Due omelie di Pentecoste




Continuità nella discontinuità tra Benedetto e Francesco a Pentecoste

Per uno strano caso, qualche giorno fa, volevo riascoltare l’omelia di papa Francesco del giorno di Pentecoste, che avevo già seguito a suo tempo, e inavvertitamente ho cliccato sulla omelia di un anno prima, l’ultima di Benedetto XVI. Ho lasciato scorrere il video e mi sono imbattuto in un discorso molto diverso, ma anche molto simile a quello di papa Francesco. Ho trovato molto interessante questo confronto e vorrei proporne solo due aspetti centrali. Mi soffermerò principalmente sul “tema comune” dei due discorsi, che è quello della “apertura” suscitata dallo Spirito Santo.

Papa Francesco, nel cuore della sua omelia della Pentecoste 2013 sottolinea la “novità” dello Spirito con queste parole:

“ La novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene. Domandiamoci oggi: siamo aperti alle “sorprese di Dio”? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza? Ci farà bene farci queste domande durante tutta la giornata.”

Papa Benedetto, un anno prima, aveva toccato lo stesso tema della “apertura”, ma con questo diverso accento:

“ Gesù, parlando dello Spirito Santo, ci spiega che cos’è la Chiesa e come essa debba vivere per essere se stessa, per essere il luogo dell’unità e della comunione nella Verità; ci dice che agire da cristiani significa non essere chiusi nel proprio «io», ma orientarsi verso il tutto; significa accogliere in se stessi la Chiesa tutta intera o, ancora meglio, lasciare interiormente che essa ci accolga. Allora, quando io parlo, penso, agisco come cristiano, non lo faccio chiudendomi nel mio io, ma lo faccio sempre nel tutto e a partire dal tutto: così lo Spirito Santo, Spirito  di unità e di verità, può continuare a risuonare nei nostri cuori e nelle menti degli uomini e spingerli ad incontrarsi e ad accogliersi a vicenda.”

Come appare evidente, il tema della “apertura” è del tutto comune, ma viene orientato in modo molto diverso: per Francesco la apertura è apertura allo Spirito rispetto ad una Chiesa chiusa in se stessa, che deve invece andare per nuove strade, uscendo dalle sue strutture caduche, mentre per papa Benedetto l’apertura richiesta è quella dell’io chiuso in se stesso, che invece deve aprirsi al tutto e alla Chiesa tutta intera. La Chiesa è in un caso soggetto della apertura, mentre nell’altro è oggetto della apertura.

Vi è però un secondo punto su cui i due discorsi sulla “unità e comunione della Pentecoste” prendono direzioni diverse. Papa Benedetto, infatti, inizia la sua omelia con una contestualizzazione piuttosto  drammatica della Pentecoste. Egli dice infatti:

“La Pentecoste è la festa dell’unione, della comprensione e della comunione umana. Tutti possiamo constatare come nel nostro mondo, anche se siamo sempre più vicini l’uno all’altro con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, e le distanze geografiche sembrano sparire, la comprensione e la comunione tra le persone sia spesso superficiale e difficoltosa. Permangono squilibri che non di rado portano a conflitti; il dialogo tra le generazioni si fa faticoso e a volte prevale la contrapposizione; assistiamo a fatti quotidiani in cui ci sembra che gli uomini stiano diventando più aggressivi e più scontrosi; comprendersi sembra troppo impegnativo e si preferisce rimanere nel proprio io, nei propri interessi. In questa situazione, possiamo trovare veramente e vivere quell’unità di cui abbiamo bisogno?”

E più avanti aggiunge, sempre nello stesso tono accorato:

“ Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano. In questa situazione, pregare Dio sembra qualcosa di sorpassato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma non ci accorgiamo che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele. E’ vero, abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere informazioni, di trasmettere notizie, ma possiamo dire che è cresciuta la capacità di capirci o forse, paradossalmente, ci capiamo sempre meno? Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a diventare perfino pericolosi l’uno per l’altro? Ritorniamo allora alla domanda iniziale: può esserci veramente unità, concordia? E come?”

Per papa Francesco, invece, la questione portante non è tanto la contrapposizione tra uomo e Dio, tra mondo e Chiesa, ma il reale servizio che la Chiesa può fare all’apertura che lo Spirito Santo determina nell’uomo:

“lo Spirito Santo, apparentemente, sembra creare disordine nella Chiesa, perché porta la diversità dei carismi, dei doni; ma tutto questo invece, sotto la sua azione, è una grande ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità, ma ricondurre il tutto all’armonia. Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei Padri della Chiesa ha un’espressione che mi piace tanto: lo Spirito Santo “ipse harmonia est”. Lui è proprio l’armonia. Solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità. Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità, l’omologazione. Se invece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa.”

E più avanti:

“Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel suo recinto; ci spinge ad aprire le porte per uscire, per annunciare e testimoniare la vita buona del Vangelo, per comunicare la gioia della fede, dell’incontro con Cristo. Lo Spirito Santo è l’anima della missione.”

E’ fin troppo evidente la grande unità e continuità dei due discorsi. Né il primo nega il secondo, né il secondo contraddice il primo. Ma l’approccio al tema comune è quanto mai diverso. Se in Benedetto l’apertura è donata dallo Spirito al soggetto individuale, perché possa aprirsi verso la  Chiesa”, come luogo di unità e di comunione certa, per Francesco l’apertura è “richiesta alla Chiesa” perché possa essere luogo ospitale e differenziato, capace di uscire da sé e portare la notizia buona del Vangelo a tutti gli uomini. Il mondo, in questi due discorsi, lavora quasi in modo antitetico: in Benedetto è l’orizzonte disegnato a tinte fosche, perché il soggetto possa aprirsi alla Chiesa; in Francesco è il destinatario della missione della Chiesa, la quale, lasciandosi guidare dallo Spirito, sa come uscire da sé e aprirsi alle vie del mondo. Per entrambi, al centro, sta lo Spirito Santo. Ma, nell’economia dei discorsi concreti, per Francesco il centro di attrazione è la periferia, mentre per Benedetto al centro sta la Chiesa. E, come è evidente, la differenza tra i due papi non è solo questione di “scarpe diverse”, anche se le scarpe definiscono, precisamente, una rossa centralità ecclesiale o una nera centralità periferica.  

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