Donne argomentative, uomini (an)affettivi: alcune scoperte nel volume “Donne e ministeri nella Chiesa sinodale. Un dialogo aperto”
E’ appena uscito il secondo volume di una piccola serie, curata da L. Pocher, in cui vengono pubblicati i resoconti del secondo incontro tra papa Francesco, il G9 dei cardinali e tre donne (due teologhe cattoliche e un vescovo anglicano) sul tema della relazione tra donne e ministero. Il libro si intitola Donne e ministeri nella Chiesa sinodale. Un dialogo aperto (Paoline, 2024) e comprende, come già il primo volume su Smaschilizzare la chiesa, una prefazione di papa Francesco, tre relazioni (di Linda Pocher, J. B. Wells e G. Di Berardino come donne teologhe) e in questo caso anche le risposte dei cardinali Hollerich e O’Malley.
Una cosa colpisce subito il lettore: appare chiaro come sul tema al centro della discussione, e che sarebbe oggetto di “dialogo aperto”, si manifesta con forza una tendenza inversa rispetto alle aspettative. Le tre donne scrivono testi molto argomentativi, mentre gli uomini lavorano piuttosto sul piano affettivo. Mi pare un aspetto che merita attenzione e che attesta un cambiamento oggettivo del modo di prendere la parola, nella Chiesa cattolica, da parte dei soggetti autorevoli.
Nelle tre pagine di prefazione papa Francesco pone bene la questione di un confronto con la realtà prima che con le idee. Ma proprio rispetto a questa “consegna” colpisce la differenza di stile tra i contributi femminili e le risposte maschili.
I tre contributi scritti da donne sono ricchi di argomentazioni, di analisi, di confronti, di aperture, di attenzioni. Sia che presentino aspetti del dibattito teologico antico o contemporaneo (come fa Pocher), sia che espongano il cammino di un’altra confessione cristiana (come fa il vescovo Wells), sia che presentino gli ambiti di evoluzione della prassi ministeriale cattolica già disponibili (come da Di Berardino) offrono una lettura ariosa e ricca, valorizzando le differenze confessionali ed esperienziali per un vero arricchimento della tradizione.
Tutt’altro è il tono dell’intervento dei due cardinali. Entrambi vogliono essere gentili verso le donne, ma senza esagerare: restano profondamente sordi alle argomentazioni che hanno appena ascoltato. Di fronte a quei tre discorsi essi sembrano vivere “su un altro pianeta”, in cui tutte le argomentazioni portate dalle tre relatrici sono ridotte al nulla di fronte ad una “evidenza” della riserva maschile che sembra calare dall’alto, come un dato di fede che non ha bisogno di argomentazioni. Se siamo cattolici, sembrano dire, non abbiamo alternativa alla riserva maschile: ci possiamo ascoltare anche per secoli, ma tutto è già deciso. La identificazione del cattolicesimo con la riserva maschile è la “non teologia” che alimenta il discorso dei due cardinali. Il tono piuttosto preoccupato con cui O’Malley parla della “lacerazioni causata dalla chiesa anglicana” con la decisione di ordinare le donne, e la concessione della “non indiffenza” rispetto alle sofferenze delle donne espressa da Hollerich, stimando però che tutto ciò che causa tale sofferenza potrà trovare una eventuale soluzione solo tra “molte generazioni” e dopo lunga elaborazione, mostra bene il contenuto allo stesso tempo “affettivo” e “anaffettivo” delle risposte dei due cardinali. Insieme sembra prevalere una forma di “paura” e uno stile della “indifferenza”, che si impongono quasi invicibilmente. Tutto ciò viene sempre unito al pesante spostamento sulla “sensibilità del papa” del fatto che alle donne sia stata data la parola. Questa insistenza nel magnificare la concessione fatta dal papa, e non il diritto delle donne a parlare, presentato piuttosto come potenzialmente aggressivo, mi pare una cifra allarmante del modo con cui il dialogo è stato vissuto. E anche uno strano modo di “rispettare” le donne.
Il libro merita una lettura attenta e offre un quadro singolarmente efficace della attuale situazione ecclesiale: donne capaci e attrezzate nella argomentazione si trovano di fronte uomini allo stesso tempo affettivamente e anaffettivamente incapaci di produrre un solo ragionamento convincente, se non ammantando la “riserva maschile” del compito “mistico” di difendere la apostolicità e la sacramentalità della Chiesa cattolica. Questa è una notte in cui tutte le vacche sono nere. La ripetizione dello stile apologetico del 1994 sembra quasi identificare la “costituzione dogmatica del cattolicesimo” con la riserva maschile. Ma questo è solo un equivoco teologico, privo di argomenti, che le tre donne provvedono a smascherare nella sua debolezza, mentre i due uomini sembrano non avere argomenti diversi da un fragilissimo “si è fatto sempre così”. Nei passaggi chiave del volume la teologia viene fatta solo dalle donne, mai dagli uomini (salvo la breve Prefazione): perché mai abbiamo potuto arrivare a questi punti?
Il tempo dello scoraggiamento sarà ancora lungo!
Ma, una domanda: perché vescovo anglicano e non vescova anglicana?
Marinella mi hai rubato la domanda
Comunque grazie, Andrea, per la chiarezza.
Al di là dell’espressione di genere vescovo/vescova, la domanda è: da parte della Chiesa cattolica viene considerata valida la consacrazione di una episcopa anglicana? Se non viene considerata valida, bisognerebbe chiarire in base a che cosa il rito sacramentale celebrato nella comunità anglicana possa essere considerato inficiato se ha mantenuto il testo della tradizione cambiando solo i termini designativi al femminile. Se, invece, viene considerata valida, allora l’argomento “si è fatto sempre così” comincia a presentare le prime crepe.
Ma poi, sarebbe interessante sapere in che modo il popolo anglicano, col suo sensus fidei e il suo consensus fidelium, abbia accolto questa novità, in che modo questa episcopa sta esercitando il suo ministero e, in buona sostanza, quale esperienza di grazia stia facendo la comunità anglicana da lei presieduta. Contra (novum) factum… valet argumentum? Senza alcuna intenzione di strumentalizzare un testo biblico, potrebbe esserci utile ricordare un passaggio di Lc 9,49: “Signore abbiamo visto un tale che scacciava demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito…Non glielo impedite perché chi non è contro di voi e per voi”. Dati gli argomenti consistenti addotti dalle teologhe nel volume recensito, vi pare giusto che continuiamo a parlare di argomenti “alla femminina”?
Cosimo, scordato, cioè dimentico, dell’invalidità delle ordinazioni anglicane decretata da Leone XIII. Scordato, cioè non accordato, al sensus fidei della Chiesa! Il quale, checché ne pensi il professore, ha ritenuto, ritiene e riterrà legge divina la riserva maschile.
In base a che cosa questo poeta possa parlare come un Sommo Sacerdote non poco arrogante non è dato sapere. Così sì rende divina la propria provinciale grettezza
Il vero scordato è lei, Grillo: senza cuore!
Questa è la qualità dei suoi commenti. Ingiuriare le persone giocando sui cognomi.le questioni meritano cuori forti e caldi, non giochi di parole vuoti e idealizzazioni di pregiudizi
Caro William, mi piace il suo modo di scherzare… da preti o per preti? Restando a Leone XIII ricordiamo qualche passaggio del suo insegnamento. “L’ineguaglianza di diritti e di potestà proviene dall’Autore medesimo dalla natura…” (DSch 3131); ci vuole la filosofia “affinché la sacra teologia assuma e rivesta natura, forma e carattere di vera scienza” (3137); “il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie, la quale tuttavia… dev’essere soggetta e obbediente al marito non a guisa di ancella, bensì di compagna” (3143); non è consentita la cremazione dei cadaveri (cf 3188); parimenti, sono espresse riserve circa la libertà di coscienza (cf 3250); si afferma che “la proprietà privata è diritto di natura” (3265) e la comunione dei beni tra i primi cristiani? Le suonano bene queste affermazioni?
Venendo alla lettera Apostolicae curae (3315ss) in essa vengono riconosciute non valide le ordinazioni dei presbiteri e dei vescovi non perché fatte da persone (vescovi) invalidate ma perché nell’Ordinale della celebrazione si ritiene che non venga fatta menzione del valore di sacrificio della messa (sulla linea della riforma luterana); l’invocazione dello Spirito Santo “per il compito di vescovo” non viene considerata sufficiente a garantire la validità dell’ordine. Dovremmo presumere che quelli che invece riconoscono il valore sacrificale della messa siano esenti da questa dichiarazione di invalidità (come proponevano diversi teologi cattolici). Comunque, ne è passata acqua sotto il ponte e il riconoscimento di chiese sorelle ci spinge a ripensare tutto l’insieme. Il documento di Leone XIII, comunque, non affronta l’argomento dell’ordinazione delle donne e quindi non può essere chiamato in causa a rinforzare la riserva maschile!
Ma, carissimo William, la Chiesa deve vivere solo del passato (per giunta, spesso, prossimo) o non piuttosto del passato fontale della novità del Cristo e del futuro sempre dirompente nel novum del Risorto?
Con questo non vorrei che lei, signor William, mi si faccia “scuro o nero” (Blake) in viso per quanto le sto simpaticamente proponendo, sapendo che lei un cuore ce l’ha e augurandole non soltanto di “non dimenticare” ma soprattutto di proiettarsi in alto e in avanti (T. de Chardin)!
Cosimo, la ringrazio per il suo bel messaggio e ricambio lo stesso augurio con lo stesso affetto!
Alla sua domanda se mi suonano bene le affermazioni di Leone XIII non posso che rispondere un sonoro: Sì!
In genere si usa, nella Chiesa Cattolica, affidare ad un cardinale momenti teologici, storici, dialettici che rappresentano, o potrebbero rappresentare, punti incontro e di svolta nella storia della stessa Chiesa. Ma non penso che il cardinalato abbia di per sé la forza di tramutare un normale prete, poi vescovo, in un esperto tuttologo in materie religiose. Se si vuole dialogare con ottime teologhe e ottime vescove (anche anglicane), occorre chiamare persone preparate a questo scopo. Il cardinalato non è sufficiente a garantire cultura e visione ampia del Vangelo e della vita stessa, e tra l’altro non pretende di tramutare un vescovo ‘medio’ in un cardinale ‘super’. Non basta un grosso anello e un robusto assegno mensile.