“Humanae vitae” e “Dignitatis Humanae”: la sintesi di Francesco


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Nella sua utile sintesi, che ho letto su l’Indice del Sinodo (http://www.ilregno-blog.blogspot.it/2016/02/il-virus-zika-e-la-pillola-congolese.html ), A. Tornielli ha fatto il punto sulla questione “contraccezione”, dopo le parole di Francesco sul tema pronunciate nella intervista “ad alta quota” al ritorno dal Messico. Mi pare, tuttavia, che la preoccupazione di Tornielli, del tutto comprensibile, di rassicurare sulla continuità tra le parole di Francesco e quelle della tradizione cattolica dal 1961 in poi, ivi comprese anche quella di Benedetto XVI, non riesca a tener conto di alcuni elementi di obiettiva novità, che tuttavia permettono oggi di cogliere meglio la questione e di assicurare alla prospettiva ecclesiale un orizzonte di maggior respiro.

In altri termini, vorrei dire che la ricostruzione di Tornielli, pur nella sua indiscutibile utilità,  ha inevitabilmente “il fiato corto”, perché inizia solo dal 1961, mentre per capire bene la posizione cattolica in materia di “anticoncezionali” bisogna iniziare almeno dal 1880! Altrimenti ci si chiude in una prospettiva soltanto “bioetica”, cosa che non sempre è opportuna. La bioetica, infatti, non sempre riesce a cogliere gli orizzonti più ampi e più complessi in cui le tematiche “circa la vita” si istituiscono e si articolano.

Ma andiamo per ordine

1. La prospettiva “secolare” della questione

Se è evidente che la “questione anticoncezionale” ha acquisito maggiore rilievo da quando esiste la “pillola anticoncezionale” – ossia un farmaco chimico e non solo “meccanico” – e quindi dai primi anni ’60 del XX secolo, altrettanto evidente è che la questione sia stata affrontata dalla “dottrina cattolica” già prima, e assunta ufficialmente dal magistero con Casti connubii d i Pio XI , nel 1930, in seguito alla “approvazione” in determinate circostanze degli anticoncezionali meccanici da parte della confessione anglicana. La posizione del 1930, espressa da Pio XI nella citata enciclica, risponde ad una “evoluzione dottrinale e disciplinare” da parte dei cristiani anglicani. Ma prima ancora, nel 1880, in Arcanum divinae sapientiae, di Leone XIII, troviamo affermata, a chiare lettere, la “esclusiva competenza ecclesiale” in materia di matrimonio, contro le “pretese” dello stato moderno. Dobbiamo dunque riconoscere che la questione della maternità/paternità responsabile si inserisce nel più ampio quadro di una “reazione ecclesiale” al configurarsi di un mondo strutturato sulla “libertà del soggetto” e rispetto al quale la Chiesa, certamente dal 1870 al 1965, tende ad assumere come evidente il seguente ragionamento: ogni maggiore riconoscimento della libertà dell’uomo/donna sottrae a Dio autorità e “potere”. Questo ragionamento, tuttavia, facilmente si traduce nella “lotta” tra Stato e Chiesa, tra “soggetto moderno disobbediente alla Chiesa ” e “fedele cattolico obbediente alla Chiesa”. In qualche modo, il tema del matrimonio, della famiglia, della generazione diventa “il” terreno su cui la Chiesa cerca di conservare una autorità e un potere temporale.

2. Il condizionamento della “lotta contro la libertà” e la faticosa acquisizione della “libertà del soggetto”

Non è un caso che le “eccezioni”  – ricordate opportunamente da Tornielli – siano tutte maturate in contesti “non familiari”: le suore fatte oggetto di possibile violenza sessuale applicano  semplicemente il “caso bioetico”, o il caso etico, non la logica di una “paternità responsabile”. Lo spazio delle “eccezioni”, pur facendo il servizio di creare il “precedente”, non intacca il “potere ecclesiale” sulla materia e, anzi, ne giustifica ancora meglio l’esercizio. Per questo io trovo particolarmente rischioso parlare di “dottrina tradizionale della Chiesa in materia di anticoncezionali” come un orizzonte “dato”, perché con tale espressione si giustifica un rapporto conflittuale tra dottrina ecclesiale e mondo moderno che non è affatto scontato. Qui occorre, piuttosto, guardare con lungimiranza a che cosa è in gioco, in tale questione. Ossia, da un lato, il superamento della “autoreferenzialità ecclesiale”; dall’altro la conseguente esigenza di una più accurata comprensione della integrazione tra libertà responsabile dei soggetti e custodia ecclesiale del mistero della vita. Che il giudizio sui singoli “metodi” di paternità/maternità responsabile sia “sottratto” alla coscienza libera e formata dei soggetti appare, oggi, in stridente contrasto con la acquisizione della libertà di coscienza che Dignitatis Humanae ha registrato, una volta per tutta, nella storia della chiesa moderna. Da quel documento in poi ogni tema “morale” deve fare i conti con la coscienza di ogni singolo, senza cortocircuiti o scorciatoie.

3. La svolta prima del Concilio e oggi di Francesco

Non vorrei quindi che si perdesse l’occasione di queste risposte di Francesco, per rassicurare anzitutto su una lettura “premoderna” del rapporto tra Magistero e libertà dei soggetti. Questa, infatti, mi sembra la logica che risulta dalla analisi di Tornielli, che, senza negare la pertinenza delle affermazioni di Francesco, tende a chiuderle nel quadro vecchio e superato di una “tolleranza ecclesiale” per la libertà del soggetto solo “in stato di necessità”. Questa è la lettura vecchia, che già le commissioni di Giovanni XXIII e di Paolo VI avevano riconosciuto come superata. Anche nel mondo antico e medievale questa sarebbe stata la logica “eccezionale”, del tutto giustificabile. La questione, invece, per il mondo tardo moderno deve essere formulata diversamente. Ossia,  in quale misura possa far parte dell’esercizio ordinario della responsabilità di uomini e donne battezzati il ricorso ai diversi “metodi” per mediare il rapporto con la generazione? Humanae Vitae, pur essendo un documento del 1968, argomenta con gli strumenti teorici del 1930 e del 1880, quasi non accorgendosi che 3 anni prima, nel 1965, con Dignitatis Humanae, la Chiesa era uscita dal lungo tunnel in cui in parte era stata chiusa – e in parte si era chiusa – rifiutando la “libertà di coscienza” come ricchezza evangelica del mondo tardo moderno. Francesco, dopo 50 anni da allora, ci accompagna, pastoralmente, a prendere atto di questa novità. Che non indica semplicemente una “nuova disciplina” dei “metodi di controllo delle nascite”, ma anzitutto un diverso rapporto tra autorità della grazia e libertà della esperienza. Su questo punto, io credo, dobbiamo riconoscere non solo una continuità, ma anche una significativa discontinuità. Cosa che ci mette in crisi, certo, ma che ci fa crescere. E nella quale, con tutta la prudenza e la determinazione del caso, molto è in gioco: ma anzitutto corriamo tutti il rischio di comprendere il Vangelo molto meglio di quanto non facessimo fino ad ora.

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