Dibattito sul diaconato femminile (/3): la “necessità del sacramento” e il sesso femminile. Huenermann, Mueller e la Summa Theologiae di Tommaso.


 ministerodonne

La questione è delicata. Nel cuore della argomentazione con cui il prof. Mueller, Arcivescovo e ora Prefetto della Congregazione per la Dottrina delle fede, ha scritto 15 anni fa contro ogni possibile ordinazione diaconale delle donne, sta un testo di S. Tommaso, tratto dal Supplementum alla Summa Theologiae, che nel testo del prof. Mueller suona così: “Il sesso maschile è necessario alla ordinazione al sacerdozio e al diaconato, non solo de necessitate praecepti, ma de necessitate sacramenti”.

a) Una dimostrazione problematica

E’ stato P. Huenermann, in un articolato studio del 2012 – “Zum Streit ueber den Diakonat der Frau im gegenwaertigem Dialogsprozess – Argumente und Argumentationen”, “Theologische Quartalschrift”, 192(2012), 342-378 (Sul conflitto intorno al diaconato femminile nella discussione contemporanea – argomenti e argomentazioni) – a mettere in evidenza la funzione centrale di questa affermazione di Tommaso, che in Mueller diventa decisiva per distinguere uno ius divinum, immodificabile, su cui la Chiesa non ha alcun potere, e uno ius ecclesiasticum, che invece la Chiesa può sempre modificare e adattare. Ora, seguendo il ragionamento di Mueller, questa proposizione di S. Tommaso assume un ruolo decisivo sul piano sistematico per operare una distinzione fondamentale. La ordinazione delle donne potrebbe essere una possibilità “di diritto ecclesiastico” – che configurerebbe un ufficio ecclesiastico non sacramentale – ma non potrebbe in alcun caso essere un “grado del sacramento dell’ordine”, perché andrebbe contro una “verità di fede” così ben riconosciuta ed espressa da S. Tommaso.

E’ evidente che quando Mueller utilizza la espressione tomista “de necessitate sacramenti” – per necessità del sacramento – assume il termine “sacramento” nei significati alti e forti che il Concilio di Trento e Vaticano II hanno utilizzato per esso: istituzione da parte di Cristo, dono immodificabile per la Chiesa, sostanza di ciò che seve essere affermato e difeso a tutti i costi, quasi come un articulus stantis aut cadentis ecclesiae!

La rilettura cui Huenermann sottopone questa interpretazione è particolarmente illuminante e merita di essere seguita da vicino. Non solo perché segnala che i “testi storici” dei primi secoli – e i testi recenti del Vaticano II – vengono sottoposti ad una continua rilettura medievale e tridentina, ma perché gli stessi testi più autorevoli del medioevo non vengono chiariti nel loro fondamento ed assunti in modo non argomentato: come se fosse espressioni “ex auctoritate”. Esaminiamoli ora più da vicino.

 

opera di P. Bosson

opera di P. Bosson

b) Tommaso e i “senza autorità”

Vorrei soffermarmi soltanto sul testo di Tommaso già segnalato. Esso è tratto dal Supplementum alla Summa Theologiae, q39, a1. La questione 39 ha per titolo De impedimentis huius sacramenti ( Sugli impedimenti di questo sacramento), mentre l’articolo 1 ha per titolo Utrum sexus femineus impediat ordinis susceptionem (Se il sesso femminile impedisca di ricevere l’ordine).

La questione generale delinea il quadro di coloro che sono “senza autorità”: tratta infatti delle donne (1) dei bambini (2) degli schiavi (3) degli assassini (3) dei figli illegittimi (4) e dei disabili (5). Per ognuna di queste categorie Tommaso cerca se l’impedimento sia “de necessitate sacramenti” o solo “de necessitate praecepti”. Si definisce così uno spazio civile ed ecclesiale, nel quale la differenza dal maschio adulto e libero, nato da matrimonio legittimo, non condannato da tribunali, di sana e robusta costituzione costituisce una “questione” per la assunzione della autorità. La “antropologia sociale” del medioevo viene utilizzata da Tommaso come luogo di accurata differenziazione. In questo orizzonte di antropologia sociale viene discussa anche la questione del rapporto tra “sesso femminile” e “autorità”.

Tommaso infatti, dopo aver ricordato nel “videtur quod” che si danno forme di “profezia”, di “martirio” e di “autorità spirituale” riferibili anche alle donne, nel “corpus” propone la sua argomentazione centrale. La esclusione della possibilità di ordinare soggetti di sesso femminile è “ex necessitate sacramenti”, spiega Tommaso, perché il sacramento deve essere anche “segno” della “res” che dona. Ora “nel sesso femminile non può essere significata una ‘eminenza di grado’, poiché la donna ha una condizione di soggezione e perciò non può ricevere il sacramento dell’ordine” (Suppl, 39, 1, c).

Ciò che Tommaso intende come “ex necessitate sacramenti” non è dunque una argomentazione cristologica, ecclesiologica o pneumatologica, ma solo il supporto teorico a quello che oggi riconosciamo come il pregiudizio sociale della strutturale inferiorità della donna rispetto all’uomo. Assumere come principio sistematico decisivo un pregiudizio di antropologia sociale medievale non appare risolutivo per affrontare la questione della ordinazione diaconale delle donne, non nel dibattito del XIII, ma in quello del XXI secolo.

 

opera di P. Bosson

opera di P. Bosson

c) Alcune conseguenze per la discussione attuale

All’inizio del suo saggio Mueller dice apertamente che l’intento del suo saggio riguarda la domanda se la disposizione della “Ordinatio sacerdotalis” debba essere applicata soltanto al sacerdozio, o all’intero ordine sacro. Ma proprio nel 1994, quando il testo del documento fu approvato da Giovanni Paolo II, il card. Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, metteva in luce che ora appariva un “testo ufficiale”, ma che la sua ragione teologica doveva ancora essere compresa e illustrata. Il tentativo di una interpretazione estensiva di Ordinatio sacerdotalis deve fare anzitutto i conti con questo problema: occorre offrire una argomentazione all’altezza della domanda di oggi, senza ripetere brandelli del sapere classico, decontestualizzati e con argomentazioni contraddittorie. Nella economia di un dialogo trasparente, mi sembra utile ricordare soltanto alcune prospettive aperte:

– Il rapporto tra storia e sistematica deve essere adeguatamente calibrato. Se usiamo testi antichi, medievali o moderni, dobbiamo collocarli nel loro contesto e metterli in rapporto con i principi sistematici elaborati, anch’essi, lungo i secoli e differenziati per argomentazioni e per prospettive.

– Se la argomentazione che “difende la tradizione” si appiattisce su una “antropologia sociale superata”, l’effetto è che per difendere l’Ordo sacramentale mi trovo costretto a difendere anzitutto l’”ancien régime sociale ed ecclesiale”. E questo è un effetto distruttivo della tradizione stessa, perché scivola irreparabilmente in un tradizionalismo di contenuto e in un fondamentalismo di metodo;

– I sacramenti “del servizio” – ossia ordine e matrimonio – sono i più esposti a questo rischio: essendo costitutivamente impregnati di cultura umana – cultura di gestione della unione, della generazione, del servizio e della autorità – rischiano di confondere la volontà di Dio con una istituzione storica e contingente. Può sembrare, infatti, che la difesa della famiglia si identifichi con quella del patriarcato autoritario, o la difesa dell’ordine sacro con quella di un clericalismo maschilista. Ma la differenza deve essere accuratamente colta, segnalata, studiata e articolata.

– Di fronte a ciò che è “sacramento” la Chiesa si ferma e confessa la propria mancanza di autorità. Restituisce tutta la autorità al suo Signore. Ma occorre fare molta attenzione. E’ possibile, infatti, che se non si identifica bene che cosa è sacramento, lo si confonda con un “ordine mondano”, con uno status quo, con un assetto amministrativo, che si vuole rendere immodificabile. Se si assume il ragionamento di Tommaso, fondato apertamente su una considerazione di antropologia sociale, come un “dato rivelato e immodificabile”, non si fa un servizio al Vangelo, ma si impedisce alla Chiesa di esercitare il giusto discernimento e la necessaria autorità. Rinunciando alla autorità, si impone un autoritarismo di fatto. Solo esercitando la autorità e il discernimento, si può lasciare la parola allo Spirito e così rispettare il sacramento.

– Se ci limitiamo a conservare un “ordo” che coincide con l’”ordo sociale medievale” ci priviamo di tutta la novità che la autorità femminile sta scrivendo nella società civile, ma che la Chiesa cattolica non riesce a riconoscere. Solo modificando il “modello di ordo medievale” possiamo fare una vera teologia dell’ordo sacramentale.

– Le difficoltà che alcuni hanno avuto e continuano ad avere con Amoris Laetitia si riflettono anche su questo tema della ordinazione diaconale delle donne. Ed è lo stesso tipo di reazione istintiva: di fronte alle “cose nuove” – la società aperta che propone nuove forme di unione, di generazione e di riconoscimento di autorità – ci si blocca sui dispositivi della Chiesa ottocentesca, che stava in guardia contro il dilagare della libertà. Forse avremo bisogno di trovare un “registro lieto” anche nella riflessione sull’altro sacramento del servizio. Per il matrimonio lo abbiamo già trovato, ed è ormai patrimonio comune, da comprendere e da recepire. Sarebbe paradossale che, accanto a una “Amoris laetitia” in campo matrimoniale, noi restassimo troppo a lungo legati ad una “Ordinis tristitia” nel campo del ministero ordinato.  

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