Decostruire i dualismi di cui siamo ostaggi : su “Salvare la fraternità – Insieme” (/3)


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Dopo la articolata descrizione della crisi come kairos, dei segni dei tempi che si annunciano e della teologia come bene comune, il testo assume la forma vera e propria di “appello”, diretto ai discepoli, e poi di lettera aperta, diretta ai saggi. Esaminiamo anzitutto il primo di questi due messaggi.

L’appello ai discepoli

Una visione della Chiesa, configurata da Ecclesiam Suam (1964) secondo cerchi concentrici sempre più ampi, si compie in Fratelli tutti (2o2o) come una profezia di una “evidenza testimoniale della forma ecclesiale”, ossia come destinazione universale della salvezza. Questo punto-chiave della dottrina e della autocoscienza cristiana deve ridiventare “immediato nella percezione di chiunque e saldo nella convinzione dei credenti” (SF 15). Ciò ha conseguenze strutturali importanti, che implicano un “duplice addio”:

“La missione religiosa va sottratta al governo politico della città secolare. La regia ecclesiastica della società civile, fatalmente indotta a fare sistema con i poteri mondani, toglie troppa libertà al vangelo e offre troppe opportunità al diavolo . Ora è necessario completare il processo, congedandosi anche dal progetto culturale di una regia ecclesiastica dei saperi umani.” (SF 15)

L’obiettivo di questo “doppio congedo” – dalla “regia ecclesiastica della società civile” e dalla “regia ecclesiastica dei saperi umani” – è elementare: la riapertura, nella storia comune, di una speranza di riscatto per il mondo condiviso, anzitutto per i poveri e per gli scartati. Questo costituisce il superamento di un “modello di cristianità” che il passato ha conosciuto e che è finito:

“L’edificazione di un mondo cristiano parallelo, alternativo a quello umano che è comune, rappresenta un passato della storia della testimonianza, che ora non illumina il futuro che le viene aperto da Dio.” (SF 16)

In gioco vi è un modello di autocoscienza ecclesiale, sviluppato negli ultimi secoli, e che coltiva un rapporto “nostalgico” con la tradizione, sia nel caso di “resistenza ad ogni riforma”, sia nel caso di “mitizzazione delle origini”. In realtà occorre accettare che vi sia un “dato nuovo” – un nuovo paradigma di cultura – con cui le risorse delle soluzioni precedenti non bastano più:

“In entrambi i casi, l’immagine di fondo insiste comunque sulla riabilitazione di un ritorno al passato. Questo rinvio archeologico, anche a prescindere da ogni valutazione dei suoi argomenti, sottrae mente e cuore al compito di abitare il nuovo kairos di Dio: che nel passato, semplicemente, non c’era. Un mondo umano istituzionalmente non-religioso è un interlocutore storicamente inedito.” (SF 16)

Qui, come è evidente, la assunzione di questa novità diventa una sfida davvero decisiva, che teologicamente impone il ripensamento di un “duplice dualismo”. Poiché pensiamo “separato” ciò che deve essere unito, ne consegue che finiamo con l’unire ciò che deve essere distinto. Ecco il compito che l’appello denomina “decostruzione di un duplice dualismo” e lo presenta così:

Il nostro appello, infine, è un appassionato invito alla teologia professionale – e in generale ad ogni credente – perché offra uno spazio privilegiato e comune all’impegno di decostruzione del duplice dualismo che ci tiene attualmente in ostaggio: fra la comunità ecclesiale e la comunità secolare; fra mondo creato e il mondo salvato.” (SF 16)

Qui siamo al nodo centrale del testo, quello che risulta più ricco e più gravido di implicazioni teoriche, pratiche, istituzionali e culturali. Esaminiamolo con cura questi due dualismi da disinnescare:

a) Chiesa e mondo non sono “due mondi”

Per così dire “le due città” non sono “due città”: sono una duplice ermeneutica dell’unica città comune.  Non ci sono “storie parallele”. Per questo si deve superare il  dualismo: per uscire da una scissione interna alla esperienza.

“L’autorevolezza di questa parola dell’intesa dell’uomo e della donna, che
è chiamata a governare il mondo nell’attesa quotidiana dei doni di Dio
è oggi troppo mortificata da una scienza presuntuosa e da una teologia
gergale. Il compito primario dell’intellettuale, credente e non credente, è
quello di restituire autorità di testimonianza dell’umano alla vita comune
dei popoli. La fede stessa impara l’umano dall’umano”. (SF 17)

Questa interrelazione tra il mondo che è chiesa e la chiesa che è mondo, e che si radica nella umanità divina e nella divinità umana del Signore, introduce una pedagogia che non si riesce a delimitare campi alternativi:

“In questo scambio emozionante, il pensiero della fede e il pensiero umano crescono insieme. Nella nostra tradizione ecclesiale moderna, il governo esclusivo dei preti, il modello unico dei religiosi, l’enciclopedismo catechistico delle dottrine hanno realizzato un effetto di saturazione della forma fidei che l’ha allontanata da questa immediatezza della vita comune: e ora deve cedere sotto il suo stesso peso.” (SF 17)

Questa è una visione singolarmente chiara e spiazzante. Dice di un “reciproco apprendistato” e di una “evidenza dei segni dei tempi” che solitamente la coscienza ecclesiale fatica ad elaborare. Spesso, infatti le cose vengono ricostruite in modo capovolto:

“L’isolamento del sistema ecclesiastico è per lo più alternativamente
ricondotto all’indebolimento della tradizione sacrale e all’accerchiamento
del progresso secolare. In realtà, esso è l’effetto di una Chiesa che si sta sempre più concentrando su sé stessa: e come chiunque, se cerca la propria vita in sé stesso, secondo il vangelo la perderà.” (SF 17-18)

Mossa decisiva di questo appello, e sostanza di riforma ecclesiale, è la “dilatazione della rete della fraternità battesimale”. Il che comporta un profondo ripensamento delle logiche del ministero e della testimonianza, nel loro rapporto correlativo. Insomma, la uscita dal primo dualismo comporta conseguenze istituzionali chiaramente delineate:

“L’uscita dal modello clericale della forma cristiana, che restituisce al ministero ordinato la sua specifica autorevolezza e la sua limitata configurazione, comincerà teologicamente di qui. Senza dimenticare che il nuovo paradigma della ecclesialità fraterna e testimoniale dei battezzati, al servizio del quale devono riconfigurarsi ministeri e carismi, dovrà essere  accuratamente determinato e autorizzato nel contesto sinodale dell’intera comunità, e non soltanto incoraggiato e raccomandato.” (SF 18)

La “inadeguatezza degli apparati teologici, canonici e formativi” chiede una pronta riforma, perché possano liberarsi le energie positive di questo cambio di paradigmi. In tale cambiamento occorrerà tuttavia porre attenzione a non reinserire i “dualismi” attraverso l’uso di categorie non sufficientemente calibrate: un esempio può essere la correlazione tra  ministero ordinato e sacerdozio comune, che le categorie ufficiali distinguono “essentia et non gradu tantum“, ma non dispensano affatto dal dovere di pensarne la distinzione in una correlazione maggiore, senza alcun parallelismo o concorrenza. Altrimenti il dualismo cacciato dalla porta, rientrerà dalla finestra.

b) Natura e extra-natura

Il secondo dualismo da cui prendere congedo è il cambio di registro che riguarda la opposizione tra naturale e soprannaturale, tra creazione e redenzione. Anche qui il lavoro di conversione e di trascrizione cui è chiamata la teologia deve lasciar cadere le troppo facili evidenze per cui in taluni casi è la natura a garantire la grazia, mentre in altri la grazia ha spazio solo “oltre”, se non “contro” la natura. Il semplicismo di soluzioni “standard”, elaborate in altri tempi e per altri mondi, quando le parole natura, città e cultura significavano cose molto diverse, e venivano usate con intenzioni talora capovolte, non sono più adeguate alle questioni nuove che dobbiamo affrontare. E questo secondo compito di decostruzione (e di ricostruzione) si chiude con una piccola profezia:

” La fede imparerà ad abitare i linguaggi del mondo secolare, senza pregiudizio per il suo annuncio della vicinanza di Dio. E la prossimità ecclesiale della fede sarà abitabile anche per la Cananea, la Samaritana, Zaccheo, il Centurione. Senza pregiudizio per la loro distanza.” (SF 19).

La salvezza della fraternità passa così attraverso questa “ascesi di decostruzione”, che implica un grande lavoro di conversione, di traduzione e di  aggiornamento del linguaggio e del pensiero, delle forme istituzionali e delle forme di vita, almeno nell’ambito della esperienza ecclesiale.

Un ulteriore ed ultimo commento sarà dedicato all’ultima parte del documento, ossia  alla Lettera aperta ai Saggi.

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