Discorso alla Civiltà Cattolica (/2) : l’audacia e l’inquietudine come benedizione


papa professore

La lettura del discorso del 9 febbraio alla “Civiltà Cattolica” – pur partendo dal contesto prossimo di una “celebrazione intragesuitica”, che già come tale assume un valore per nulla secondario e anzi assai significativo – ci offre alla considerazione un testo che appare tra i più limpidi e incisivi del pontificato di Francesco, nel modo di concepire il ruolo della “ricerca teologica” e di configurare il ruolo che una rivista – o un gruppo di intellettuali – possono svolgere per la vita della Chiesa.

In effetti, se lo si legge con attenzione, il testo presenta una trama di affermazioni-chiave, in base alle quali è possibile comprendere in modo più profondo le intenzioni del magistero di Francesco e il suo rapporto con la tradizione e con il pensiero teologico. Vorrei dividere la mia analisi in 4 parti, conformemente alla struttura del discorso stesso (le prime due saranno esposte in questo post, mentre le seconde appariranno nel successivo)

1. Il rapporto Chiesa/mondo: la profezia è l’unica prudenza

L’esordio del discorso, che è quello più segnato dalla occasione della celebrazione della Rivista dei gesuiti, offre tuttavia una prima occasione per una parola ispirata e potente, quando Francesco dice:

Ecco: restate in mare aperto! Il cattolico non deve aver paura del mare aperto, non deve cercare il riparo di porti sicuri. Soprattutto voi, come gesuiti, evitate di aggrapparvi a certezze e sicurezze. Il Signore ci chiama a uscire in missione, ad andare al largo e non ad andare in pensione a custodire certezze. Andando al largo si incontrano tempeste e ci può essere vento contrario. E tuttavia il santo viaggio si fa sempre in compagnia di Gesù che dice ai suoi: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mt 14,27).

Restare “in mare aperto” è una sorta di comandamento fondamentale per i cattolici di questo tempo. Le tempeste e il vento contrario, del tutto possibili, non devono deprimere, ma moltiplicare il coraggio e la forza.

E’ interessante che ai “venti contrari” si uniscano – non da oggi – coloro che “remano contro”:

 Voi siete nella barca di Pietro. Essa, a volte nella storia – oggi come ieri – può essere sballottata dalle onde e non c’è da meravigliarsi di questo. Ma anche gli stessi marinai chiamati a remare nella barca di Pietro possono remare in senso contrario. È sempre accaduto. 

Anche molto significativa la scansione del rapporto tra la Rivista e i papi, che ogni 1000 numeri della rivista si sono incontrati con il Collegio degli scrittori:

Quante cose sono accadute in 167 anni di vita della rivista e raccontate nei vostri 4000 quaderni! Ad ogni millesimo fascicolo avete incontrato il Papa: Leone XIII, Pio XI, Paolo VI hanno celebrato i precedenti. Adesso eccovi con me. 

Questa scansione papale – Leone XIII, Pio XI, Paolo VI e Francesco – segnano un secolo e mezzo di sviluppo e di ricerca, e aiutano ad individuare il mutare degli stili e dei temi, pur nella continuità di un rapporto strutturale e fecondo. E dopo aver saluto con grande favore la inaugurazione di “edizioni in diverse lingue” della Rivista, viene ad identificare la specificità della missione:

 E qual è questa missione specifica? È quella di essere una rivista cattolica. Ma essere rivista cattolica non significa semplicemente che difende le idee cattoliche, come se il cattolicesimo fosse una filosofia. Come scrisse il vostro fondatore, p. Carlo Maria Curci, La Civiltà Cattolica non deve «apparire come cosa da sagrestia». Una rivista è davvero «cattolica» solo se possiede lo sguardo di Cristo sul mondo, e se lo trasmette e lo testimonia.

Questa accurata distinzione tra “difendere idee cattoliche” e possedere, comprendere e comunicare lo “sguardo di Cristo sul mondo” qualifica questo discorso in tutta la sua rilevanza direi quasi “epocale”, come fuoriuscita da un modello ottocentesco di autocoscienza cattolica.

Per questo papa Francesco illustra il suo modo di concepire “Civiltà Cattolica”

 Mi piace pensare alla Civiltà Cattolica come una rivista che sia insieme «ponte» e «frontiera».

Per spiegare che cosa intende con questa doppia immagine ricorre a tre parole-chiave, intorno alle quali costruisce il seguito del suo discorso.

2. L’inquietudine: nell’audacia sta il vero equilibrio

L’attacco della presentazione della prima parola è fulminante:

La prima parole è INQUIETUDINE. Vi pongo una domanda: il vostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca? Solo l’inquietudine dà pace al cuore di un gesuita. Senza inquietudine siamo sterili. Se volete abitare ponti e frontiere dovete avere una mente e un cuore inquieti. A volte si confonde la sicurezza della dottrina con il sospetto per la ricerca. Per voi non sia così. I valori e le tradizioni cristiane non sono pezzi rari da chiudere nelle casse di un museo. La certezza della fede sia invece il motore della vostra ricerca.

La pace si genera solo nella inquietudine e così anche la fecondità. Ma questo è un criterio decisivo anche per la “dottrina sicura”, che non deve mai sospettare della ricerca. Tra ricerca audace e sana dottrina vi è un rapporto direttamente, non inversamente proporzionale. Questa affermazione, sulla bocca del Vescovo di Roma, è una grande profezia e una grande speranza. E non solo per la ufficialità della “Civiltà Cattolica”.

Dopo aver ricordato come “patrono” di questa parola Pietro Favre, Francesco pone una seconda domanda:

Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo. Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo grandi visioni e slancio? Siamo audaci? Oppure siamo mediocri, e ci accontentiamo di riflessioni di laboratorio?

La esigenza di audacia non è eventuale, ma strutturale, alla fede e alla Chiesa. Questo determina un impatto fecondo sul modo di affrontare le questioni più brucianti del nostro tempo:

 La vostra rivista prenda consapevolezza delle ferite di questo mondo, e individui terapie. Sia una scrittura che tende a comprendere il male, ma anche a versare olio sulle ferite aperte, a guarire. Favre camminava con i suoi piedi e morì giovane di fatica, divorato dai suoi desideri a maggior gloria di Dio. Voi camminate con la vostra intelligenza inquieta che le tastiere dei vostri computer traducono in riflessioni utili per costruire un mondo migliore, il Regno di Dio.

Individuare le ferite, suggerire le terapie, comprendere il male, versare olio sulle ferite aperte per guarire: questa funzione identifica il “lavoro sulle tastiere dei computer” come un contributo decisivo alla costruzione di un “mondo migliore”. La fisionomia del pensiero cattolico, pur restando assai fedele alla sua migliore tradizione, assume un profilo sorprendente e consolante. Ma anche le successive due parole (incompletezza e immaginazione) riservano più di una piacevole sopresa, come vedremo nel prossimo post.

(segue…/3)

 

 

 

 

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