Donna e ministero: in dialogo con Selene Zorzi (di M. Imperatori)


Prosegue il dibattito intorno all’accesso della donna al ministero ordinato. In risposta all’intervento di S. Zorzi (che si può leggere qui) M. Imperatori discute alcune affermazioni e propone una ricostruzione diversa di alcuni dati della tradizione. Ringrazio P. Imperatori per questo intervento. Credo che sia molto utile valutare la rilevanza di queste argomentazione sulla “mascolinità” (a livello cristologico ed ecclesiale), che però sono entrate nella argomentazione teologica soltanto nella seconda metà del XX secolo, dopo la uscita della donna dalla “minorità privata”, cui l’aveva costretta la cultura comune, fatta propria anche dalla cultura ecclesiale (ag)

In dialogo con Selene Zorzi

di Mario Imperatori

 

L’intervento di Selene Zorzi mi sembra ricco di spunti interessanti, meritevoli di approfondimenti.

Condivido senza remore l’esigenza di separare la mascolinità dall’androcentrismo dominatore, senza che ciò implichi dover poi negare il significato teologico della mascolinità di Cristo, rivelazione di Dio. Mi limiterei soltanto ad aggiungere che l’identificazione tra mascolinità e ruolo androcentrico dominatore del maschio risulta uno dei frutti più deleteri del peccato così come viene narrato in Gen 3 che, non dimentichiamolo, per la tradizione dogmatica costituisce il riferimento veterotestamentario cruciale per la teologia del peccato originale. Risulta altamente significativo, all’opposto, il Cantico dei cantici che, proprio richiamando Gen 1-2 e lasciando chiaramente trasparire una parità di genere tra amanti chiude, come noto, il canone ebraico delle Scritture, significando con ciò il compimento escatologicamente sponsale dell’alleanza tra Dio e Israele1.

Da questo consegue, come poi giustamente sostenuto dalla Zorzi, che la mascolinità di Gesù non potrà se non risultare necessariamente inclusiva. In caso contrario essa non potrebbe infatti essere conforme al disegno di Dio. Al fine di poi evitare l’errore, da lei correttamente denunciato, di introdurre una figura maschile di Dio, che renderebbe la mascolinità sola in grado di rappresentarlo teologicamente, mi pare non inutile approfondire brevemente la dimensione relazionale custodita da questa necessaria inclusività della mascolinità di Gesù. Lo possiamo fare affermando che proprio l’assunzione dell’unica natura umana nella parzialità del suo polo maschile da parte del Figlio del Padre, col conseguente carattere non androgino della sua sessualità, sembra assegnare al polo femminile, necessariamente non assunto dalla Leib del Verbo incarnato, il ruolo di significare la non meno imprescindibile risposta umana al rivelarsi di Dio in Cristo. E precisamente nel significare tale necessaria imprescindibilità, il polo femminile viene pienamente salvato in Cristo e insieme ad esso pure l’integralità della natura umana da Lui assunta. Al punto tale che è proprio la non assunzione del polo femminile ad evidenziare l’essenziale carattere relazionale della stessa maschilità del Figlio, da Lui per di più assunta in modo kenotico e perciò mai androcentricamente dominatore. Senza questo imprescindibile riferimento al polo femminile non direttamente assunto, in nessun modo potrà perciò darsi piena rivelazione cristo-logica, bensì solo una logica cristo-monista. A questo punto ci sembra allora del tutto superfluo ricorrere alla distinzione tra vir e homo richiamata dalla Zorzi, una distinzione che tra l’altro in latino non risulta poi così netta come l’autrice, insieme ad altri, sembra qui supporre.

Quanto abbiamo appena affermato entra poi centralmente nel definire anche l’identità mediatrice dell’unico Somme Sacerdote, alla quale sembrerebbe non appartenere, secondo la Zorzi, la sessuazione maschile di Gesù. Una tale non appartenenza sarebbe secondo noi sostenibile solo come contrapposizione ad una logica rigorosamente cristomonista. Non così avviene invece in una cristologia nella quale la sessuazione giochi un fondamentale ruolo relazionale. In questa prospettiva relazionale il polo maschile assunto dal Figlio dice infatti che siamo di fronte ad una mediazione autenticamente cristo-logica proprio perché in grado di suscitare e promuovere libere mediazioni partecipate che, precisamente perché tali, ne esaltano al massimo la capacità relazionale2, ben significata dal necessario rimando al polo femminile non assunto. E la prima di tali mediazioni non potrà a questo punto non risultare quella mariana, se correttamente intesa nell’unicità del suo complesso e pluridimensionale ruolo cooperatore, dalla forte caratterizzazione discepolare e sacerdotale, oltre che materna. E a lei va strettamente associata anche la Chiesa, di cui essa è typos3, con tutti i ministeri in essa operanti. Senza Maria/Chiesa non potrà perciò darsi alcuna vera e piena logica cristologica, in quanto verrebbe meno la strutturale dimensione relazionalmente responsoriale della rivelazione di Dio in Cristo. La mascolinità potrà per conseguenza risultare costitutiva del ruolo mediatore di Cristo solo e unicamente se questo ruolo non venga equivocato in modo erroneamente arelazionale.

Mi sembra che tutto questo trovi ampia e precisa conferma nel significato escatologico della sessuazione come caratteristica costitutiva di ciascuna persona umana. Tale significato, come ben sottolineato dalla Zorzi, non riguarda la sua dimensione procreativa, bensì, appunto, quella relazionale e tocca centralmente la trasfigurazione della Leib sessuata umana. Difficile a questo punto non evocare qui la corporeità trasfigurata del Figlio Risorto e della Madre e Discepola Assunta in cielo come anticipo profetico del destino di tutta l’umanità da Lui redenta.

Sulla base di questi presupposti e alla luce dell’imprescindibile rilevanza anche sacramentale della corporeità umana, che affonda le sue radici nel Verbum caro, Sacramento primordiale (Ur-Sakrament), mi sembra allora delinearsi il quadro all’interno del quale poter affrontare in modo teologicamente adeguato il tema della relazione tra il sacramento dell’Ordine e il significato relazionale richiamato non solo dalla dinamica polarità sessuata dell’unica natura umana assunta dal Logos, ma pure dal fatto che, solo perché in stretta e vitale relazione con Lui, la Chiesa può risultare sacramento fondamentale (Grund-Sakrament). E questo nella consapevolezza, giustamente richiamata dalla Zorzi, circa la dimensione anche storica implicata dalla concreta articolazione del sacramento dell’Ordine, giunta a significativa maturazione con la Lumen gentium, maturazione a cui appartiene integralmente anche il Motu proprio di Benedetto XVI Omnium in mentem (2009).

A questo punto la domanda davvero cruciale mi sembra allora essere se e come questa essenziale dimensione relazionale implicata dalla logica autenticamente cristologica, ben richiamata anche dal polo femminile non direttamente assunto dal Figlio del Padre, possa eventualmente venir significata anche all’interno dello stesso sacramento dell’Ordine e dalla sua representatio. E ciò senza tuttavia mai cadere, anche simbolicamente, non soltanto nell’equivoco androcentrico, abbastanza corrente nel passato, ma pure in quello androgino, oggi non meno problematico del primo in quanto distruggerebbe alla radice il significato teologico della dinamica polarità sessuale umana. Una polarità che il Crocifisso Risorto ha, come ultimo Adamo, certamente redento dal peccato, ma non l’ha per nulla abolita, pienamente integrandola invece all’interno del Mistero grande della relazione sacramentale che unisce Cristo alla Chiesa sua sposa (cf. Ef 5,31-32) e al suo destino escatologico.

Mario Imperatori S.I.

1 Cf. L. SCHWIENHORST-SCHÖNBERGER, «L’uomo e la donna nel Cantico dei Cantici. Aspetti antropologici e teologici» in: Ricerche Storico-Bibliche (2018), 39-44.

2 Cf. Lumen gentium n. 62.

3 Cf. Lumen gentium n. 63.

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