Discernimento e misericordia
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Papa Francesco, insistendo, come egli fa in Amoris Laetitia, sull’importanza del discernimento nelle situazioni delicate in cui uomini e donne potrebbero trovarsi, apre forse la strada a soluzioni facili e contrarie all’austera serietà di una vita morale e sociale autentica?
Se si intende la parola discernimento nel senso in cui essa si presenta nella tradizione degli Esercizi di sant’Ignazio, non c’è pericolo!
Gli esercizi delimitano un percorso orientato al scegliere per sé uno stato di vita conforme alla chiamata interiore del Signore e che raggiunge al meglio possibile la figura del Cristo crocifisso. Tale percorso prevede ore e ore di meditazione evangelica durante le quali colui che fa gli esercizi si imbeve, per così dire, della figura viva di Gesù, ma scopre anche i movimenti diversi e non sempre ben ordinati della propria sensibilità, del proprio cuore, del proprio volere. Questi consegna ogni giorno a chi lo accompagna un resoconto dei proprî stati interiori, in modo che sia assicurata una buona progressione. E tutto questo dura quattro settimane! Se si ammette che lo Spirito Santo lavora nel cuore dell’uomo, si può veramente credere che il discernimento (l’“elezione”), che è opera libera di colui che fa gli esercizi, sarà giusto e fecondo.
Ora, un tale processo – impregnazione evangelica, coscienza onesta di sé, dialogo aperto – dovrebbe valere, aldilà della situazione specifica degli esercizi, per tutte le decisioni importanti della vita. Il discernimento non è un passo leggero, facile e a buon mercato. Non solo: sebbene sia un atto veramente personale, non lo si pone da soli senza confronto con alcuno. Credo che chiunque abbia un minimo di consuetudine di vita spirituale comprenderà subito tanto l’esigenza di un vero discernimento, quanto il frutto di una grande libertà interiore che esso produce.
Può il discernimento condurre a una decisione che non sia del tutto conforme alla legge morale, sociale, ecclesiastica?
La risposta a una tale questione è delicata. Per tracciarla, è bene ricordare la struttura del comportamento morale, come ci viene proposto da San Tommaso nella seconda parte della Somma Teologica. Essa risponde infatti alla domanda: come può darsi un atto moralmente buono?
San Tommaso afferma in principio che l’uomo è immagine di Dio, ovvero che ha la capacità di determinare con saggezza e di compiere con volontà ciò che c’è da fare. La Somma mostra quindi come la posizione di un tale atto supponga una riflessione intellettuale corretta e una volontà retta, e analizza i diversi momenti in cui il desiderio e la conoscenza collaborano alla presa di una decisione. La Somma studia poi l’insieme delle virtù interiori che facilitano all’uomo la determinazione dell’atto libero: l’attenzione a sé (temperanza), il rispetto degli altri (giustizia), il coraggio di intraprendere (forza). Queste virtù conducono l’uomo fin sul bordo della decisione, attraverso una quarta virtù che san Tommaso chiama prudenza e che si potrebbe definire come la percezione interiore di ciò che sia giusto e buono nel caso concreto. Questa percezione non è una conseguenza logica del lavoro delle altre virtù, ma ha una sua originalità. Tuttavia essa non giunge senza che questo lavoro abbia avuto luogo.
Inoltre, perché ci sia atto libero, l’uomo non dispone solamente di risorse interiori e personali, ma vi sono degli aiuti esterni che forniscono dei criteri al suo spirito e dei sostegni al suo desiderio: sono la legge e la grazia. Evidentemente non posso qui entrare nel dettaglio di tutto ciò che ci sarebbe da dire (e che san Tommaso dice) su questi due termini essenziali. Vale la pena sottolinearne il luogo: sono degli aiuti affinché ci sia un atto libero: è quest’ultimo che conta, perché niente vale se non l’atto effettivamente posto grazie a una decisione veramente personale.
Inoltre, la legge fornisce un insieme di contenuti normativi che fanno conoscere dove si trovi il bene dell’atto: dati di ragione, frutto della tradizione riflessiva dell’umanità, contenuti rivelati – tra questi innanzitutto la Scrittura che dice il Mistero di Cristo – e tutta una tradizione di interpretazione.
La grazia, quanto ad essa, interviene soprattutto a livello del volere e del desiderio, offrendo gli impulsi che raggiungono dall’interno la lettera della legge.
Infine, legge e grazia sono unite nella persona dello Spirito Santo, che prende il posto della prudenza e permette l’ultimo discernimento. L’uomo morale in pienezza è colui che vive sotto il dominio dello Spirito. Da tutte queste considerazioni deriva che il discernimento di un atto morale non è affatto semplice!
Tuttavia, in tutto questo vi è in noi umani la presenza del male, il rifiuto di orientare tutto a Dio, il disprezzo degli uomini, l’oblio del vero sé, l’iscrizione di forze contrarie nella coscienza personale e nella società civile e religiosa. Crolla così il bell’edificio disegnato da san Tommaso?
È qui che interviene l’altro termine maggiore del messaggio di Francesco: misericordia. Non si tratta evidentemente di una compassione zuccherosa, di un’amnistia senza costi. La misericordia è la possibilità data a ogni uomo di riprendere in qualsiasi momento il cammino di Cristo, è l’impulso dello Spirito che rimette il peccato e restituisce gli strumenti di una vita giusta. Ma, dato che non si tratta di una vita paradisiaca, ci saranno nella vita morale degli spazi di purificazione, di ricostruzione; ci saranno anche alcune distruzioni irreparabili, ma grazie alla misericordia queste non rendono impossibile il proseguimento del cammino e possono dare al contrario uno splendore insperato.
È allora che si impone ancora di più la necessità del discernimento per trovare un punto non ideale ma giusto, all’intersezione tra desiderio, conoscenza e potere, che permetta di riorientare la vita. Ed è evidente che questo discernimento non può essere un fatto della persona sola, perché questa, per vedere chiaro e desiderare forte, ha bisogno del dialogo, dell’ascolto e della parola.
Al contrario, se non c’è discernimento nello Spirito e nel dialogo, resterà la legge “pura”: non un aiuto all’azione giusta della persona reale nel suo ambiente, ma un peso insopportabile e finalmente mortifero. Sant’Agostino, citato da san Tommaso, dice che la lettera stessa del vangelo uccide se non è ricevuta nello Spirito Santo.
Per rispondere alla questione che ci ha spinti sui passi di san Tommaso, direi che, sì, il discernimento può talvolta condurre a una decisione che non sia del tutto conforme alla legge morale, sociale ed ecclesiastica, e che sia tuttavia giusta e dunque buona.
Una legge morale veramente umana non è una morale della legge in sé, ma una morale dell’atto libero in cui la legge gioca il suo ruolo di orientamento forte, di cui il discernimento preparato nel dialogo in clima di misericordia dice il giusto punto di applicazione.
Vediamo che non si tratta di una soluzione facile, ma della conseguenza esigente di un processo senza concessioni condotto nella dolcezza. Vediamo infine a che punto coloro che accompagnano, in particolare i preti ma non solo loro, devono ispirarsi a concezioni morali giuste (ho rinviato a sant’Ignazio e a san Tommaso). Quanto è anche importante, prima che si impegnino nell’accompagnamento spirituale (o nel ministero del confessionale), che essi facciano luce su se stessi e sul proprio cammino nella via del discernimento e della misericordia.
In definitiva, mi sembra che papa Francesco, compreso alla luce dei dati sicuri della tradizione teologica, è ben lungi dall’invitare al soggettivismo, al relativismo, al lasciar andare. Dà il cambio e, a mio modesto parere, fa avanzare la verità sull’uomo. Il costo è di fatto molto alto, tanto a livello della riflessione quanto dell’agire.
Credo che, se si vuole che la Chiesa avanzi e faccia avanzare in questa direzione, non si possano voltare le spalle a papa Francesco, che è in questo un buon pastore.
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Discernement et Miséricorde
En insistant comme il le fait dans Amoris laetitia sur l’importance du discernement dans les situations délicates où des hommes et des femmes peuvent se trouver, le pape François ouvre-t-il la voie à des solutions de facilité qui iraient à l’encontre du sérieux austère d’une vie morale et sociale authentique ?
Si on interprète le mot discernement au sens qu’il présente dans la tradition des Exercices de saint Ignace, il n’y a pas de danger !
Les Exercices jalonnent une voie dont le parcours est ordonné à choisir pour soi un état de vie conforme à l’appel intérieur du Seigneur et qui rejoigne au mieux la figure de Jésus crucifié. Le parcours comprend des heures et des heures de méditation évangélique durant lesquelles le retraitant s’imbibe, si on peut dire, de la figure vive de Jésus, mais aussi découvre les mouvements divers et pas toujours bien ordonnés de sa sensibilité, de son cœur, de son vouloir. Il livre quotidiennement à quelqu’un qui l’accompagne un compte rendu de ses états intérieurs, de sorte que la progression soit assurée bonne. Et cela dure quatre semaines ! Si on admet que l’Esprit-Saint, travaille le cœur de l’homme, on peut réellement croire que le discernement (« l’élection ») qui est œuvre libre du retraitant sera juste et fécond.
Or un tel processus : imprégnation évangélique, conscience honnête de soi, dialogue ouvert, devrait, au-delà de la situation spécifique des Exercices, jouer pour toutes les décisions importantes de la vie. Le discernement n’est pas une démarche légère, facile et à bon marché. De plus, si c’est un acte vraiment personnel, on ne le pose pas tout seul sans confrontation avec personne. Il me semble que toute personne ayant un peu l’habitude de la vie spirituelle comprendra d’emblée et l’exigence forte d’un vrai discernement et le fruit de grande liberté intérieure qu’il produit.
Est-ce que le discernement peut conduire à une décision qui ne soit pas de tout point conforme à la loi, morale, sociale, ecclésiastique ?
La réponse à une telle question est délicate. Pour l’esquisser, il est bienfaisant de se remémorer la structure du comportement moral, telle que la propose saint Thomas dans la seconde partie de la Somme théologique. Celle-ci répond en effet à la question : comment poser un acte moralement bon ?
Saint Thomas pose en principe que l’homme est Image de Dieu, c’est-à-dire qu’il a la capacité de déterminer avec sagesse et d’accomplir avec volonté ce qu’il y a à faire. La Somme décrit alors comment la position d’un tel acte suppose une réflexion intellectuelle juste et une volonté droite, et elle analyse les divers moments où le désir et le savoir collaborent à une prise de décision. Elle étudie ensuite l’ensemble de vertus intérieures à l’homme qui lui facilitent la détermination de l’acte libre : l’attention à soi (tempérance), le respect des autres (justice), le courage d’entreprendre (force). Et ces vertus amènent l’homme à la lisière de la décision, moyennant une quatrième vertu que saint Thomas appelle la prudence et qu’on pourrait définir comme la perception intérieure de ce qui sera juste et bon dans le cas concret. Cette perception n’est pas une conséquence logique du travail des autres vertus, elle a son originalité ; cependant elle ne peut advenir sans que ce travail ait eu lieu.
Ensuite, pour poser l’acte libre, l’homme ne dispose pas seulement de ressources intérieures et personnelles, il y a des aides extérieures qui fournissent des critères à son esprit, des soutiens à son désir : ce sont la loi et la grâce. Je ne peux évidemment pas entrer ici dans le détail de tout ce qu’il y aurait à dire (et que saint Thomas dit) sur ces deux mots essentiels. Il vaut la peine de souligner d’abord leur place : ce sont des aides en vue de poser l’acte libre : c’est celui-ci qui est important car rien ne vaut sinon l’acte effectivement posé grâce à une décision vraiment personnelle.
Ensuite, la loi fournit un ensemble de contenus normatifs qui donnent à connaître où se trouverait le bien de l’acte : données raisonnables, fruit d’une tradition réflexive de l’humanité, contenus révélés, et ici on retrouve d’abord l’Ecriture qui dit le Mystère du Christ, et toute une tradition d’interprétation.
La grâce, elle, joue davantage au niveau du vouloir et du désir en donnant les impulsions qui vont rejoindre par l’intérieur la lettre de la loi.
Finalement, loi et grâce sont unies dans la personne de l’Esprit Saint, qui relaie la prudence et permet l’ultime discernement. L’homme moral en plénitude est celui qui vit dans la mouvance de l’Esprit. Il découle de ces considérations que le discernement d’un acte moral ne se fait pas dans la facilité !
Toutefois, en tout cela il y a aussi chez nous hommes la présence du mal, le refus de tout orienter à Dieu, le mépris des hommes, l’oubli du véritable soi, l’inscription dans la conscience personnelle et dans la société civile et religieuse, de forces contraires. Est-ce que le bel édifice dessiné par saint Thomas s’effondre alors ?
C’est ici qu’intervient l’autre mot majeur du message du pape François : miséricorde. Il ne s’agit évidemment pas ici d’une compassion doucereuse, d’une amnistie sans frais. La miséricorde, c’est la possibilité donnée à tout homme de reprendre à tout moment le chemin du Christ, c’est l’impulsion de l’Esprit qui remet le péché et rend les outils d’une vie juste. Mais, comme il ne s’agit pas d’une vie paradisiaque, il y aura dans la vie morale des espaces de purification, de reconstruction ; il y aura aussi certaines destructions irréparables, mais grâce à la miséricorde celles-ci ne rendent pas impossible la poursuite du chemin, elles peuvent lui donner au contraire une splendeur inespérée.
C’est alors que s’impose encore plus la nécessité du discernement pour trouver un point non pas idéal mais juste, à l’intersection du désir, du savoir, du pouvoir, qui va permettre la réorientation de la vie. Et il est évident que ce discernement ne peut être le fait de la personne seule, car celle-ci a besoin du dialogue, écoute et parole, pour voir clair et désirer fort.
Inversement, s’il n‘y a pas ce discernement dans l’Esprit et dans le dialogue, il restera la loi « pure », non une aide à l’action juste de la personne réelle dans l’environnement qui est le sien, mais un poids insupportable et finalement mortifère. Saint Augustin, cité par saint Thomas, dit que la lettre elle-même de l’évangile tue si elle n’est pas reçue dans l’Esprit-Saint.
Pour répondre à la question qui nous a entraînés dans les pas de saint Thomas, je dirais que, oui, le discernement peut parfois conduire à une décision qui ne soit pas de tout point conforme à la loi, morale, sociale, ecclésiastique, mais qui soit cependant juste et donc bonne.
Parce qu’une morale vraiment humaine n’est pas une morale de la loi en soi, mais une morale de l’acte libre où la loi joue son rôle d’orientation forte dont le discernement préparé dans le dialogue en climat de miséricorde dit le point juste d’application.
On voit aussi qu’il ne s’agit pas d’une solution de facilité, mais de l’issue exigeante d’un processus sans concessions mené dans la douceur. On voit enfin à quel point ceux qui accompagnent, les prêtres en particulier mais pas seulement eux, doivent s’inspirer de conceptions morales justes (j’ai renvoyé à saint Ignace et à saint Thomas). Combien aussi, avant de s’immiscer dans l’accompagnement spirituel (ou le ministère du confessionnal), il est important qu’ils fassent la lumière sur eux-mêmes et sur leur propre cheminement dans la voie du discernement et de la miséricorde.
Au total, il me semble que le pape François, compris à la lumière de données sûres de la tradition théologique, est loin de nous convier au subjectivisme, au relativisme, au laisser aller. Il relaie et, à mon humble avis, fait avancer la vérité sur l’homme. Le coût en fait est très élevé, tant au niveau de la réflexion qu’à celui de l’agir.
Je crois que, si on veut que l’Eglise avance et fasse avancer dans cette direction, il ne faut pas tourner le dos au pape François, qui est ici un bon pasteur.