Futuro fragile futuro possibile
Radicalmente ridotti costi e distanze dei trasporti, nel 1962 Carlo M. Cipolla, storico economico a Berkeley, scrisse l’atto di nascita della globalizzazione. «Nel passato l’uomo ha dovuto abbandonare il punto di vista cittadino o regionale per acquisirne uno nazionale. Oggi dobbiamo uniformare noi stessi e la nostra maniera di pensare ad un punto di vista globale. Come scrisse recentemente Bertrand Russell, “Il mondo è diventato uno, non solo per l’astronomo, ma anche per il normale cittadino”» [Uomini, tecniche, economie, tr.it. Feltrinelli 1966, p. 5].
Nel 2006 la conferma di Paul Kennedy, storico a Yale. «Se un diplomatico o un giornalista del 1900 si ritrovasse nel mondo d’oggi, resterebbe esterrefatto dal ruolo che esercitano gli organismi internazionali nell’interesse della società globale. Il più noto e più ambizioso di questi organismi è l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Fondata nel 1945 dai paesi vincitori della seconda guerra mondiale, essa ha ereditato molte caratteristiche della Lega delle Nazioni, il primo esperimento di cooperazione globale. Ma ha rappresentato anche un grosso passo avanti nella risoluzione delle controversie, nella tutela dei diritti umani o nella difesa dei diritti economici». «Creata dai suoi stati membri, che agiscono come azionisti di una società commerciale, essa può funzionare effettivamente solo quando ha l’appoggio dei governi nazionali, specie quelli delle grandi potenze» [Il Parlamento Dell’Uomo, tr.it. Garzanti 2007, pp. 11-12]. Ora in conflitto con la globalizzazione. «La nazione, infatti, considera ogni minoranza etnica, linguistica o religiosa come un ostacolo da superare mediante politiche di assimilazione o esclusione» [Enzo Traverso, La fine della modernità ebraica, Feltrinelli 2024, p.19]. Pietra angolare globale è la popolazione mondiale.
Cresciuta da 3,0 miliardi nel 1960 a 7,8 nel 2020, ha messo al mondo, alla lettera, una intelligenza globale artefice di innovazione. «Un’agenzia di ricerca per portare avanti progetti eccentrici e di frontiera non basta. Qualcuno deve esserci, in un paese, per fare ricerca. Chi? Questo è il secondo fondamentale passaggio della storia canadese dell’intelligenza artificiale: la capacità di incanalare e utilizzare le energie di coloro per cui “non esiste passato e non esiste presente, ma solo l’avvenire”, per dirla con Sombart. E cioè gli immigrati. Per la sociologia del capitalismo di inizio Novecento, lo studio dello straniero accompagna l’analisi di una situazione imprenditoriale “eroica”, in cui l’impresa e il denaro sono i modi per sottrarsi ai vincoli sociali preesistenti, che “hanno cessato di essere una realtà”, imponendo la creazione di una nuova realtà. Alla fine del Novecento acquistano sempre più rilievo i flussi globali dell’istruzione superiore e dell’imprenditorialità» [Alessandro Aresu, Geopolitica dell’intelligenza artificiale, Feltrinelli 2024, p. 65].
Flussi globali strategici per la vecchia Europa, da secoli consapevole che «la giustizia sociale non è un di più d’anima per idealisti di buon cuore, ma garanzia di stabilità per politici realisti. Per dirla nei termini maleodoranti usati da Francis Bacon nel XVII secolo nel capitolo degli Essay consacrati a tumulti e sedizioni: “Il governo deve soprattutto prendere misure atte a impedire che tutto il denaro di un paese si accumuli in un piccolo numero di mani: […] il denaro e il concime non danno frutto se non quando si ha cura di spargerli» [Alain Supiot, La justice au travail, SeuilLibelle, 2022, p. 14].
Invece «Musk e altri trarranno vantaggio dal fatto che gli Stati Uniti attraversino il più grande gioco di deregolamentazione della storia. […] Si fa spesso notare che negli Stati Uniti la corruzione è legale. […] Il vero giudice è la politica. Con poco meno della metà dei voti nazionali, Trump presiede una nazione sempre divisa. Eppure sta rivendicando un mandato radicale per rifare l’America. I vincitori stanno già raccogliendo frutti inimmaginabili». [Edward Luce, “Trump’s bonanza of the century”, FINANCIAL TIMES, 11/12/2024, p. 19]. Vecchia storia. «Un giorno camminavo verso Manchester con uno di quei signori del ceto medio. Gli parlavo dei bassifondi miseri e malsani e gli facevo notare le condizioni disgustose di quella parte della città dove vivevano gli operai delle fabbriche. […] Mi ascoltò pazientemente e, all’angolo della via dove ci separammo, disse soltanto: “Eppure, qui si fa un mucchio di denaro! Buongiorno, signore!”» [Friedrich Engels, cit. in Eric John Hobsbawm, Le rivoluzioni borghesi 1789-1848, tr.it. Il Saggiatore 1962, p. 255]. Sappiamo com’è andata.
Manca l’intelligenza, «capacità generica di utilizzare, in modo adeguato allo scopo, tutti gli elementi del pensiero necessari a riconoscere, impostare e risolvere adeguatamente problemi e ad adattarsi quindi all’ambiente» [Treccani online]. Nel nostro caso, «prima la sfera pubblicata era controllata dai mass media tradizionali, ossia ciò che era veicolato – argomenti, dibattiti, opinioni, temi in discussione – era sempre passibile di un controllo nella sua presentazione e nella sua circolazione. Ora la sfera pubblica vede ancora presenti i mass media, seppure in una forma adattata al nuovo ambiente di Internet, ma il controllo non è più di loro esclusiva competenza, bensì è Internet, con l’economia dell’informazione condivisa, che sembra essersi incorporata nel dibattito democratico e, quindi, nella democrazia stessa» [Giovanni Ziccardi, L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete, Cortina Editore, Milano 2016, p. 73. Ziccardi è professore di informatica giuridica all’Università degli Studi di Milano].
«Il panorama dell’odio online moderno, rispetto a quello degli anni Novanta e dell’inizio degli anni Duemila, si caratterizza anche per questo: i grandi fornitori di tecnologia e di piattaforme diventano parte in causa diretta nella decisione di quali contenuti rimuovere e di quali vittime difendere». «Occorre sempre tenere a mente, quando si tratta di odio online, che il network dell’odio che si è creato, e che è segnalato in crescita costante, non è virtuale, ma reale. La digitalizzazione consiste soltanto in pacchetti di dati che contengono le parole e che attraversano i continenti, ma gli effetti sulle persone e sulla loro salute sono identici a quelli conseguenti ad aggressioni fisiche e altrettanto reali». «Il pericolo è grande perché Internet è un network globale e, soprattutto, non è virtuale, ma è sempre reale e concreto» e si sa «come fin dagli inizi, i gruppi che incitavano all’odio avessero trovato un vero e proprio “porto sicuro” per i loro siti web negli Stati Uniti d’America, dal momento che la Corte Suprema aveva significativamente limitato, nel corso degli anni, la possibilità del governo di proibire la distribuzione di materiale razzista e provocatorio in quel paese» [pp. 77-8].
Rieletto Donald Trump, «il riallineamento della tecnologia sembra essere il preludio a un’offensiva antieuropea contro le multe e le varie tasse decise dalla Commissione Europea – viste come un mezzo per saccheggiare le aziende americane – e soprattutto contro le normative giudicate un ostacolo all’innovazione» [Arnaud Leparienter, «Les gèant de la tech en ordre de marche derrière Trump», Le Monde, 09/01/2025, p. 12-13]. Con il secondo prodotto interno lordo mondiale, l’UE è una preda.
«Nelle elezioni del Parlamento europeo di giugno, Luis ‘Alvise’ Pérez Fernández, un influencer di estrema destra, ha raccolto oltre 800.000 voti per La Festa È Finita (SALF), un partito che aveva fondato solo 40 giorni prima del voto. La sua campagna si basava principalmente su TikTok, Instagram e podcast». «Parejo afferma che il suo pubblico si sta radicalizzando non a causa dei suoi video, in cui si infuria contro i musulmani, il movimento e l’agenda LGBT, ma a causa della realtà della vita quotidiana degli spagnoli» [«The hard-right Vox party is winning over Spain’s youth. The kids like TikTok, Instagram and radical nationalism», The Economist, 6-13/12/24, online].
L’economia è in transizione verso i servizi, prendersi cura della vita anche quotidiana delle persone, dall’educazione alla salute come nella pandemia Covid. I potenti globali esigono invece obbedienza («nel diritto canonico, la sottomissione dovuta dai religiosi ai loro superiori», Treccani online) con violenza e dazi. Ma la storia ci dice che «dove l’esistenza di un confine è messa fortemente in rilievo da tariffe doganali che colpiscono esportazioni e importazioni, è normale che molta gente – al di qua e al di là della frontiera – si dedichi al contrabbando». «Gli abitanti delle due zone di confine, lavorando insieme nel quadro di tali rapporti, finiscono col diventare un gruppo a sé stante, di fronte al quale le due nazionalità di appartenenza, e in particolare le autorità, diventano qualche cosa di diverso (gli “altri”)» [Owen Lattimore, La frontiera, tr.it. Einaudi 1970, p. 406]. Gli “altri”: gli stati nazionali.
L’Europa/UE lo ha capito, ma anche in UE ai potenti del mondo si piegano i governi sedicenti nazionali che vantano spese pubbliche inflazionate, ma ben sotto l’inflazione, e respingono immigrati necessari alla vecchia Europa. Europei e immigrati – persone – trattati come plebe, «parte della popolazione dell’antica Roma formata da piccoli proprietarî, artigiani, trafficanti, nullatenenti, ecc., che inizialmente non godeva di tutti i diritti politici (dei quali era invece investito il patriziato) e che durante gran parte della storia di Roma repubblicana sostenne lotte durissime con la nobiltà per conseguire la parità giuridica» [Treccani]. Vecchia storia, che si ripete, come a piazza Fontana a Milano: «c’è poi un’altra esplicita ammissione di responsabilità sulla strage che proviene dall’interno di Ordine Nuovo ed è stata riferita da un testimone attendibile come Vincenzo Vinciguerra. Aldo Trinco, collaboratore di Franco Freda alla libreria Ezzelino gli ha confessato nel 1972: “Siamo stati noi, in fondo era plebe”» [Mirco Dondi, docente di storia contemporanea all’Università di Bologna, 12 dicembre 1969, Laterza 2028, p. 120]. Di fronte a noi c’è un futuro fragile futuro possibile.
Futuro fragile futuro possibile [San Paolo 2024] di Chiara Scardicchio, professoressa di Pedagogia alla Scuola di Medicina dell’Università di Bari, indica nel sottotitolo la strategia necessaria: educare nel tempo del chiaroscuro. «Nel 2022 le studiose e gli studiosi di pedagogia hanno cominciato a interrogarsi su un fenomeno nuovo e assai particolare, in merito alle scelte professionali dei giovani italiani negli ultimi anni: la riduzione del numero di chi sceglie di diventare educatore e di dedicarsi a professioni caratterizzate da relazione d’aiuto» [p. 39].
Professioni strategiche nella «nostra crescente demenza digitale: la modalità simbiotica attraverso cui oramai viviamo la nostra relazione con gli smartphone genera il paradosso per cui, mentre tramite essi riusciamo a fare cose che prima erano impensabili, e dunque a potenziare le nostre performance, contemporaneamente è proprio tramite essi che perdiamo capacità. Perdiamo capacità di memoria, di attenzione, di riflessività. E perdiamo capacità di attesa/lavoro tra il momento in cui esprimiamo un bisogno (“Alexa, cerca il più vicino ristorante senza glutine”) e quello in cui viene soddisfatto» [p. 47]. «Forse parrà esagerato correlare questi piccoli gesti quotidiani a una così grande domanda intorno al nostro futuro, ma siamo creature liturgiche e questo significa che le azioni che compiamo diventano parte della nostra identità: noi diventiamo quello che facciamo più spesso, finiamo con l’assomigliare anche interiormente alle forme che assumiamo esteriormente» [p. 64].
«Studiare è il quid dell’umano che esplora il vuoto, che sperimenta un pensare complesso proprio del vuoto del cimentarsi col “non so”». «Studiare è la pre-condizione della relazione: studiare come ricercare, esplorare, sentire di non poter, da soli, sapere tutto. È postura contraria all’arroganza» [p. 65]. «Le avversità, che in letteratura bellica intendiamo come oppositive, sono portatrici, insieme al loro carico di dolore e smarrimento, di informazioni che altrimenti ci sarebbero inaccessibili: il pensiero/habitus complesso non “supera” il limite, né lo “sconfigge”, ma lo tesaurizza» [p. 66].
Già nel 1974 il Nobel economia Kenneth Arrow avvertiva che «razionalità e lungimiranza sono infatti capaci di creare ritardo e dubbio; lo sono anche la coscienza, il rispetto per gli altri, il senso di vago rispetto per le conseguenze lontane e impreviste di cui possiamo preoccuparci. Il Vero Credente è molto più efficace nell’azione sociale, ma se sia nella giusta direzione potrebbe essere un’altra questione» [The Limits of Organization, W.W. Norton & C., New York – London 1974, p. 23].
La globalizzazione neoliberista è fallita sterilizzando la ricchezza in poche mani che sui social media eccitano frustrazione e rabbia «con una serie di promesse millenaristiche e sconfinate, fatte con convinzione assoluta e profetica a una schiera di uomini sradicati e disperati, in una società in cui le strutture tradizionali sono in via di disintegrazione» [Norman Cohn, I fanatici dell’Apocalisse, tr.it. Comunità, 1976, p. 390]. Vecchia storia, ricordata nel 1962 da Carlo M. Cipolla: «Mentre insegniamo le tecniche, dobbiamo insegnare anche il rispetto per la dignità e il valore e il carattere sacro della personalità umana. Se non vogliamo che la fine sia peggiore dell’inizio è necessario intraprendere un’azione urgente» [cit., p. 142]. Futuro fragile futuro possibile fondato su educazione e ricerca a scala locale e europea. Per millenni in guerra con se stessa – inclusi ricorrenti millenarismi – l’Europa costruisce nell’Unione Europea un destino comune anche in educazione e ricerca, che fruttificano senza fine, alternativa alla guerra via di scampo per regimi d’ogni colore e genere. L’Europa si è autodistrutta nelle due guerre mondiali del Novecento, ma ha fondato la Società delle Nazioni dopo la prima e l’Unione Europea dopo la seconda. Ora le forze distruttrici sono extraeuropee. Madre delle rivoluzioni, l’Europa ora UE ha ancora più ragioni e risorse per reinventarsi nel terzo millennio.