Dai “sommi pontefici” ai “custodi della tradizione”: le peripezie del rito romano
Con il MP “Traditionis custodes” (=TC) accadono diverse cose, che si possono comprendere se si mette questo testo a confronto con quello di 14 anni fa, “Summorum Pontificum” (=SP).
a) Anzitutto il titolo: soggetto del discorso sono i vescovi, non i papi. E la questione è decisiva. Con SP un atto papale sollevava i Vescovi da alcune incombenze che sono loro proprie: anzitutto dall’esercizio della autorità sulla liturgia nella loro diocesi. Con TC questa autorità viene restituita ai suoi legittimi detentori. Questo è principio ecclesiologico e strutturale, che il Concilio Vaticano II ha ristabilito e che merita di essere difeso come un bene prezioso.
b) Se il soggetto episcopale è restaurato da una “deminutio capitis”, anche il “tema” è riconsegnato alla sua piena evidenza. Come dice TC al suo articolo 1. ” I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano.” Questa affermazione soppianta radicalmente l’ardito sofisma su cui si reggeva SP: ossia la “covigenza parallela” di due forme rituali, di cui una contraddiceva l’altra. Il ristabilimento di “una sola forma vigente del rito romano” è l’unico orizzonte su cui è possibile costruire la pace. Ogni altra ipotesi, per quanto bene intenzionata, crea divisioni e incomprensioni crescenti.
c) In SP il punto di maggiore rottura con la tradizione era stato l’art. 2, che stabiliva la “irresponsabilità pastorale” di qualunque ministro ordinato. Egli poteva scegliere di celebrare con la forma ordinaria o straordinaria, nelle messe senza popolo, senza rispondere a nessuno della sua scelta. Come era evidente già 14 anni fa e come pochissimi hanno voluto rilevare, questo è un principio non di conciliazione, ma di disgregazione della Chiesa. Oggi, con TC, se Dio vuole, si superano i sofismi e si torna al buon senso. Si celebra con il rito comune a tutti, salvo specifica autorizzazione episcopale. Non può esistere una concorrenza originaria tra due forme rituali di cui una è nata per emendare la precedente.
d) Il teorema astratto che reggeva la “ipotesi” SP era che le due forme rituali avrebbero generato un nuovo equilibrio e avrebbero imparato qualcosa, una dall’altra. Così non è stato. Anzi, la polarizzazione è cresciuta a dismisura, proprio a causa del parallelismo rituale benedetto dall’alto. Ora dobbiamo riconoscere che vi è un unico tavolo: quello del rito riformato secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II. La tradizione del rito romano si trova lì, non altrove. E non sarà più possibile che interi uffici di Congregazione possano perdere il loro tempo a riformare una forma dei rito romano che non è più vigente.
e) L’effetto di scavalcamento, che SP aveva determinato, non era solo quello subito dai Vescovi, ma anche quello subito dall Congregazione del Culto divino, che si era vista scavalcata sia dalla Commissione Ecclesia Dei, sia dalla Congregazione per la Dottrina della fede. Ora la competenza torna ai soggetti naturali: i vescovi e la Congregazione per il Culto divino. Non vi è più una “competenza separata” sulla “forma straordinaria” del rito romano, che non ha più una esistenza autonoma.
f) Come dice Francesco, nella lettera ai Vescovi che accompagna TC, ” proprio il Concilio Vaticano II illumina il senso della scelta di rivedere la concessione permessa dai miei Predecessori”. Questa evidenza è centrale: il rito romano grazie al Concilio ha superato quei limiti che non possono restare, in parallelo, come una “altra liturgia”, senza determinare la presenza di una “altra Chiesa”. Vi era, negli effetti di quelle “concessioni”, la possibilità di alimentare una Chiesa che si immunizzava dal Concilio Vaticano II e che si contrapponeva al cammino comune. Il VO era diventato, anche grazie a SP, quasi il simbolo dell’anti-Concilio: per questo i criteri di accesso ad esso dovevano essere accuratamente rivisti. Per non generare mostri.
La cosa veramente straordinaria, in tutta questa vicenda, non è tanto il ristabilimento della normale relazione tra lex orandi e lex credendi, che viene assicurato da TC. Straordinario a me pare il fatto che per 14 anni spesso si sia giustificato l’ingiustificabile, che molti canonisti si siano piegati al positivismo della legge, che non pochi liturgisti abbiano attaccato l’asino dove voleva il padrone, che si siano scritti articoli e addirittura volumi in cui si arrivava a giustificare una “doppia formazione rituale” per i futuri preti e che tutto questo sia stato sostenuto, avallato, talora sollecitato da pastori e da presunti competenti. Sembrava che SP fosse diventato, anche per diversi teologi, una sorta di destino con cui convivere. E’ stato un abbaglio in “forma straordinaria”, di cui dovremo far tesoro per il futuro. Invece, il papa figlio del Concilio ha avuto il buon senso e la saggezza di dire: ora basta. E di aprire una fase nuova, in cui la qualità dell’atto rituale si gioca su un unico tavolo, comune e ordinario, ecclesiale e popolare. Un piccolo e grande segno che la riforma conciliare non si può fermare, né inventandosi una lingua che non c’è, né riesumando una forma rituale che non c’è più. Si può solo accompagnare con cura e con disponibilità la forma comune, senza riserve e a carte scoperte, in quella “scuola di preghiera” che sono i nuovi riti.
Il Sommo Pontefice mostra pontificalmente e magistralmente chi è il vero custode della Tradizione. Manda il carro funebre dei tradizionalisti, coperto di drappi neri con lacrime d’argento, indietro nel passato. È la prima volta ch”io rido a un funerale!
Come al solito non sto ne con gli ideologi del tradizionalismo ne con quelli del modernismo: tutti uniti dalla stessa matrice, il razionalismo.
Cerco il discernere del cuore divino e umano di Gesù. Mi pare che al vescovo vada riconosciuta nella giusta misura autorità a tutto campo e che lo stesso vescovo si possa avviare a far partecipare molto di più il popolo che cammina nella fede, anche sui media. Perché questo possa avvenire sempre più profondamente finché la scuola è questa del falsamente neutro razionalismo si può cercare tra l’altro ogni via perché i genitori dialoghino con i figli sui loro studi scolastici alla luce di una libera ricerca identitaria e di un solo allora autentico scambio.
Cercare anche ogni altra concreta via di sblocco di una vissuta, non intellettualistica, sinodalità.
https://gpcentofanti.altervista.org/la-dittatura-impedisce-la-maturazione/
“Il ristabilimento di “una sola forma vigente del rito romano” è l’unico orizzonte su cui è possibile costruire la pace.”
Desertum fecerunt et eum pacem appellaverunt
Mi sposterò sulla fraternità San Pio X……nessun problema!
Credo che il problema ci sia, e anche grande. Se posso, dire “nessun problema” è proprio il suo problema.
Carissimi, buona domenica! Grazie Andrea per la diaconia attenta e premurosa con la quale accompagni documenti e dibattiti. Se può essere utile, mi permetto di offrire due considerazioni.
A. Contrariamente a quanto si sarebbe inclini a pensare, la tradizione viva della Chiesa concretamente è l’insieme delle trasformazioni che la Chiesa ha vissuto per motivi storici, culturali, politici, “ambientali” etc… e che essa ha considerato compatibili con la sua identità semper reformanda! Trasformazioni anche notevoli, basti pensare all’ingresso dell’omohousios nel credo, la rivoluzione culturale della scolastica o del barocco e così via; e ciò perché la storia con i suoi segni dei tempi e le sue sfide può diventare un kairos permanente per incrementare la conoscenza/esperienza del mistero di Dio-con-noi. Ogni accoglienza delle acquisizioni del passato, pertanto, va vissuta nella sua apertura in avanti, verso il Signore che viene e sempre sorprende. Spesso la migliore fedeltà alla tradizione va esercitata nell’arricchirla di altre trasformazioni. Nel nostro caso, la riforma della liturgia è stata voluta da un grande Concilio, che si è reso interprete anche della grande attesa del popolo cristiano a sentirsi pienamente ‘celebrante’ del mistero salvifico proprio nell’atto stesso e nelle modalità congruenti di celebrarlo.
B. D’altra parte, il messale del Concilio di Trento non era stato a sua volta espressione vincolante di riforma rispetto alle espressioni rituali precedenti? Qualcuno avrebbe potuto appellarsi a un messale medievale! Comunque, teniamo in conto che spesso il semplice volere tornare all’antico di fatto viene a coincidere col ritorno al semplice passato prossimo, che è stato nuovo rispetto al passato remoto e ancor più rispetto … al trapassato (senza volere offendere nessuno dei nostri cari estinti!).
Ciò non esclude che possono essere messe in conto – sul piano psicologico – anche legami personali col passato e certe sue atmosfere. Ma una volta individuati i limiti del passato (espropriazione del popolo cristiano dalla partecipazione al rito nella espressività della sua forma, non realizzazione della ecclesialità nel rito, separazione clero-laici…), perché non lasciare riplasmarsi dalla nuova forma che la Chiesa, attraverso l’autorevolezza del suo ministero conciliare e papale, offre? A poco a poco noteremo anche nuovi limiti dell’attuale riforma; ma questo fa parte del cammino della Chiesa. La soluzione non sarà certamente il semplice guardare all’indietro, piuttosto portare il passato (anche quello nostro personale) continuamente in avanti e in alto per accogliere, in maniera , speriamo, sempre meno limitata, il Novum di Dio.
Cosimo Scordato, amico
,cosimscordato@libero.it
L’unica cosa che appare palmare è che la “meravigliosa” liturgia riformata (rectius costruita e non formata), abbia bisogno di un “atto positivo” severo ed autoritario per essere accattata. È il fallimento della Riforma nero su bianco. Ma non basterà certo questo assieme a chiese e seminari vuoti a far vedere la realtà a chi ha gli occhi foderati da prosciutto ideologico. La rozza retorica con la quale è stato messo in campo San Pio V, è irricevibile e offensiva dell’intelligenza. Diciamo che nell’intero documento se ne trova abbastanza da andarne poco fieri. Ma anche in questo caso il pregiudizio teologico è premessa e cagione di cecità.
Non credo che questo sia un giudizio serio. QUi si prende la difesa per offesa. La riforma è stata messa in questione da SP e ora semplicemente viene ristabilita la verità di 60 anni di storia. Che lo si voglia o no, la tradizione passa per il NO. Il VO non è più vigente. Chi vuole nutrirsi, sa che cosa fare. Chi vuole solo fare polemiche, può correre dietro a Burke. Nessuno lo fermerà. Così è possibile che il buon senso sia considerato follia e la follia buon senso. Non è la prima né sarà l’ultima volta. Ma non cadiamo nel tranello di uscire dalla storia per restare Chiesa. Questa è una strada senza uscita.
Io non ho problemi sull’accettazione del Concilio, sulla validità del NO etc….
Non sono neppure destrorso, reazionario,..etc
Semplicemente mi trovo in sintonia con la spiritualità del VO, non sopporto gli abusi del NO (tra l’altro sottolineati dal papa che nella lettera ha invitato i vescovi ad intervenire…..vediamo ….) e quindi non sono di quelli che ha bisogno di tempo per tornare al NO. Finché ci sarà qualcuno che celebra VO io lo seguirò..dal vivo o in streaming……
Quando non riesco a seguire VO seguo NO come faccio da tempo. Per me problemi non ce ne sono! Non ho da difendere stipendi, privilegi, posizioni! Io seguo le mie inclinazioni. Non sono mica d’accordo su tutto con la FSPX! A me interessa VO…..il vangelo è il medesimo! La religione deve incarnarsi nelle persone non può essere imposta con dei MP! I MP sono per quelli che devono rendere conto alla gerarchia….io sono libero!
Non nascondo che la Chiesa democratica da voi propugnata non mi affascina!
Sempre ringrazio per il dibattito e la possibilità di esprimere le proprie idee!
Caro Stefano, potrei dire che chi di MP ferisce di MP perisce. Ma capisco bene le sensibilità, i gusti e le inclinazioni. Io ho un percorso opposto al suo. Ma questo non deve stupire. Non ho mai partecipato ad una “messa antica” perchè sono nato nel 1961 e i primi ricordi sono di messe già conciliari. Noto ovviamente anche io tutto quello che nel NO è ancora pesante, ridondante e poco avvincente. Ma non c’è alternativa. La tradizione passa da lì. il resto è museo. Forse interessante, ma non più vivo. Con cordialità
El Concilio Vaticano II fue un concilio canónicamente válido pero al tiempo nefasto. Como se trató de un Concilio pastoral, y no dogmático, se pueden abrogar todas sus disposiciones y consecuencias. Le sucede lo mismo a Nuestro Santísimo Señor, el Papa Francisco. Es un Pontífice legítimo: su elección fue válida desde el punto de vista del Derecho Canónico. Pero Francisco es un Papa tan nefasto como los peores Papas de la Edad de Hierro de la Iglesia o del Renacimiento.