De foeminae potestate: Tertulliano, Tommaso d’Aquino e papa Giovanni XXIII
Tutto è cominciato con il libro Il ministero ordinato (Queriniana, 2002) di E. Castellucci, il bravo teologo e arcivescovo di Modena, che in questi mesi utilizzo per il corso sul “ordine e ministeri”, presso la facoltà teologica del Marianum, in Roma. Egli, infatti, nel presentare la “sacerdotalizzazione” del ministero ecclesiale, fa di Tertulliano uno degli autori decisivi di questo passaggio tanto importante. In particolare risulta di estrema rilevanza il testo del De Baptismo, in cui l’autore formula, contemporanemanente, a proposito del ministro del battesimo, una duplice affermazione: ministro e “sommo sacerdote” è il vescovo, ma possono battezzare anche presbiteri, diaconi e eccezionalmente anche laici, non però le donne. Più di mille anni dopo, S. Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologiae, riformula la prospettiva, modificando sia la competenza episcopale, sia il modo di temperare la esclusione delle donne. Altri 700 anni dopo Giovanni XXIII modifica ulteriormente il “criterio-chiave” con cui Tommaso aveva superato Tertulliano. Vediamo analiticamente i tre passaggi, che possono insegnarci che cosa è la tradizione ministeriale, quale servizio ad essa possa rendere la teologia e come possano essere valorizzate oggi le donne nel servizio ecclesiale.
a) Tertulliano e la esclusione delle donne dal ministero del battesimo
Ecco il testo del De Baptismo, cap. 17.
Superest ad concludendam materiolam de observatione
quoque dandi et accipiendi baptismi commonefacere. Dandi
quidem summum habet ius summus sacerdos, si qui est episcopus: dehinc presbyteri et diaconi, non tamen sine episcopi auctoritate, propter ecclesiae honorem quo salvo salva pax est.[2] alioquin etiam laicis ius est: ‘quod enim ex aequo accipitur ex aequodari potest; nisi episcopi iam aut presbyteri aut diaconi vocabuntur discentes domini: id est, ut sermo non debet abscondi ab ullo, proinde et baptismus segue dei census ab omnibus exerceri potest’. sed quanto magis laicis disciplina verecundiae et modestiae incumbit cum ea [quae] maioribus competat, ne sibi adsumant [dicatum] episcopi officium. episcopates aemulatio schismatum mater est. omnia licere dixit sanctissimus apostolus sed non omnia expedire. [3] sufficit scilicet in necessitatibus [ut] utaris sicubi aut loci aut temporis aut personae condicio compellit: tunc enim constantia succurrentis excipitur cum urguetur circumstantia periclitantis, quoniam reus erit perditi hominis si supersederit praestare quod libere potuit. [4] petulantia autem mulieris quae usurpavit docere utique non etiam tinguendi ius sibi rapiet, nisi si quae nova bestia venerit similis pristinae, ut quemadmodum illa baptismum auferebat ita aliqua per se [eum] conferat. [5] quod si quae Acta Pauli, quae perperam scripta sunt, exemplum Theclae ad licentiam mulierum docendi tinguendique defendant, sciant in Asia presbyterum qui eam scripturam construxit, quasi titulo Pauli de suo cumulans, convictum atque confessum id se amore Pauli fecisse loco decessisse. quam enim fidei proximum videtur ut is docendi et tinguendi daret feminae potestatem qui ne discere quidem constanter mulieri permisit? Taceant, inquit, et domi viros suos consulant.
Questo testo di Tertulliano è rilevante per due motivi: non solo perché per la prima volta applica in latino la terminologia del “sommo sacerdote” al vescovo, riservandogli la pienezza della competenza sul battesimo, ma anche perché esclude recisamente ogni possibilità che il battesimo possa essere amministrato da una donna. L’elenco dei “ministri” è chiuso alla donna e comprende, in ordine, vescovo, presbitero, diacono e laici. Ogni possibilità di attribuire una “docendi et tinguendi feminae potestatem” sarebbe un vero e proprio tradimento di S. Paolo, che è assunto qui come autorità somma e inaggirabile.
b) S. Tommaso d’Aquino e la differenza tra pubblico e privato
Più di 1000 anni dopo, S. Tommaso, affrontando il tema “Se la donna possa battezzare” in quel piccolo gioiello che si trova in S.Th. III, 67,4 (qui nella immagine)
ritorna al testo di Tertulliano ed elabora una rilettura diversa della tradizione ministeriale del battesimo. Esaminiamola nel dettaglio:
a) Nel “videtur quod” Tommaso presenta le tre posizioni “negative” circa la possibilità del battesimo da parte di una donna. La prima posizione è quella del Concilio di Cartagine (398) che riprende la posizione di Tertulliano. La seconda è frutto di un ragionamento: il battesimo spetta a chi esercita la autorità, come il sacerdote in cura d’anime, e non alla donna. Alle prime due posizioni sono collegate espressioni tratte da Paolo. La terza si fonda invece sulla esegesi offerta da S. Agostino del vangelo di Nicodemo: l’acqua della “rinascita” ha funzione di “utero femminile” e così il ministro deve avere per forza identità maschile.
b) A fronte di queste posizioni negative, nel sed contra Tommaso allega soltanto una posizione, autorevole, di papa Urbano, che stabilisce la possibilità di battesimo da parte di una donna, “necessitate instante”, ossia in caso di necessità.
c) Il corpus dell’articolo è, come sempre, il più elaborato. E procede da due affermazioni-chiave: colui che battezza “principaliter” è Cristo (secondo Gv 1); e in Cristo non vi è più né maschio né femmina (secondo Col 3). Ne deduce che “se un maschio laico può battezzare, allora anche una donna”. Ma poi aggiunge, secondo 1Cor 11, la donna non deve battezzare, se vi è un uomo; né un laico se vi è un chierico; né un chierico, se vi è un sacerdote. Ma il sacerdote può battezzare anche se è presente un vescovo, poiché questo pertiene al compito del sacerdote. E’ evidente, perciò, che pur tenendo come criterio la gradualità riaffermata nella seconda parte del corpus, nella prima parte Tommaso libera il ministero dalla sua forma rigida. Il riferimento a Tertulliano è esplicito anche nella “elencazione delle competenze”.
d) Nelle “confutazioni” delle tre posizioni contrarie, tuttavia, Tommaso aggiunge due prospettive ulteriori. Nei primi due casi, infatti, egli spiazza la ragione della esclusione, introducendo una distinzione tra “forma pubblica” e “forma privata” dell’insegnamento e del battesimo. In altri termini, le ragioni del divieto sussistono, ma riguardano la forma solenne e pubblica del sacramento. Nel caso di una “necessità immediata”, il divieto non ha più ragione di sussistere. La terza argomentazione, tuttavia, distingue tra “generazione naturale” e “generazione spirituale”. Qui Tommaso paga un debito alla antropologia del tempo: egli sa – con la scienza del suo tempo – che nella generazione l’uomo è principio attivo, mentre la donna è mera passività. Nonostante questa lettura unilaterale, sul piano spirituale, egli afferma, né maschio né femmina agiscono “propria virtute”, ma “instrumentaliter per virtutem Christi”. Per questo il battesimo da parte di una donna sarebbe efficace anche al di fuori del caso di necessità, pur comportando una dimensione di peccato per essa e per i collaboratori.
Come è chiaro, Tommaso opera una rilettura sia della competenza episcopale, sia della esclusione femminile. Utilizza argomenti di autorità, ermeneutiche della scrittura e argomentazioni logiche, con passaggi di apertura assai delicati. Il riferimento cristologico opera una certa relativizzazione del divieto classico. Ma è evidente, tuttavia, che questa riflessione assume, come dati quasi indiscutibili, due livelli di conoscenza “ovvii”, che restano come sullo sfondo, ma con un peso di autorevolezza assai grande:
– la comprensione fisiologica del maschile/femminile
– la comprensione sociologica del “ruolo privato” della donna
Potremmo dire che, nonostante la cristologia, la antropologia (di uomo/donna), la fisiologia (di maschio/femmina) e la sociologia (di pubblico/privato) collaborano a mantenere una drastica “differenza di autorità”. Solo il mondo tardo-moderno saprà superare questi limiti.
c) Giovanni XXIII e la apertura dello spazio pubblico ai soggetti femminili
Molti secoli dopo S. Tommaso, papa Giovanni XXIII ha scritto, nella sua ultima enciclica, Pacem in terris, nel 1963, un famoso passaggio, a riguardo del secondo dei tre “segni dei tempi”:
“In secondo luogo viene un fatto a tutti noto, e cioè l’ingresso della donna nella vita pubblica: più accentuatamente, forse, nei popoli di civiltà cristiana; più lentamente, ma sempre su larga scala, tra le genti di altre tradizioni o civiltà. Nella donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica.”
E poco più avanti, ricapitolando i tre “segni dei tempi” aggiunge:
“In moltissimi esseri umani si va così dissolvendo il complesso di inferiorità protrattosi per secoli e millenni; mentre in altri si attenua e tende a scomparire il rispettivo complesso di superiorità, derivante dal privilegio economico-sociale o dal sesso o dalla posizione politica.”
Questo disegno di Giovanni XXIII attraversa tutto il Concilio Vaticano II, nutre il tempo del post-concilio e arriva fino a Evangelii Gaudium, esattamente 50 anni dopo il Concilio. In tutto questo, però, non è centrale la pur necessaria “rivendicazione di diritti da parte di nuovi soggetti”, ma la ricchezza di una esperienza ecclesiale più grande. C’è Dio al centro di tutto questo: la possibilità di concepire Dio in modo più ricco e più alto, proprio grazie a questa integrazione di dominati, di emarginate e di oppressi. Nella storia la Chiesa trova nuove risorse di Vangelo.
d) Il compito del ripensamento attuale
Il superamento sia di una fisiologia semplicistica e distorta, sia di una sociologia pregiudiziale e unilaterale pongono oggi, in generale, alla ministerialità ecclesiale un compito di ripensamento e di riconoscimento del tutto urgente. La teologia ha elaborato le proprie categorie. Lo ha fatto tante volte. Così, alle categorie originarie di Tertulliano, Tommaso ha sovrapposto una nuova coscienza delle distinzioni, recuperando sia un “primato di Cristo” rispetto alla differenza antropologica e fisiologica tra maschile e femminile, sia una differenza tra pubblico e privato, per recuperare una soggettività altrimenti esclusa. Ciò che il mondo degli ultimi 200 anni ha scoperto, ossia “l’ingresso della donna nella vita pubblica” supera in radice uno dei due argomenti portanti della soluzione di Tommaso, mentre la fisiologia, la biologia e la antropologia moderna ha provveduto a correggere le letture unilaterali della generazione e della sessualità. Tradurre la tradizione significa non ostinarsi su argomenti deboli, e recuperare gli argomenti più forti. Se la donna può “parlare in pubblico”, e senza chiedere il permesso, può anche esercitare il ministero. La correzione e la rimozione di un divieto è il modo per restare nella tradizione, in quella viva e sana, non in quella ferma e malata. Il lavoro di mediazione tra “complessi di inferiorità” e “complessi di superiorità” – per usare la terminologia di Giovanni XXIII – ha bisogno di una argomentazione teologica di qualità, che sappia restare fedele a quella audacia e a quella lungimiranza con cui il pensiero credente si è mosso lungo i 2000 anni di tradizione cristiana. Solo così onoreremo la memoria di Tertulliano, di Tommaso e di papa Giovanni.
Quali le vie sempre più adeguate del rinnovamento?
Un racconto breve: Habemus papam
Novembre 6, 2020 / gpcentofanti
Capitolo 1
“Nuntio vobis gaudium magnum: habemus papam”. Laggiù in piazza san Pietro e come sentendo milioni incollati ai media di tutto il mondo, un silenzio inusuale. È palpabile nelle luci della tarda serata una preghiera intensissima, accorata, che dura da mesi. Poi una choccante sorpresa, non segue l’ormai da molti imparato a memoria emintissimum ac reverendissimum… e improvvisa si diffonde l’attesa di un miracolo quasi insperato. Quei pochi secondi sembrano interminabili… il protodiacono riprende la parola: “Dominum Johannes Sanctae Romanae Ecclesiae presbiterum Lon Rong, qui sibi nomen imposuit Discipulum”. Si ode un brusio animatissimo, si percepisce chiaramente la domanda che rimbalza in ogni parte del globo terrestre: “Chi è? Who is he? Quien es el? Qui est-il?” Anche il telecronista non sa cosa dire, solo traduce: “Si tratta di un sacerdote, il nome come percepite sembra orientale”. Subito dopo il commentatore riesce ad avere notizie: “È un prete della Corea del Sud. Dovrà venire ordinato vescovo. È giunto in gran segreto ieri a Roma. Ha or ora accettato l’elezione”. Si intravedono molti perché del tanto tempo trascorso per la elezione. Poi appare un uomo vestito di bianco, dalle fattezze minute, asiatiche. La folla esplode in un grande applauso, pieno di domande, di timori, di speranze in Dio. Discipulus prende la parola, ma nella sua lingua coreana. Vi è bisogno di un traduttore: “Cari fratelli e sorelle, Maria e Gesù ci aiutino! E anche voi, aiutatemi! Che Dio aiuti la Chiesa!” La gente piange di commozione, di ansia, di speranza. Speranza proprio in un miracolo del cielo. “Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te…”. Terminata l’intera preghiera prosegue: “Cari fratelli e sorelle chiedo a Dio di portarmi per mano, di aiutarmi a seguire Gesù fino in fondo. Mi potranno calunniare, accusare, criticare in mille modi ma chiedo a Dio e a voi di sostenermi nella fede, nella speranza e nella carità. Cercherò di imparare da ciascuno, di accogliere insieme a ciascuno, sulle vie di ciascuno, il Signore che viene”. Ora il neopapa benedice la folla. Il traduttore, impreparato a ciò, trasmette in italiano: “Vi benedica Dio onnipotente…”. Discipulus attende la risposta della gente e poi sparisce verso l’interno mentre i drappi rossi delle tende si chiudono.
Capitolo 2
Maggio 2035. L’umanità attraversa una crisi durissima. Si è instaurato attraverso l’istruzione, i media, un potere che ha spogliato la gente di tutto: di una liberamente scelta formazione, fin dalla scuola, nella identità ricercata e nell’allora autentico scambio con le altre, sostituendola con solidarismo omologante che in nome del reciproco rispetto spegne la ricerca dei giovani e rende la gente soggetta alla manipolazione da parte di una cultura, di una informazione, asservite ai potenti della finanza e di internet. Il popolo è stato defraudato dei propri risparmi per ripianare i giochini finanziari di banche troppo grandi, si dice, per poter fallire. Il lavoro precarizzato e schiavizzato, le libere professioni, le piccole e medie imprese, le famiglie, schiacciate dalle tasse e da leggi assurde. E ormai incapaci di aiutare come in passato i figli disoccupati a sopravvivere. I sinceri cercatori della verità perseguitati come criminali e gli obiettori di coscienza pro domo imperii esaltati come eroi.
La Chiesa vive una crisi profonda. Tra le gerarchie vescovi che hanno ritenuto di accordarsi col potere tendono a far nominare altri vescovi della loro opinione. Una minoranza di vescovi è preda di gruppi in conflitto col potere dominante ma che ambiscono solo a sostituire quella manipolazione con la propria. Anche alcune piccole realtà dell’informazione più aperte al vero sono guidate da persone che temono di perdere il controllo della loro opera. Pochissimi i gruppi che comprendono che non accogliendo i contributi della gente, di tante persone preparatissime ma fuori dalle logiche degli apparati non fanno che alimentare gli interessi del potere. Impedendo la formazione di reti di comunicazione e riducendosi a piccole confraternite. Al punto da divenire di fatto innocui canali di sfogo di qualcuno. Pandemie impediscono alla gente di vedersi dal vivo, di sviluppare forme di riflessione e di attività più adeguate. Virus gestiti da quei poteri che alla loro diffusione appaiono chiaramente interessati. Gli uomini ridotti a computer subiscono sempre più la competizione delle macchine invece di poter sviluppare una feconda complementarietà. Uno scatafascio in ogni cosa. Pericoli veri o inventati dal potere ingabbiano le persone, le opere. La società della ragione astratta, della tecnica, sviluppa sempre più le sue conseguenze. Filosofi hanno predetto questa china drammatica ma descrivendola come irreversibile perché restando essi stessi nell’ottica di questa cultura.
Capitolo 3
Qualcuno nella Chiesa prendendo il buono dei periodi che in essa si sono susseguiti sta maturando da tempo in una spiritualità rinnovata, l’alba di una speranza di rinascita. Colpisce vedere che nei tempi che si sono succeduti sembra si sia cercato da alcuni della gerarchia di cogliere il buono dalla cultura imperante ma senza aver ricevuto il dono di saperne uscire. L’epoca dell’incontro tra fede e ragione, della dottrina, della societas christiana; poi quella della spiritualità che guarda con sospetto a tale riduttiva ragione ma finisce per ritirarsi in un mondo meno attento allo specifico camminare, agli specifici bisogni, di ogni singola persona: una spiritualità in varia misura elitista, che punta su un resto di puri e duri ma anche delega proprio a quella asfittica ragione le competenze sui discernimenti della vita concreta; successivamente il tempo del pragmatismo, che fugge dalle astrazioni precedenti cercando l’attenzione alla vita concreta, all’incontro concreto con le persone reali ma rischia di mettere in varia misura da parte la crescita in quei riferimenti, potendo finire per favorire il civismo omologante che svuota le persone e le rende meri individui consumatori persi in una massa anonima. Una strada che sconvolge gli assetti precedenti, più somigliantisi, e da un lato smuove situazioni bloccate da tempo, dall’altro, volendo forzare queste resistenze, paradossalmente finisce ancor più per mettere a tacere ogni reale dialogo.
Se si riduce l’uomo ad un’astratta ragione non per nulla restano fuori proprio un’anima disincarnata e la parte emozionale-pratica della persona.
Capitolo 4
Ma ecco che la gente tende a prendere il buono di queste tendenze: si orienta verso una spiritualità (dallo spiritualismo) in cammino sereno, a misura della specifica persona (dal pragmatismo), verso e grazie ai riferimenti della fede (dal razionalismo delle risposte prefabbricate, dalla dottrina). Uno sviluppo graduale, talora lentissimo perché poco supportato dall’alto. Ma nel crollo generale di tutto la speranza di un recupero dell’umano semplice in Dio. Non ha detto Maria che alla fine il suo cuore immacolato trionferà? Poche densissime parole che sembrano indicare proprio la strada del cuore semplice che accoglie la Luce serena, a misura, nella quale esiste e che, proprio accolta, gli viene con delicatezza sempre più donata. Anche quel “alla fine” sembra riferirsi al lungo cammino, al fallimento delle proprie vie che talora bisogna sperimentare per divenire poveri bisognosi dell’aiuto di Dio e degli altri. Una Chiesa decimata, con i giovani spesso lontani, è drammaticamente costretta a cercare altre strade se non vuole del tutto sparire. La speranza ancora una volta viene dal basso, dal popolo, dal sempre nuovo, più profondo, ritorno al Gesù dei vangeli. Vicino a ciascuno, attento con discrezione ad aiutare ciascuno, se lo vuole, ad aprire il cuore per le proprie autentiche, graduali, vie e non con risposte meccaniche. Attento ai bisogni concreti, specifici, ai dolori, alle speranze. In un mondo che si distrugge si diffonde il bisogno di questo.
Capitolo 5
E per questo non bastano le cordate, gli apparati, i partiti presi, le parole d’ordine. Serve una crescita libera, autentica. I giovani sono svuotati dall’omologazione e poi criticati dai potenti quando lo spegnimento da questi provocato sortisce effetti variamente fuori del politically correct. Serve una vera partecipazione, un’accoglienza reciproca. Anche quest’ultima strada, difficile ai cuori timorosi e accentratori, viene superata sempre da qualcuno in più perché altrimenti tutto muore.
Discipulus non viene dal caso ma da decenni di sofferenza, che hanno sciolto le resistenze di molti. O Dio vieni a salvarci, Signore vieni presto in nostro aiuto! Il Signore non tarda nel compiere le sue promesse ma usa pazienza, non volendo che alcuno perisca, ma perché ciascuno abbia modo di convertirsi, afferma San Pietro nella sua seconda lettera. Gradualmente si comprendono sempre più le parole di Lon Rong il giorno dell’investitura. Consapevole delle possibili durissime lotte nella Chiesa non vuole gestirle tacitando il dialogo pubblico, gettando via il bambino con l’acqua sporca. Non identifica la sua buona fama con quella della Chiesa e accetta di sottoporsi al massacro del mondo non solo non credente ma anche ecclesiale. Questo martirio contribuirà a rendere i fedeli più liberi dalle veline dei vari poteri che tirano su e giù le persone esclusivamente in base al proprio interesse. E se li si contrasta troppo martellano contro a tutto spiano, senza requie, sapendo che getta fango, getta fango, qualcosa resterà. E mandano falsi testimoni ad accusare e suscitare insidie. Il vangelo ci ricorda qualcosa?
Capitolo 6
Nella Chiesa si agitano tante problematiche. Spegnere tutto nell’uniformismo di apparato significherebbe corroborare la dittaura soft del pensiero unico che sta distruggendo la fede di tanti. Ma Gesù ha spiazzato tutti i gruppi di potere costituiti, anche cogliendo il positivo di ciascuno. Non ha fatto alleanze con nessuno. Discipulus talora dice la sua, sempre cercando di avvicinarsi per grazia al discernimento concreto del Gesù dei vangeli. Ma non impone con falangi di sottoposti la propria opinione. Getta possibili semi. Vi diranno eccolo qua, eccolo là, non andateci, non credetegli, dice Gesù, perché il regno di Dio è in mezzo a voi. Ognuno può essere in mille modi portatore, stimolatore, di uno spicchio di verità di cui tenere conto. Ognuno è, in profondità, in vario modo un dono della grazia. Lon Rong propone alla Congregazione per la dottrina della fede di lasciare il dibattito più libero possibile, salvaguardando solo gli aspetti essenzialissimi, certissimi, del cattolicesimo. Nelle varie diocesi, istituzioni culturali, nelle varie realtà, vi sia libertà di espressione. La Chiesa nel suo complesso, non solo nelle gerarchie, maturerà gradualmente sui punti sui quali scoprirà di poter crescere. Dio è più grande del nostro cuore, scrive Giovanni nella sua prima lettera. Con quanta pazienza ci aiuta nella storia ad aprire il nostro, anche quello di tutta la Chiesa. Non si impone. E paradossalmente proprio il non imporsi è via per facilitare l’opera del Signore. Dove le beghe dottrinarie diventano campo di battaglia tra fazioni, dove il potere dominante vuole imporre la propria, si matura poco. Che contraddizione voler imporre il progresso. È il libero dibattito pubblico che fa maturare nella gente un sensus fidei sempre rinnovato. Si vuole calare dall’alto e male ciò che può fiorire bene nella Chiesa nel suo complesso, nella vita semplice della gente che cerca risposte autentiche, che la aiutino, non teorie astratte, ideologie. Il regno di Dio è in mezzo a voi.
Capitolo 7
I primi mesi del pontificato i cambiamenti sono notevoli e il cambiamento per molti dell’apparato è faticoso. Discipulus esorta i media a dare spazio a chiunque abbia qualcosa di utile da dire. Non ai ruoli, alle competenze istituzionali, alle parole d’ordine. Ricerca del vero, non formalismi.
Gesù spiazza tutti i poteri costituiti. Lon Rong non dice sempre la sua su questioni scottanti ma rimanda al Gesù dei vangeli. Cristo ha dato qualche volta Lui stesso l’eucaristia? A chi? In quali situazioni? Come mai ha detto di essere stato inviato solo alle pecore perdute della casa d’Israele? Allora in altri luoghi vi sono altri modi di vivere e trasmettere quelle stesse verità essenziali? Il Figlio dell’uomo, poi, nei dialoghi personali dava risposte, donava grazia, a misura dunque in modo diverso in base alla specifica persona. Mai schematico. Gesù leggeva la Parola con sguardo libero e profondo, talora fulminante nell’aprire ad orizzonti nuovi pure in essa già contenuti. Gli ideologi di tutte le aree si vedevano messi in crisi. Giovanni Lon Rong in mezzo alle tante prove della sua vita ha sperimentato che la grazia accolta, l’incontro vissuto con gli altri, portano oltre le astrazioni, le praticonerie, le spiritualità disincarnate, verso il discernere concreto del cuore divino e umano di Gesù. Le impostazioni riduttive generano visuali riduttive. Ognuna coglie e in maniera riduttiva aspetti del vero. Bisogna liberare fin dalla scuola la libera ricerca autentica dei giovani nella identità da ciascuno di essi cercata e nello scambio con le altre. Ossia nei modi e nei tempi adeguati dare il potere al popolo, alla specifica persona, nell’epoca in cui il potere è nella formazione e nell’informazione. Gettare semi di rinascita e non blandire e sostenere come se fossero i nostri salvatori poteri allo sbando, che senza il sostegno della Chiesa colerebbero a picco, con grande gioia di masse di spogliati di ogni tipo. Dunque su punti specifici talora Discipulus accompagna, libera, il dibattito, rimanda ad una nuova attenzione al Gesù dei vangeli, ma su questo dice la sua con forza: nei modi e nei tempi adeguati, ma che il potere torni alla gente! Unica speranza di uscita dalle spire mortali del tecnicismo.
Capitolo 8
Il nostro Giovanni ascolta tutti, piccoli e grandi, sapendo che i piccoli spesso possono avere da dire più dei grandi. Se fossero grandi non avrebbero da dire, osserva talora scherzosamente con riferimento alla società degli apparati e alla storia di molti profeti di ogni tempo. Crede nel dialogo, nella condivisione, autentica, e perciò non ama i falsi consessi dalle risposte preconfezionate. Bisogna prima passare dalla libera partecipazione della gente. E se la scuola resta madre del pensiero unico ne risentirà, rischierà di farsi spiritualistica, la stessa sinodalità. Molti cominciano ad amare quest’uomo semplice, vicino alla gente, massacrato e anche calunniato dai poteri. Sia pure cerchi con saggezza di costruire nella pace, nei modi realistici, anche nei rapporti con gli stati. Solo la disperazione dell’intera Chiesa poteva indurre a scegliere uno come lui? Discipulus comincia a parlare meglio in italiano, è un uomo semplice. Quanto durerà senza alcun appoggio dei potenti? Gli sarà dato tempo di contribuire alle vie profonde, non a imposizioni superficiali, di un autentico, necessario come il pane, come l’acqua, rinnovamento?
Capitolo 9
È una tiepida alba dell’autunno romano, le foglie dorate degli alberi lungo il Tevere lasciano intravedere la cupola di San Pietro e parlano di una bellezza bella fino all’ultimo momento prima di morire. Il cardinale Giuseppe Silvani ha fatto un lungo sogno. È l’ultimo giorno prima del conclave. È stato come parlare con Dio tutta la notte. Al punto che si domanda se ha sognato o ha pregato. Una nuova luce, un nuovo coraggio, che prima non c’era, gli tocca il cuore. La grazia della nuova chiamata: Quo vadis, domine?