Francesco “oltre” e “altrove”: alla radice del conflitto di interpretazioni


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L’”essere oltre” e il ”venire da altrove” di Francesco: alla radice del conflitto di interpretazioni

Se cerchiamo di prendere la distanza dalle polemiche che dopo AL si sono intrecciate nel corpo ecclesiale e cerchiamo di valutare con pacatezza e sine ira ac studio il dibattito che ne è scaturito, possiamo notare che un duplice fronte tende a “parafrasare Francesco”, o cerca di “farne la caricatura”, secondo una logica antitetica ma assai coerente. Alcuni leggono Francesco “come se nulla fosse”, altri come se “nulla fosse come prima”. E, su questa duplice lettura si può consentire o dissentire, ma la questione è che non si consente o dissente da Francesco, ma dalla propria proiezione su di lui!
Allora potrebbe essere utile comprendere come funziona questo“riflesso condizionato” della interpretazione cattolica del papato di Francesco (a), come possiamo comprendere il “vero Francesco” (b) e quali scoperte potremmo fare in alcuni campi determinati (come la riforma della Chiesa o la vita familiare) (c), per poi tornare altrove, a Francesco (d).

a) Lo stereotipo della antitesi modernista/antimodernista

Negli interventi che abbiamo letto dopo l’8 aprile – e che avevamo già ascoltato lungo tutto il cammino sinodale – alcuni teologi, pastori, ufficiali, cardinali, giornalisti come Spaemann, Mueller, Caffarra, Negri, Valli, con le rispettive e dovute differenze, sembrano muoversi secondo un modello che è stato elaborato durante il XIX secolo, poi messo a punto alla fine di quel secolo, irrigidito durante la “lotta antimodernista” dei primi decenni del XX secolo e che oggi funziona come “strumento scontato” della analisi. Al suo interno il “mondo moderno” è identificato con una serie di -ismi (soggettivismo, relativismo, postmodernismo) che assolutizzano la libertà, che annullano i legami, che rendono “liquida” e “indeterminata” l’esistenza. Rispetto a questo “modernismo”, così considerato, la Chiesa non può che collocarsi sul fronte opposto, ossia sul piano della oggettività, della autorità e della tradizione. Ogni valutazione di parole, di gesti, di auspici, di progetti viene immediatamente riportata a questo “modello”. Quando ascolti un papa, ritieni che egli debba parlare secondo il modello, ossia a favore della oggettività, della autorità e della tradizione, e che si scagli contro il soggettivismo, contro il relativismo e contro il postmodernismo liquido. Un papa sembra che possa essere tale soltanto quando rientra in questo modello. E se non ci entra, il problema è…del papa. Io credo, invece, che il problema stia non nel papa, ma nel modello.

b) Francesco e la via conciliare di “pacificazione con la modernità”

Francesco, fin dall’inizio, ha cercato di essere autorevole con la libertà del suo magistero. Ha cercato di combattere il relativismo con un surplus di relazioni, non con la denuncia della loro mancanza. Ha cercato di combattere il soggettivismo motivando i “legami che promuovono e che danno gusto alla vita”, piuttosto che mortificando la libertà del soggetto; ha cercato le vie nuove del Vangelo, piuttosto che la denuncia degli ostacoli che nuove forme di vita oppongono al vangelo.
Insomma, in Francesco assistiamo al fenomeno grandioso di una “messa in opera” del paradigma conciliare, che il Vaticano II aveva predisposto, ma che nel pontificato di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non aveva ancora raggiunto la evidenza di un “canone”. I grandi meriti di questi tre papi in diversi settori – la evangelizzazione per Paolo, la pace e il dialogo con le grandi religioni per Giovanni Paolo II, la mistagogia per Benedetto XVI – non hanno impedito al paradigma ottocentesco di imporsi anche sotto i loro pontificati, soprattutto nei settori morali, dogmatici e giuridici. In questi 50 anni dopo il Concilio, molte cose sono certamente mutate, ma la struttura complessiva della Chiesa è rimasta legata ad una interpretazione del “mondo moderno” di carattere apologetico e difensivo, con forte diffidenza e nostalgia, e con percentuali di chiusura autoreferenziale troppo alte.
Francesco esce apertamente e direi pubblicamente da questo schema. Per questo agli uni può sembrare modernista, solo perché parla bene della libertà. Agli altri sembra invece antimodernista, perché rivela i limiti di una lettura unilaterale del soggetto. Questa, però, non è la “confusione” denunciata da destra o il “compromesso” denunciato da sinistra, ma un “nuovo modello” di rapporto tra Chiesa e mondo, al quale non siamo abituati, perché viene “dalla fine del mondo”. Venendo dalla fine del mondo, è anche “la fine di un mondo”, del piccolo mondo antico dei professori di seminario che, vedendo arrivare un nuovo giovane professore, sussurrano a bassa voce la domanda fatidica: “Sarà mica un kantiano?”. Anche se arriva un papa che parla con libertà, si sussurra: “Sarà mica modernista?”. Non è modernista, ma è nato in una Metropoli.
Uscendo dallo stereotipo, viene facilmente confuso come “traditore” di una parte. In realtà ciò che Francesco tradisce apertamente è il modello di antitesi tra modernismo/antimodernismo. Che ora è definitivamente chiuso e ufficialmente archiviato, anche se non è impossibile organizzarci intorno molte iniziative di riscossa…

c) Ordine e matrimonio, da ripensare secondo un altro modello

Questo nuovo modello, per dirla in breve, congiunge creativamente e sapienzialmente ciò che l’antitesi opponeva drasticamente: esso pensa diversamente il rapporto tra “comunione”, “autorità” e “libertà”. Tale rapporto riguarda, ovviamente, l’intero “sapere cristiano”, dalla protologia alla escatologia, e quindi anche tutti e sette i sacramenti. Ma i due sacramenti che risultano più “esposti” al mutamento di paradigma sono proprio il matrimonio e il ministero ordinato. In ognuno di essi, infatti, è in gioco, immediatamente, una “forma di comunione”, secondo un certo rapporto tra autorità e libertà. Ed è qui, proprio su questo terreno sensibilissimo al “modello antitetico” che le resistenze e le caricature crescono esponenzialmente.
Questo modello di contrapposizione viene da una eredità ottocentesca, che non abbiamo ancora elaborato fino in fondo. E nelle parole che usiamo e nei pensieri che concepiamo abitano ancora i fantasmi di una contrapposizione tra stato della Chiesa e stato liberale. Così il matrimonio è diventato lungo il XX secolo una sorta di “piccolo residuo di potere temporale”, che condanna la Chiesa ad un livello di autoreferenzialità assolutamente insopportabile, proprio quando essa annunzia la cosa più “eteroreferenziale” di tutte, come il matrimonio! Per questo il linguaggio sul sacramento del matrimono è stato “politicamente blindato” a partire dal codice del 1917, ma anche dopo il codice del 1983 permane una logica “antitetica”, che rende difficilissimo il “dialogo tra ordinamenti”.
In questo campo Francesco ha compreso perfettamente che la “logica del sistema” produce da tempo troppa ingiustizia. Recuperare il “soggetto” (maschile e femminile, legato e libero) nelle logiche oggettive di “ordine” e “matrimonio” è una sfida che non si risolve all’interno del modello classico, ma soltanto a patto di cambiare modello.

d) Francesco gioca sempre da “libero”

Francesco non può essere compreso mediante gli schemi classici. Nemmeno in quelli “residenziali” è riuscito a stare per un sol giorno. Ma non perché stia da una parte o dall’altra, e nemmeno perché stia nel mezzo. Egli è oltre ed viene da altrove. Potremmo quasi dire che quel principio che sancisce il primato del tempo sullo spazio – e dal quale discendono non poche novità nel magistero di Francesco – può essere compreso non tanto “storicamente”, quanto “geograficamente”. L’altrove americano – il suo “non appartenere” alla tradizione europea – colloca papa Francesco in un “oltre” rispetto al modello del conflitto tra modernismo e antimodernismo. Questa “alterità” di Francesco non è catalogabile secondo le nostre abitudini europee. E le relativizza tutte. Per questo egli appare ancora giudicato come un “fenomeno”, anche dopo tre anni abbondanti dalla sua elezione. Ma, come ha scritto il moralista Marciano Vidal, se lo abbiamo riconosciuto subito, quella sera di marzo del 2013, appena si è sporto dalla finestra e ha cominciato a parlare, è perché ne avevamo il “presentimento”. Il Concilio, 50 anno prima, ci aveva messo nella possibilità di aspettarci un papa così sorprendente. E di riconoscerlo come papa. E di tenercelo caro. Perché, con il suo “essere oltre” e con il suo “venire da altrove”, egli permette alla Chiesa di tradurre il Vangelo di sempre in una lingua in parte molto nuova e in parte molto antica. Le caricature che deve subire attestano anzitutto questo suo “andare oltre” e questo suo “venire da altrove”.

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