Il primato del sacramento sull’etica e la intercomunione secondo Francesco. Lettera ad un collega, monaco dissenziente, e risposta


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Già in altre occasioni mi sono confrontato con il collega Giulio Meiattini sul magistero di papa Francesco. Con lui siamo docenti nel medesimo Ateneo romano, S. Anselmo, che, come diceva San Tommaso per i propri allievi, non impedisce a due colleghi di pensare cose diverse. Questa è grande tradizione monastica.  Una recente intervista rilasciata a “Catholica” (su cui cfr. qui)  mi induce a scrivergli una lettera, per precisare il mio dissenso dal suo dissenso. A distanza di due mesi Don Giulio ha letto la mia lettera e ha risposto, con il testo che ho pubblicato subito dopo. E’ uno scambio di opinioni importante, che attesta come è possibile, e anche augurabile, un dialogo tra diverse posizioni, all’interno della stessa Chiesa.

 Caro Don Giulio,

la teologia vive di argomentazioni. Ho letto con interesse il modo con cui tu critichi, in analogia con quanto hai già scritto su Amoris Laetitia, anche le iniziative di Francesco e poi dei Vescovi tedeschi in materia di “intercomunione”. Vorrei esprimere qui la mia difficoltà rispetto a queste tue considerazioni, che a mio avviso non colgono affatto le intenzioni in gioco e le riducono ad un modello astratto che non riesce ad intenderle.

Parto dal cuore del tuo ragionamento. A tuo avviso ciò che deve essere salvaguardato, sia in campo matrimoniale, sia in campo eucaristico, è il “primato del sacramento sull’etica”. Per come tu lo descrivi esso appare quasi come il cuore della “differenza teologica” rispetto ad ogni riduzione antropologica della tradizione. Nel primato del sacramento si gioca il primato di Dio, la ragione stessa della tradizione ecclesiale. Su questo io sono del tutto d’accordo con te. Se viene meno questo primato del sacramento sull’etica, non vi è più alcuno spazio non solo per la Chiesa, ma per Dio stesso. Proprio qui, tuttavia, si apre anche un divario tra la tua lettura del magistero di Francesco e la mia. Io ritengo, infatti, che Francesco sia preoccupato esattamente della stessa cosa che sta a cuore a te, ossia di salvaguardare il primato del sacramento sull’etica. Ma Francesco sa che tale primato deve essere declinato oggi in modo nuovo rispetto al modello moderno e tridentino. In altri termini egli ha assunto pienamente la “svolta pastorale” del Concilio Vaticano II, che impone una “traduzione della tradizione”.

Cerco di spiegarmi meglio. Analizzo brevemente due grandi questioni su cui la tradizione tridentina ha voluto salvaguardare il “primato del sacramento” con soluzioni che oggi, a partire dal Concilio Vaticano II, non sono più convincenti. La prima riguarda la messa, e il modo con cui Trento ha “salvaguardato il sacramento”, contrapponendo sacrificio e comunione. In tal modo ha svolto una preziosa funzione “difensiva”, che oggi riconosciamo assai limitata e molto unilaterale. Una vera tutela del “primato dell’eucaristia” passa oggi per una profonda rilettura della comunione, senza timore di diventare “protestanti”. Lo stesso vale per il matrimonio: la difesa del “primato del sacramento”, dal 1563, è divenuta la “forma canonica”. Ma col passare dei secoli è apparso evidente che la “forma naturale” e la “forma civile” diventano terreni originari non solo di contestazione del sacramento, ma anche di nuova esperienza di esso. Ciò che tu chiami “incertezza e vaghezza” è in realtà ripresa di temi premoderni e apertura a stili postmoderni della tradizione ecclesiale.

Ecco dunque il punto sistematico importante: la storia ci offre diversi modelli di “primato del sacramento”. Se oggi non sappiamo uscire con decisione dal “modello tridentino” ed entrare coraggiosamente in nuovi modelli, otteniamo facilmente un effetto indesiderato, ma garantito: anziché promuovere il primato del sacramento sull’etica, produciamo un primato di etica ecclesiale sulla forza teologica e profetica del sacramento.

Vorrei mostrare come le tue critiche al magistero di Francesco rischino proprio questo esito. Mi concentro sul tema della cosiddetta “intercomunione”. In realtà, come sai bene, questo termine è ambiguo già in sé, ma tanto più lo è se applicato alle parole di Francesco e dei Vescovi tedeschi. Qui non si parla in generale di “intercomunione”, ma di “ammissione alla comunione eucaristica del coniuge di altra confessione”. Nella tua rapida analisi, tu trascuri del tutto che in gioco non vi è semplicemente il “primato dell’eucaristia” sulla intenzione di singoli soggetti, ma la benedetta interferenza tra “comunione eucaristica” e “comunione matrimoniale”. Proprio in ragione del “primato del sacramento”, il fatto che tra un cattolico e una protestante vi sia “comunione matrimoniale”, sia pure in un contesto di appartenenza a chiese che mancano di “comunione eucaristica”, rende possibile, a determinate condizioni, di riconoscere la profezia matrimoniale come rilevante a livello ecclesiale.

Qui, a me pare, sono proprio queste aperture a salvaguardare meglio il primato del sacramento sull’etica, mentre le tue critiche, come anche le esitazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede sullo stesso tema, assomigliano molto ad un primato dell’etica ecclesiale sulla potenza e la libertà del sacramento.

Ecco, questo mi pare il motivo di fondo per cui, di fronte al medesimo magistero, tu appari corrucciato e preoccupato, mentre io mi sento confortato e rassicurato. Non perché io voglia un primato dell’etica sul sacramento, ma perché credo che il primato del sacramento, quando deve essere annunciato in una società aperta, esiga un altro linguaggio e un altro stile. Che ritrovo annunciato dal Concilio Vaticano II e assunto e fatto proprio con prudente serietà e con generosa audacia dal magistero di Francesco.

Con un caro saluto

Andrea

Risposta di D. Giulio Meiattini osb

Caro Andrea,

mi sono imbattuto in questa tua pagina, a me indirizzata, solo ieri, due mesi dopo la sua pubblicazione, tornando a sbirciare dopo molto tempo sul tuo blog. La mia tardiva risposta non è dunque voluta, ma accidentale. Per quanto posso preferisco rispondere a chi mi rivolge i suoi “dubia”.

La mia è necessariamente una risposta breve, un verbum abbreviatum, rispetto al problema sollevato. Prendo atto che sull’assunto di fondo – primato del sacramento sull’etica e non viceversa – siamo d’accordo. Penso che non poteva essere diversamente. Tu aggiungi, fiducioso: “Io ritengo che Francesco sia preoccupato esattamente della stessa cosa che sta a cuore a te, ossia di salvaguardare il primato del sacramento sull’etica”. E a sostegno continui: “Ma Francesco sa che tale primato deve essere declinato oggi in modo nuovo rispetto al modello moderno e tridentino. In altri termini egli ha assunto pienamente la ‘svolta pastorale’ del Concilio Vaticano II, che impone una ‘traduzione della tradizione’ ”.

Certo che se questo fosse vero la mia distrazione sarebbe stata madornale. Perché il libro che ho dedicato ad AL sostiene, con dovizia di particolari, proprio il contrario, che cioè l’esortazione non presenta traccia di questo primato del sacramento sull’etica, ma al contrario conduce a un drastico indebolimento della dimensione simbolica e sacramentale dell’intera vita cristiana ed ecclesiale. A partire dal “frammento” della comunione a chi si trova in situazioni di coppia irregolari è il “tutto” della dimensione sacramentale (e morale) a venire toccata. Riguardo alla “svolta pastorale”, poi, AL si pone nell’alveo di una pratica e una concezione post-conciliari molto diffusi che, a quanto mi pare, non hanno mai chiarito a sufficienza il rapporto sacramenti-pastorale o teologia-pastorale. Tutti questi aspetti (e la constatazione che AL si muove ancora in un orizzonte “moderno” non perché tridentino, ma perché centrato sul soggetto e la sua interiorità a-simbolica) sono trattati nel mio libro in misura sufficiente e non li ripeto in questa sede.

Ora, se su questo ho torto in parte o totalmente bisognerebbe dimostrarlo e per farlo si dovrebbe evidenziare che le argomentazioni del mio libro non sono sostenibili e, soprattutto, sarebbe necessario mostrare, testi alla mano, che in AL il primato del sacramento sull’etica è visibile da qualche parte. Ciò, però, dovrebbe essere il compito di una recensione dettagliata del libro, o di un’analisi puntuale di AL, non oggetto di una semplice affermazione generale sul superamento del modello tridentino perseguito da Francesco in nome della svolta pastorale. D’altra parte in un tuo articolo, che io cito nel libro, tu stesso hai scritto che il modo di considerare il matrimonio sotto il profilo rituale in AL è “minimalista”. A questo minimalismo rituale, corrisponde un singolare minimalismo sacramentale (e di conseguenza morale). Tra l’altro proprio sul rapporto vitale e profondo fra eucaristia e matrimonio, su cui tu attiri l’attenzione, AL non fa quasi nessun cenno. E’ un fatto facilmente riscontrabile: almeno io non sono riuscito a trovarlo e ultimamente il card. Scola ha fatto osservazioni analoghe. A miglior lettore miglior giudizio.

Sul punto della reciproca ospitalità eucaristica (detta volgarmente intercomunione) nel caso di matrimoni fra cattolici e non cattolici proprio AL, in termini in questo caso insolitamente chiari, si è espressa: “Sebbene gli sposi di un matrimonio misto abbiano in comune i sacramenti del battesimo e del matrimonio, la condivisione dell’Eucaristia non può essere che eccezionale e, in ogni caso, vanno osservate le disposizioni indicate (Pont. Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’Applicazione dei Principi e delle Norme sull’Ecumenismo, 25 marzo 1993, 159-160)” (AL 247). Dunque AL avrebbe confermato quella che tu chiami “l’etica ecclesiale” maturata nel modello tridentino, etica ecclesiale, come tu ammetti, che è stata una forma di declinazione del primato del sacramento sull’etica (in realtà il Direttorio citato è del tutto ispirato al Vaticano II). E’ probabile che ci possano essere diversi modi di preservare questo primato del sacramento sull’etico, chi lo può negare. Ma in Evangelii gaudium e in AL io non vedo come l’etica nasca dalla simbolica sacramentale né tanto meno dalla sua forma rituale.

Tra parentesi sia detto che la questione della partecipazione all’eucaristia per i matrimoni misti avrebbe potuto essere discussa nei due sinodi sulla famiglia. Invece non sembra che sia stata posta sul tappeto, e AL ha confermato la prassi già vigente. Mi domando se sia sensato che pochi mesi dopo una conferenza episcopale metta in cantiere un documento che sul punto è in contraddizione con il CIC, col Direttorio e con AL, cioè con la prassi della Chiesa universale. I vescovi tedeschi non potevano proporre il problema durante i due sinodi? Lo riterrei più “sinodale”!

Concludo con una considerazione sul menzionato modello tridentino: personalmente non sarei propenso a ritenerlo una dimensione da cui “uscire”, secondo l’espressione da te usata. Dai grandi concili ecumenici non si “esce” mai. Non si “esce” da Nicea o da Calcedonia e non si esce neppure dal grande concilio tridentino o dal Vaticano I. Penso sia metafora più confacente considerarli anelli interni che il grande albero della tradizione, in quanto hanno di sostanziale e irreversibile, “integra” dentro di sé crescendo organicamente oltre ma non senza di essi.

Ecco l’essenziale che posso dire intorno alle tue osservazioni.

Fraternamente.

d. Giulio, monaco “consenziente” al primato del sacramento sull’etica

 

 

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