Due riti del matrimonio, anzi tre: riforma tridentina e riforma del Vaticano II


sposalizio

Nella storia del matrimonio cristiano e cattolico, è noto che il Decreto “Tametsi” (1563) ha dato al sacramento una collocazione giuridico-liturgica nuova. Il rituale del 1614 ha poi dato alla forma rituale un assetto conseguente alla svolta giuridica e dottrinale di 50 anni prima. Questo ha dato al rito matrimoniale una configurazione nuova, che è entrata anche nel costume e nella coscienza ecclesiale. E che è rimasta tale fino alla riforma del rito del matrimonio del 1969, successiva al Concilio Vaticano II. Ciò che colpisce, in tutti questi passaggi, è il modo con cui la percezione del significato del matrimonio è stata condizionata dalla sua forma rituale e come, viceversa, la struttura rituale abbia rispecchiato una visione ecclesiale e culturale del matrimonio storicamente determinata e in evoluzione. Può essere utile considerare questa dinamica storica e teologica sotto una serie di aspetti, che per lo più sfuggono alla attenzione. Soprattutto occorre cogliere un effetto di “contaminazione” tra tre diverse logiche che operano nel rito matrimoniale, e che facciamo fatica a distinguere, spesso sovrapponendole con una certa approssimazione. Provo anzitutto a chiarire questo “dato” nascosto della tradizione.

Le tre “sequenze rituali” del matrimonio cattolico

La lunga e complessa evoluzione delle forme matrimoniali ha portato, nel rituale del 1614, ad una triplice presenza di azioni rituali, che rispondono a logiche diverse e che si integrano tra loro in modo niente affatto lineare. Per “vedere” queste logiche del 1614 dobbiamo anzitutto spogliarci da alcuni pregiudizi che sono nascosti nel linguaggio e nel pensiero. Si dice, ordinariamento, che il matrimonio si realizza ritualmente nello scambio del consenso e nello “scambio degli anelli”. Questa “riduzione” in forma di slogan dimentica totalmente la logica della benedizione (di anello e sposa) e trascura il fatto che per 350 anni non vi fu alcuno “scambio” degli anelli. Ma esaminiamo ogni sequenza rituale, così come era prevista nel 1614:

a) Manifestazione e recezione del consenso: la centralità di questo “rito” è determinata dalla sua autorità sul piano giuridico. E’ noto che questo è uno degli effetti maggiori del decreto del 1563. Fino ad allora questo rito non avveniva mai “in chiesa”, ma in casa, o davanti alla Chiesa.

b) Benedizione dell’anello della sposa

L’anello che viene benedetto è, secondo le norme del 1614 che restano in vigore fino al 1969, soltanto quello della sposa. Le rubriche aggiunte da Pio XII nel 1952 chiariscono bene il senso di questa disposizione:

“L’anello nuziale è, secondo Tertulliano, l’immagine della fedeltà; ma è anche il Sigillo, dice Clemente di Alessandria, che significa la dignità della sposa cristiana, regina e padrona del focolare. Ella ha il diritto di sigillare cioè di disporre di tutte le proprietà quanto suo marito. Per questa dignità la Chiesa benedice solo l’anello della sposa annulum hunc dice il Rituale; lo sposo invece si mette da sé l’anello non benedetto. Se, questi però lo ponesse sul piatto con quello della sposa non per questo bisogna mettere al plurale le parole annulun hunc, dovrà riprenderlo solo dopo di aver messo l’altro al dito della sposa.”

c) Benedizione della sposa

Anche la benedizione riguarda, almeno nel testo stabilito dal Rituale del 1614, soltanto la sposa.  Tale benedizione, tuttavia, non fa parte del “rito del matrimonio”, ma interviene solo nella “messa per gli sposi” ed è subordinata ad alcune condizioni che possono impedire la benedizione (come la convivenza dei coniugi prima del matrimonio). Perciò questa benedizione, a differenza di quella dell’anello, non viene pensata come “parte essenziale” del sacramento del matrimonio. Una premessa a questa prassi posttridentina può essere considerata una delle due versioni presenti nella teologia matrimoniale di S. Tommaso d’Aquino. Il quale nella Commentario alle sentenze” ritiene la benedizione della sposa un “sacramentale” diverso dal sacramento, mentre nella Summa contra Gentiles identifica il sacramento del matrimonio con la benedizione sugli sposi. Anche nella teologia vi sono chiare tracce di tradizioni diverse e non del tutto sistematizzate.

Alcune dinamiche complesse dei tre riti

La compresenza delle tre “sequenze rituali” (di cui due nell’atto sacramentale e una nella “messa degli sposi”) mostra dunque il convivere di comprensioni e rappresentazioni differenti del medesimo atto. In fondo attesta la presenza di una “linea del consenso” diversa rispetto ad una “linea della unione carnale”. Da un lato la lettura giuridica sottolinea , fin dal XII secolo, una visione profondamente egualitaria del patto matrimoniale, che elabora una teoria del soggetto libero. Mentre la benedizione dell’anello e la benedizione della sposa differenzia la sposa dallo sposo in modo profondo, sul piano della fedeltà e della generazione. D’altra parte la espressione del consenso mostra una lettura puntuale e immediata del contratto matrimoniale, mentre le due benedizioni assumono una lettura processuale e storica del matrimonio. Questi diversi elementi, che la tradizione precedente al 1563 aveva gestito con grande differenziazione e libertà, a partire dal rituale del 1614 sono tutti giustapposti all’interno della sequenza rito del matrimonio e messa degli sposi. Nel passaggio dalla comunità all’individuo la soluzione tridentina propone un “sistema”, che risponde a nuove esigenze. Come vedremo, con la riforma del 1969 ci saranno grandi cambiamenti ed ulteriori passi verranno compiuti dalla Chiesa italiana a partire dal 2004.

Il mutamento di comprensione nel 1969

Con il rituale che scaturisce dal Vaticano II avvengono alcuni cambiamenti decisivi al rito del matrimonio, che qui posso rapidamente riassumere

a) Si esce dalla idea che il sacramento stia “prima della messa”, ma viene collocato o al suo interno, “dentro la messa” o viene celebrato “senza la messa”.

b) la espressione del consenso passa ad una forma più articolata, e fatta propria da ciascuno dei nubendi. Nella formula si esprimono i “doveri-doni” degli sposi.

c) Entrambi gli anelli vengono benedetti e lo scambio corrisponde ad una nuova considerazione dei due soggetti, che assumono entrambi la iniziativa del “mettere l’anello all’altro”.

d) La benedizione diventa “degli sposi” e non soltanto della “sposa”. Le loro persone e il loro vincolo si fa storia della salvezza.

Potremmo dire che questi passaggi attestano un profondo cambiamento di lettura sia dei soggetti che compongono la coppia, sia della funzione ecclesiale della coppia e della famiglia che da essa scaturisce. Non vi è più una lettura “privatistica” della donna rispetto all’uomo e, in qualche modo, la comprensione giuridica rinnovata –  ossia il segno dei tempi della “entrata nello spazio pubblico della donna” – determina una modificazione profonda nel modo di pensare benedizione e scambio degli anelli e benedizione degli sposi.

L’adattamento della Chiesa italiana (2004)

L’ultimo passaggio di questa evoluzione avviene con l’adattamento operato in un lungo lavoro da parte della Chiesa italiana. Esso compie una ulteriore trasformazione, su tutti i livelli prima considerati:

a) Il rito del matrimonio accade sempre in un “altro contesto”: ossia una liturgia della parola o una liturgia eucaristica è l’orizzonte del sacramento. E la valorizzazione della esperienza di Parola appare una promettente novità.

b) La espressione del consenso si arricchisce di elementi di “benedizione”, ossia tematizza la relazione con la “grazia di Cristo”, prima del tutto assente.

c) Nuove formulazioni del consenso e della preghiera di benedizione permettono una maggiore articolazione del rito. Soprattutto è ora possibile celebrare anche durante la celebrazione eucaristica la sequenza diretta consenso-benedizione, senza attendere la conclusione della preghiera eucaristica. Una delle ragioni di separazione tra sacramento e benedizione viene così a cadere.

I tre riti e la loro storia

Non vi è dubbio che l’attuale rito del matrimonio, almeno nelle Chiese che sono in Italia, porti con sé una serie di componenti non riducibili ad unità. Il rito di “manifestazione del consenso”, il rito di “benedizione e scambio degli anelli”, il rito di “benedizione degli sposi” (a cui si aggiungono “velatio”, “incoronatio”, “arrha” ecc.) assumono una figura sempre più integrata. La antica distinzione tra “riti essenziali” e “riti accessori” permette anche oggi una certa selezione, talora necessaria e talora pericolosa. Ma la integrazione dei diversi elementi da cui è sorta la tradizione permette di vedere pregi e difetti di ogni componente. Quella giuridica, con la sua potenza universale, resta astratta; quella liturgica, con la sua particolarità e contingenza, rimane però dinamica. Una accurata correlazione permette di rileggere nel matrimonio quella sovrapposizione di registro naturale, civile ed ecclesiale che spesso abbiamo troppo facilmente sintetizzato e ridotto. Onorare tutti questi livelli della esperienza è la più autentica vocazione della tradizione cristiana e cattolica.

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