Dalla Francia una domanda di depoliticizzazione culturale ed ecclesiale (/3)
Un libro singolare, netto, forte, giovane: è la traccia di una esperienza politica di cattolici francesci che lancia una sfida grande alle ricostruzioni tradizionali della identità politica ed ecclesiale, alle quali siamo più abituati in Italia. Presento qui, in due parti, alcuni tratti del volume, traendoli dalla Prefazione che ho scritto per la edizione italiana del testo.
Il fatto che giovani filosofi francesi, che si presentano come “semplici parrocchiani” e che sono entrati in relazione in due “caffè” di Lione e Parigi (il Simone e il Dorothy), offrano una rilettura complessiva delle sfide politiche per il cattolicesimo contemporaneo, con una miscela sorprendente di radicalismo evangelico, di raffinata analisi culturale e di passione per la tradizione cristiana, questo è, fin dal primo impatto, un dato che sorprende forse ogni lettore, ma in modo particolare il lettore italiano. Poiché la posizione che il discorso assume, nei confronti del compito politico, dell’analisi sociale, delle sfide per la teologia, del discernimento spirituale, gode di una libertà di giudizio e di una originalità di tratto che spesso, in Italia, è del tutto estranea al dibattito comune e preferisce rifugiarsi solo in piccoli angoli accademici, ma non certo nei caffè! Abbiamo avuto anche noi, un tempo, i nostri “caffè letterari e filosofici”. Oggi abbiamo dislocato altrove il pensiero. Tanto meno abbiamo “caffè parrocchiali” che ripensano la chiesa e il mondo. Né abbiamo, ordinariamente, il coraggio di intrecciare vangelo, cultura, sfide sociali e giudizi storici con quella freschezza che il testo che abbiamo tra le mani ci offre, con una “allure” tutta francese, ma con una serie di evidenze che attraversano tutto il campo della esperienza europea e mondiale. La vocazione “antipolitica” che viene delineata nel volume, e che lo caratterizza in profondità, deve essere bene intesa e non va assolutamente confusa con le “forme dell’antipolitica” che in Italia, e non solo in Italia, vanno per la maggiore. Per questo la provocazione del testo deve essere intesa nelle sue vere intenzioni, precisamente nel recupero di una specifica forma di “impegno politico” da parte del cattolicesimo, che esca dai cliché che si è lasciato imporre dalla cattiva politica come dalla teologia superficiale, integrista o relativista che fosse.
La struttura del testo può essere così descritta: in esso si esprime il forte richiamo ad una “depoliticizzazione” che sia risposta efficace e decisa alla “sovrapoliticizzazione” tardo-moderna. Per prendere questa via, che certo si presenta come assai impegnativa, gli autori passano in rassegna una serie di sfide fondamentali per la vita comune e per la vita cristiana. L’ordine dei capitoli e dei temi merita una analisi preliminare
L’indice del libro
Muovendo dalle ansie cattoliche, che qualificano la stagione presente (in Francia, ma non solo), il volume esamina il contesto politico, in cui si può scoprire di essere compromessi con il potere, e quindi trasformati dal potere, e che, per liberarsi del potere, si può scoprire la Chiesa come istituzione destituente e i parrocchiani come gente che sosta. E’ la urgenza della crisi a mostrare il recupero necessario di un messianismo politico, di una salvezza che rigenera, di un servizio alla città di Dio che può gridare Viva il presente! Se l’analisi perviene alla necessità di de-civilizzare il cristianesimo, ne contesta anzitutto il mito delle radici cristiane della Francia (e dell’Europa), con il riconoscimento di essere comunità incompiuta, che non ha niente da difendere contro l’islam e che deve interrogarsi su quali radici debba concepire per se stessa. Allo stesso tempo gli autori chiedono di destituire l’economismo dal suo ruolo pervasivo, contro l’appropriazione economica del mondo, proponendo una apologia della dismisura, per salvare la natura senza la natura e per lavorare e non lavorare.
Il giudizio sul piano politico e sul piano economico si basa su una antropologia dell’uomo crocifisso, che trova la forza di rileggere la tradizione con categorie nuove, fresche, ma non per questo arbitrarie: così si rivendica che il nostro nome è persona, un cammino verso la rigenerazione, sapendo riconoscere che il monaco è il primoqueer e che si tratta di educare bastardi. Se ne trae l’imperativo di un ripensamento radicale dei due temi a cui spesso si è ridotta la presenza cattolica sul piano politico: si tratta di decostruire «vita» e «famiglia», di smetterla con la bioetica, di riconoscere il disordine familiare, di resistere alla tentazione delle virtù depoliticizzanti del moralismo e alla inclinazione verso l’antipolitica. Alla fine si tratta di un atto di sana ripresa della domanda «abbiamo cominciato a essere cristiani?», non semplicemente per continuare, ma per iniziare ad esserlo, con categorie nuove e con esperienze fresche.
Come è evidente, già dalla considerazione del sommario dei temi, scopriamo un approccio alla tradizione cattolica che lavora contemporaneamente sul piano biblico, su piano antropologico-sociologico, ed anche sul piano teologico, con una lucidità e una originalità veramente fuori dal comune. E’ chiaro che la parola viene presa da una angolatura che risente profondamente della storia francese degli ultimi decenni, e che appare molto diversa dalla storia italiana. Non solo per eventi civili e nazionali, ma per la collocazione che la Chiesa ha avuto e continua ad avere in tale storia. Ma proprio su questo piano, in cui le storie francesi e italiane appaiono differenti, non si deve esitare ad ascoltare con tutto l’interesse necessario le ricche pagine del volume, perché offrono una “teologia politica”, un ripensamento della antropologia, una rilettura della teologia morale e della bioetica di cui abbiamo bisogno in tutta europa, a sud come a nord, ad est come ad ovest. Perciò vorrei soffermare la mia attenzione su alcuni punti del testo, dai quali emerge una preziosa ricomprensione della tradizione cattolica, alla luce di fonti filosofiche (G. Agamben) e teologiche (W. Cavanaugh) poco frequentate non dico dai parrocchiani, ma dai teologi italiani.
(prima parte – segue)