Il “volto” della gloria


II Domenica di Quaresima – C

Gn 15,5-12.17-18; Fil 3, 17 – 4,1; Lc 9, 28-36

Introduzione

Se la prima tappa dell’itinerario quaresimale ci fa incontrare ogni anno il brano della “prova nel deserto”, per rivelarci il modello del “sacramento” che è questo tempo per la Chiesa, nella seconda domenica di Quaresima ci viene mostrata l’altra faccia di tale modello: la Trasfigurazione. Se la prima domenica ci mostra ciò che dobbiamo lasciare, guardando alla prova di Gesù di fronte al Diavolo, cioè al “Divisore”, ora la seconda domenica ci mostra sul volto di Gesù ciò che dobbiamo saper accogliere. È come se, in questa domenica, la meta alla quale tutto il ciclo liturgico della Pasqua tende venisse in qualche modo “annunciata”. Ogni uomo è chiamato a divenire, come Gesù, trasparenza della gloria di Dio, riflesso della sua vita. E tutto ciò, nella liturgia di questa domenica di Quaresima, lo contempliamo realizzato sul volto di Gesù. Sul suo volto trasfigurato si rivela la vocazione di ogni uomo. La meta del cammino di Gesù è anche la meta del nostro cammino; la sua strada è la nostra strada. Anche la Lettera ai Filippesi (II lettura) annuncia questa realtà, quando parla della trasfigurazione del nostro corpo mortale ad immagine del suo corpo glorioso. Questo dono di Dio si fa impegno per i credenti.

Nella prima lettura troviamo il brano della stipulazione dell’alleanza con Abramo. Tutta la vita di Abramo è attraversata da una promessa di Dio. In questo brano, Dio si impegna unilateralmente con Abramo che, come Adamo quando veniva creata Eva (Gn 2,21), non conosce il fatto della stipulazione dell’alleanza: essa è puro impegno e dono di Dio. Ma questo per Abramo è nello stesso tempo dono e prova: saprà Abramo ricevere come dono ciò che Dio gli donerà come suo impegno unilaterale e gratuito?

Riflessione

Come nella prima domenica abbiamo cercato di cogliere il “volto” della prova, cioè i tratti di ciò che dobbiamo lasciare, proviamo in questa domenica a cogliere i tratti di ciò che dobbiamo scegliere ed accogliere, i tratti che possono far risplendere il nostro volto come quello di Gesù.

Otto giorni dopo…

L’evento della Trasfigurazione non è isolato, è anzi strettamente legato ad un momento ben preciso della vita di Gesù: la professione di fede di Pietro, il primo annuncio di passione e l’insegnamento sulla sequela. In particolare, il legame è ben segnalato dal ritorno del verbo “pregare”. Infatti in Lc 9,18 Gesù pone la domanda circa la sua identità ai suoi discepoli mentre si trovava in un luogo isolato a pregare; ugualmente, in Lc 9,29 l’evento della trasfigurazione avviene mentre Gesù pregava. Il testo stesso, quindi, crea un legame tra questi due episodi. La Trasfigurazione di Gesù avviene quando un discepolo ha riconosciuto la sua identità, quando Gesù stesso ha descritto la “sua via” e quando egli ha indicato ai suoi discepoli la modalità di seguirlo.

Dobbiamo perciò pensare a tutto quanto avviene nella Trasfigurazione non come a qualcosa di separato dalla vita, come un “uscire dal mondo”, quasi che la vita ordinaria non avesse nulla a che fare con quell’evento straordinario. È proprio il contrario: quell’evento “straordinario” avviene percorrendo la via nella quale «è necessario che il Figlio dell’uomo soffra molto, sia condannato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, sia messo a morte e risorga il terzo giorno» (Lc 9,22). E ai discepoli di Gesù che vogliono seguire il loro maestro è indicata la “medesima via”: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. Poiché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia la salverà» (Lc 9,23-24).

È un aspetto estremamente importante per il nostro cammino quaresimale. Non giungeremo alla meta cercando “cose spirituali” isolate dalla vita, ma il nostro volto splenderà della gloria di Dio se percorreremo la medesima via di Gesù, come l’ha percorsa Gesù stesso.

Mentre pregava

È una caratteristica tipica di Luca quella di collocare la Trasfigurazione nel contesto della preghiera. Sembra quasi una contraddizione con ciò che abbiamo appena detto circa il legame tra l’evento della Trasfigurazione e la concretezza della vita. Eppure è proprio così. Non c’è infatti nessuna contrapposizione tra preghiera e vita, quasi che la preghiera fosse qualcosa di “estraneo alla vita”. Sono appunto questi due elementi uniti insieme l’ambiente vitale della Trasfigurazione. La vita da sola non basta, non basta la preghiera. È quando la preghiera diventa momento in cui la nostra vita – quella vera di ogni giorni – viene posta “davanti a Dio”, che tutto viene trasfigurato. La preghiera è precisamente questo: aprire la nostra esistenza ad una comunione più profonda, capace di trasformare la vita intera in comunione. È questo che “risplende” sul volto di Gesù: la sua comunione con il Padre.

Il suo volto divenne altro

La prima realtà ad essere descritta nel contesto della preghiera è il volto di Gesù. Il “volto” dice la persona nella sua interezza e nella sua relazionalità, nel suo comunicarsi all’esterno. Infatti è attraverso il volto che l’uomo rivela la sua interiorità, gli aspetti più profondi della sua identità (ciò che sente, ciò che prova, ciò che crede). E mentre Gesù prega il suo volto diventa altro. Luca non usa il verbo “cambiare d’aspetto” come Marco. Egli dice che nella preghiera il volto di Gesù diventa “altro”. Non dice che diviene un “altro volto”, ma che il medesimo volto diventa un “volto altro”. È questo ciò che accade nella preghiera: l’uomo concreto con la sua vita, le sue relazioni, i suoi affetti, le sue convinzioni diviene altro, partecipa dell’alterità di Dio.

In questo particolare del racconto della Trasfigurazione si afferma un elemento molto importante dell’esperienza della preghiera. Infatti nella relazione con Dio il volto dell’uomo diviene altro. Non un “altro volto”, che implicherebbe un rifiuto della storia: ma un “volto altro”, cioè la possibilità di rimanere nella storia con uno sguardo diverso, che è partecipazione allo sguardo di Dio.

Ed ecco due uomini

Nel contesto della preghiera, nel quale il volto di Gesù diviene “altro”, si inseriscono altri due personaggi che “conversano” con Gesù: sono Mosè ed Elia. Non è certo una forzatura vedere in questi due personaggi un riferimento chiaro alle Scritture ebraiche: la Legge e i Profeti. In Lc 16,29 leggiamo: «Hanno Mosè e i profeti: li ascoltino!». In Lc 24,44 si parla di Mosè, dei Profeti e dei Salmi per riferirsi alle Scritture: «Bisogna che si adempia tutto ciò che di me sta scritto nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi».

Abbiamo qui un altro elemento importante dell’esperienza della Trasfigurazione. Il volto di Gesù diventa “altro” mentre prega e mentre conversa con Mosè e con Elia, la Legge e i Profeti. L’invito ad ascoltare Gesù, la voce dal cielo, avviene solamente dopo l’averlo visto conversare con Mosè ed Elia. In questa “conversazione” con le Scritture del suo popolo egli prende coscienza del suo “esodo”, della sua Pasqua.

Pietro e coloro che erano con lui

Dopo aver visto l’evento della Trasfigurazione “dalla parte di Gesù”, proviamo ora a guardarlo con gli occhi di Pietro, Giovanni e Giacomo. Attraverso la loro esperienza possiamo cogliere anche qualcosa della nostra.

La loro esperienza è innanzitutto caratterizzata da due “sensi”: prima la visione e poi l’ascolto. Prima vedono il volto di Gesù divenire “altro” e i due uomini che conversano con lui; poi sentono la voce dal cielo. Vedere e ascoltare sono i due verbi fondamentali del brano. Prima si vede e poi si ascolta.

I verbi vedere/ascoltare ci dicono che tutto dipende dall’iniziativa di Dio. L’iniziativa dell’uomo viene per seconda. Se Dio non fa il primo passo, l’uomo non può nulla. In secondo luogo, la precedenza della visione sull’ascolto ci dice che anche l’ascolto è possibile solo dopo un incontro. Solo se abbiamo in qualche modo “gustato” la presenza di Dio, possiamo ascoltare la sua voce. Anche nel rapporto con le persone, non possiamo “ascoltarle” prima di averle incontrate. La visione del loro volto, infatti, è essenziale per l’apertura dell’ascolto o la chiusura. Così avviene anche nella nostra relazione con Dio.

La gloria che si manifesterà in noi (Rm 8,19-21).

L’esperienza di Gesù sul monte della Trasfigurazione, nel nostro itinerario quaresimale, non solo ci indica l’identità profonda di Gesù, la sua relazione con Dio, il senso del suo cammino (“esodo”), ma ci rivela anche la nostra identità di discepoli, chiamati a percorrere la sua stessa via. Ciò che Luca ci narra di Gesù sul monte è ciò a cui ogni suo discepolo è chiamato: diventare cioè trasparenza della gloria, uomini e donne dal volto “altro” che, con i piedi saldamente posati nella storia dell’umanità, sanno guardare la realtà con occhi “altri”, perché trasfigurati dall’incontro con il totalmente Altro.

 

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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