I cammelli, la giustizia e il mercato


 

cammello e numeri2

Nei giorni scorsi ho assistito ad un interessante, quanto piacevole, incontro sull’evoluzione del pensiero economico presieduto dal prof. Stefano Zamagni. Oggi voglio riprendere una storiella che il professore ci ha raccontato a chiusura della presentazione, e che in verità avevo già sentito o letto non ricordo dove, ma che mi sembra particolarmente significativa (e in questo blog non poteva mancare!).

“Un giorno un cammelliere morì lasciando un testamento per la divisione dei suoi beni fra i tre figli. Il suo patrimonio era costituito da 11 cammelli;  stabilì di assegnarne metà al primo figlio, un quarto al secondo figlio e un sesto al terzo figlio. Quando giunse il momento di dividere l’eredità però iniziarono i problemi. La metà di undici cammelli equivaleva a cinque cammelli e mezzo. Il primogenito pretendeva di “ arrotondare” il lascito paterno esigendo il se­sto cammello e non era disposto a cederne metà. Gli altri fratelli si oppo­sero sostenendo che era già stato privilegiato dalla volontà del pa­dre. Iniziò così un conflitto tra di loro. Volarono parole pesanti, ma non riuscirono a trovare una soluzione.

Per fortuna (!?), un altro cammelliere, molto meno ricco, si trovò a passare da quelle parti e, vedendo i tre fratelli litigare, offrì il suo aiuto per risolvere la diatriba. Decise di do­nare il suo unico cammello ai fratelli che così divennero proprietari di 12 cammelli. Grazie a que­sta donazione fu possibile soddisfare le pretese dei tre eredi: al primo an­darono 6 cammelli (la metà di 12), al se­condo 3 cammelli (un quarto di 12) e al terzo 2 cammelli (un sesto di 12).  Tutti furono soddisfatti; nessuno di loro otteneva né più né meno di quanto stabilito dal testamento. Il totale faceva esattamente undici cammelli. Il donatore di passaggio poté ri­prendersi il dodicesimo cammello e se ne andò soddisfatto.”

La giustizia fu rispettata, ma solo grazie ad un dono si riuscì a realizzarla! Quest’antica storia ci fa capire che affidarsi unicamente alla sola efficienza non ci aiuta a raggiungere la giustizia sociale. Perseguire la “giustizia” significa lasciar spazio al dono e alla sua fertilità di generare valore e ricchezza. Il cammelliere che ha donato il suo unico cammello, alla fine ha recuperato il suo cammello e si è trovato più ricco sia per la gratitudine e la riconoscenza dei fratelli sia per la soddisfazione di aver risolto una questione apparentemente irrisolvibile. Ma – ed è questo l’aspetto più interessante – il donatore ha permesso che si trovasse un punto di incontro, capace di ripristinare un accordo e di far funzionare il mercato. La giustizia e la legge da sole non garantiscono la pace. Occorre cioè perseguire la “giustizia benevolente”, quella che ricerca il bene per tutti (per non essere altrimenti mero giustizialismo).

La storia dei cammelli ci aiuta a pensare in modo diverso anche alla crisi economica internazionale che ci ha travolto negli ultimi anni. Chi porterà il dodicesimo cammello?  Continuare a pensare che la società e l’economia si risollevino solo grazie a spontanee forze interne che portano all’efficienza del sistema (la libertà del mercato e la mano invisibile) è illusorio.

La storiella può essere interpretata in molti modi e può trovare molteplici applicazioni. A me sembra interessante cogliere il potere del dono che ha contribuito ad un nuova condizione – base economica – senza indebolire il donatore, che anzi si è allontanato senza aver perso nulla, e con una grande soddisfazione personale. Ma poi è stato realmente un dono? Chi ha di più e cede una parte di quello che ha in sovrabbondanza (e non è il caso del nostro cammelliere viandante che aveva un solo cammello!), dona davvero? Come aveva ottenuto i beni in eccesso di cui dispone?

Chi dona perde per definizione l’oggetto donato, ma il recupero di nuove condizioni di equilibrio può offrire maggiori occasioni di crescita e nuove opportunità di sviluppo diffuso, che andranno a beneficio dello stesso donatore.

Concludo riportando le stesse parole di Zamagni, con riferimento in particolare al rapporto paesi ricchi-paesi in difficoltà. Il problema non è solo di mancanza di solidarietà ma anche di mancanza di responsabilità. Per questo esistono le regole di condizionalità, fondamentali ovviamente ma che non devono essere costruite per strangolare i Paesi già in difficoltà. E i Paesi forti non devono dimenticare che la loro stessa storia è testimonianza della maledizione della giustizia commutativa (quella fatta col bilancino) e dei benefici della giustizia benevolente. Alla fine della prima guerra mondiale i tedeschi rimasero vittime del primo tipo di giustizia e l’onere dei debiti di guerra che fu posto loro sulle spalle fu così pesante da spingerli verso l’iperinflazione della repubblica di Weimar e poi il nazismo. Alla fine della seconda guerra mondiale la giustizia commutativa si trasformò in giustizia benevolente e, invece di calcolare il costo esatto in termini economici delle responsabilità tedesche, varò il piano Marshall che rimise in piedi il Paese e lo conquistò per sempre allo schieramento delle democrazie occidentali.

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