Il nuovo volume: “Le istituzioni ecclesiali alla prova del genere. Liturgia, sacramenti e diritto”


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E’ appena uscito il volume, A. Grillo – D. Horak, Le istituzioni ecclesiali alla prova del genere. Liturgia, sacramenti e diritto, San Paolo, 2019, pp.221, nella collana “Exousia. Ripensare la teologia in prospettiva di genere” a cura del CTI. Ne propongo la Introduzione, e il Primo paragrafo, in cui i due autori chiariscono brevemente il taglio e gli obiettivi del testo. Il brano riportato si chiude con una domanda. Il libro cerca di dare ad essa risposta, lasciandosi istruire dal sapere liturgico, sacramentale e canonico.  

Introduzione

 La prospettiva di un libro su liturgia e sacramenti, scritto da una canonista e da un liturgista, potrà sorprendere chi legge. Ci siamo impegnati a non deludere troppo questa iniziale sorpresa. Il percorso del testo appare piuttosto lineare: esso tenta di rileggere la grande tradizione liturgica, sacramentale e istituzionale, assumendo una «prospettiva di genere». La scelta si mostra con chiarezza già nella formulazione del titolo: Le istituzioni ecclesiali alla prova del genere. Liturgia, sacramenti e diritto. Non ce lo nascondiamo: si tratta di una «messa alla prova» e forse anche di una «prova di forza». Le istituzioni possono forse reggere alla rilettura che la nuova consapevolezza delle relazioni tra donne e uomini proietta su di loro?

Può darsi che il libro cerchi proprio di modificare questa domanda in un’altra domanda: forse che le istituzioni ecclesiali avranno la capacità di riconoscere la ricchezza e la forza che il segno dei tempi della emancipazione femminile ha recato nella società e nella cultura? I segni dei tempi devono essere non solo riconosciuti e nominati, ma anche accolti nella vita della Chiesa; ciò accade solo se ogni generazione compie il lavoro ermeneutico di comprensione del vangelo attraverso la conversione non solo personale e spirituale, ma anche istituzionale. Ne va della fedeltà alla rivelazione, a quello che lo Spirito chiede alla Chiesa di oggi. Se infatti, da un lato, non possiamo andare oltre la rivelazione procedendo a riforme non evangelicamente fondate, dall’altro abbiamo anche il grave compito di non restare al di qua della rivelazione, non prestando ascolto a un segno della maturazione del Regno nel tempo della storia. La comprensione del vangelo che ci è stato affidato cresce nella coscienza delle persone credenti, e la tradizione progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo. Avere fede nella presenza viva del Risorto che guida la Chiesa ‒ non solo in ambito spirituale, ma anche nella sua dimensione istituzionale ‒ è la condizione per affrontare le questioni di cui si occupa il nostro libro, con molta speranza e apertura del cuore.

[…]

1. Tre livelli di analisi

 Abbiamo pensato di intitolare questo volume dedicato a liturgia, sacramenti e diritto con il termine «istituzioni ecclesiali». Proponiamo una considerazione della Chiesa che mira a coglierne l’ordo in prospettiva di genere. Ci siamo così ripromessi di proporne l’ordo rituale, l’ordo sacramentale e l’ordo giuridico allo stesso tempo e in forma internamente correlata. Lo strutturarsi di una forma istituzionale è la via principe mediante cui l’esperienza del discepolato di Cristo registra e rilancia, assume e riproduce strutture di diritti e di doveri, di potestas e di oboedientia, di autorità e di libertà, al fine di salvaguardare, nella trama della storia, senza estraniarsi o alienarsi da essa, un’esperienza «altra» e «trascendente» di dono e di grazia. Analizzare in prospettiva di genere queste dimensioni fondamentali della identità ecclesiale appare oggi come un compito inaggirabile, che tuttavia chiede alla tradizione un supplemento di sensibilità, di volontà e di intelletto. Questo approccio, infatti, permette il manifestarsi di una struttura complessa, che si può identificare a tre livelli, tra loro interconnessi: lordo del rito istituisce e mantiene la relazione tra i soggetti e il mistero di Dio, di cui l’ordo sacramentale precisa la dimensione irriducibile come verità teologica, mentre l’ordo giuridico formalizza la medesima in termini soggettivi di potestas e di obbedienza. Così il sapere ecclesiale sul sacramento e il potere ecclesiale dell’ordinamento si manifestano, si rileggono e si delimitano nell’agire liturgico del processo rituale. Si deve osservare che, mentre l’ordo sacramentale ha assunto il valore di una posizione di verità nella forma della teologia dogmatico-sacramentaria classica, gli altri due ordines (quello rituale e quello giuridico) hanno un rapporto strutturale e insuperabile con procedure e con azioni, la cui contingenza e concretezza agìta ha permesso di recente una considerazione differenziata della stessa verità teologica1.

Ovviamente gli interscambi tra i livelli sono numerosi e continui. Si parla giuridicamente della liturgia, sacramentalmente del diritto e della liturgia, liturgicamente del sacramento e forse anche del diritto. Ognuna delle tre prospettive può incorrere nella deriva di rileggere le altre due in modo generale e altamente riduttivo: non infrequente è il caso in cui si rilegge il livello liturgico e sacramentale solo giuridicamente, il livello liturgico e giuridico solo sacramentalmente, il livello sacramentale e giuridico solo liturgicamente2.

D’altra parte, una tradizione che ha interpretato se stessa, da molti secoli, secondo la logica dell’ordo, deve costatare che il mondo della cultura comune, da ormai almeno due secoli, ha scoperto che la dignità di ogni soggetto deve essere coniugata con il suo onore. In effetti la società chiusa conosce solo l’onore, mentre la società aperta tende a conoscere solo la dignità. Il primo è la logica dell’ordo communis, di una società fondata sulla comunità e sulla autorità; la seconda si fonda sulla logica del diritto soggettivo e della libertà individuale3. L’impatto tra queste letture diverse, per quanto non incompatibili, ha messo a dura prova il pensiero tardo-moderno nonché la posizione che la Chiesa ha assunto al suo interno. Da un certo punto di vista potremmo dire che per tutto l’Ottocento e per buona metà anche del Novecento, la Chiesa cattolica ha immaginato di potersi riconoscere soltanto in una rappresentazione della cultura e della società fondata sull’onore e sulla autorità. La societas perfecta può essere solo societas inaequalis. L’erosione di questa evidenza, e il sorgere di una possibile autocomprensione della Chiesa in termini di libertà e di dignità ‒ con la elaborazione di una nuova nozione di libertà, di coscienza e di storia da parte del concilio Vaticano II – ha aperto non solo a una riconsiderazione della complessità degli ordines, ma anche a una correlazione strutturale tra ordo, comunità e soggetto.

In queste dinamiche ‒ ci pare ‒ la logica di genere ha seguito movenze inevitabilmente differenziate. Occorre precisare che nel presente studio la categoria «genere» viene assunta nel senso delle caratteristiche sociali e culturali che vengono elaborate in corrispondenza al dato biologico del sex. La prospettiva è dunque quella della differenza sessuale femminile/maschile e di come questa ha inciso diversamente ‒ ed è stata percepita e riconosciuta ‒ sui differenti livelli dell’ordo4.

  1. Da un lato l’ordo liturgico appare come quello più libero rispetto agli assetti normativi di una «società chiusa»: dice il mistero in modo meno mediato, più diretto. Si lascia, quindi, segnare più profondamente dalla radicale figliolanza e fratellanza che il Signore comunica ai suoi. È la liturgia a custodire, plasticamente, le scene originarie di indifferenziazione della differenza tra Maddalena, Giovanni e Pietro: donna, giovane e adulto come discepoli, accomunati da una fede che è esperienza e dono. La tradizione sembra aver conservato con cura questa forte indifferenza di genere nella liturgia della iniziazione cristiana e, in misura meno accentuata, ma chiara, nella liturgia della guarigione cristiana. Le istituzioni della iniziazione e della guarigione restano, perciò, largamente al riparo rispetto alle istituzioni comunitarie (o di servizio), che nel matrimonio e nell’ordine riprendono con grande forza le logiche di differenziazione di genere: il matrimonio nella forma di una correlazione di ineguali, l’ordine sacro nella forma della esclusione del non autorevole5.

  2. Anche l’ordo sacramentale, cogliendo la dinamica liturgica soltanto nella sua essenza, quindi depurandola per così dire da ogni uso concreto e contingente, da un lato perviene a una maggiore concentrazione cristologica, capace anche di elaborazioni teoriche considerevoli; dall’altro, giunge a una maggiore tendenza alla fissazione astratta delle dinamiche procedurali della liturgia. Anzi, sembra che questa prospettiva sacramentale, proprio a causa del fatto che è costitutivamente orientata a fissare l’essenza di ogni azione, inclini strutturalmente a leggere ogni azione più come funzione che come espressione/esperienza. Così introduce non solo chiarezza di comprensione teologica ed ecclesiale, ma anche rigidità di strutturazione istituzionale e sistematica: deducendo l’azione dal concetto, piuttosto che trarre il concetto dalla azione, tende a perdere la dinamica procedurale e fissa l’attenzione sulla ontologia dei soggetti/oggetti. Vede causa ed effetti dove ci sono, ritualmente, dei prima e dei poi. Abbassa l’elasticità del sistema e innalza le soglie di esclusione.

  3. In questa stessa dinamica l’ordo giuridico, nella sua relativamente tarda autonomia rispetto al sacramento, gioca un ruolo duplice. Da un lato sembra ancor più irrigidire, in forma sempre più universale e autorevole, la dinamica liturgica e sacramentale, trasformandola in esigenza normativa e vincolante. Dall’altro, proprio a causa di questa sua immediata capacità generalizzante, può introdurre facilmente logiche nuove, capacità soggettive e prerogative personali, altrimenti meno evidenti sul piano strettamente rituale e sacramentale. Con la forma universalizzante del diritto moderno, poi, anche l’ordo giuridico canonico ha potuto onorare e riconoscere nuove istanze e nuove realtà, di cui la tradizione può godere e che possono costituire principi di riforma e di aggiornamento della forma Ecclesiae.

In questa complessa dinamica di istituzioni ‒ che in verità sono letture prospettiche della medesima azione umana e divina, la quale attualizza e concretizza il mistero pasquale qui e ora – lo spazio di un’interpretazione di genere si manifesta e si rende trasparente proprio nella limitata coscienza che la tradizione elabora e dimostra circa il peso di pregiudizi di genere dei soggetti implicati nella forma rituale, nella forma sacramentale e nella forma giuridica. La differenza maschile/femminile diventa diversamente rilevante, sui diversi livelli istituzionali, nella sua dimensione rappresentativa, costitutiva o autorevole. Ci domandiamo: il soggetto che agisce e celebra ritualmente, che presiede, amministra, serve o riceve sacramentalmente, che fa valere diritti o che obbedisce a doveri, che si avvale di facoltà o che onora condizioni, in quale misura è indifferentemente maschio o femmina? Proprio l’avverbio «indifferentemente» può o deve essere importato, supportato o sopportato nel contesto ecclesiale cattolico? La necessaria sottolineatura della differenza tra maschile e femminile può forse oscurare, annebbiare o addirittura cancellare l’esigenza di questo avverbio? La tradizione, a riguardo di questa domanda sul maschile/femminile nell’ordo Ecclesiae, è straordinariamente laconica. Le parole stesse con cui il testo sacro o i testi della tradizione si pronunciano al riguardo sono allo stesso tempo molto rari e del tutto marginali. Molto spesso lavoriamo su testi che, in proposito, tacciono o alludono soltanto. Possiamo riconoscere con facilità che la questione, in quanto tale, è sostanzialmente assente dalla coscienza ecclesiale del mondo tradizionale e che, quando appare, si colloca in una regione non centrale, ma marginale della riflessione sulla tradizione. La coscienza di questa differenza di rilevanza del pensiero sulla differenza di genere deve essere considerata allo stesso tempo motivo per essere audaci e consiglio per restare pazienti: esige da noi di dover rispondere esplicitamente a una domanda nuova, che invoca risposte complessive e articolate, senza improvvisazione e senza retorica; d’altra parte, proprio la medesima consapevolezza impone la pazienza di un lavoro che è agli inizi e che non può pretendere in alcun modo non solo di risolvere la questione, ma anche di averla capita davvero fino in fondo. Che cosa è in gioco, infatti, nella domanda culturale, sociale e personale di indistinzione tra maschile e femminile, che la tradizione ecclesiale ha guardato fino all’altro ieri con le sopracciglia aggrottate?

Note

1Grillo, «L’action sacramentelle comme ressource pour la foi».Lo specifico di questo nostro volume è di far interagire questa recente articolazione con la prospettiva di genere. Potremmo dire che, alla radice di entrambi i fenomeni – ossia tanto della nuova articolazione tra sacramento, liturgia e diritto, quanto della emergenza degli studi di genere ‒ si colloca un nuovo sguardo sulla realtà culturale e istituzionale, che non soltanto non riteniamo incompatibile con la tradizione cristiana e cattolica, ma che esige con urgenza una considerazione seria e interessata da parte di essa.

2Queste riduzioni, di per sé ineludibili, minacciano pericolosamente il sistema ecclesiale, perché introducono letture unilaterali, che deformano e stravolgono il profilo complessivo, che esige la complessità. Solo in questo sistema complesso è possibile affrontare la tradizione in prospettiva di genere, per riconoscere gli spazi di conversione e di novità (di pensiero e di prassi) che la dottrina non solo potrebbe consentire, ma che dovrebbe esigere.

3Taylor, Il disagio della modernità.

4Nei gender studies il concetto di «genere» ha raggiunto una tale ricchezza di significati e di definizioni, che sarebbe arduo tentarne una sintesi; vi è chi parla, a proposito, di un concetto-cluster, tanto non si può giungere a una definizione univoca. Per una panoramica della complessità del termine, cfr. Migliorini, Gender, filosofie, teologie, 31-45. Per una recezione in ambito teologico e liturgico cfr. Grillo – Massimi, Donne e uomini.

5Il tentativo di giustificare con la natura o con la tradizione l’imposizione di questa differenza di autorità corrisponde bene alle forme argomentative del sapere classico. Spostare sul piano della volontà creatrice/natura o della volontà redentrice/tradizione il peso del pregiudizio antropologico e sociologico costituisce un paralogismo tanto diffuso quanto inconsapevole. Ha agito nell’inconscio ecclesiale per secoli e ha influito sulle teorie più raffinate. Ma nel corso dell’ultimo secolo, essendo venuto alla luce apertamente nelle sue logiche elementari, esige un profondo ripensamento dell’intera tradizione istituzionale, che va ricompresa sia alla luce della complessità tra gli ordines, sia del rapporto tra ordo e dignitas.

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