile”, ma la “soggezione”! Anche Luca Castiglioni, nel suo recente studio su Figlie e figli di Dio (Brescia 2023), quando discute la nozione di “naturale rassomiglianza” con finezza alle pp. 219-220, non rileva questo errore originario nella fonte della nozione.

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