Il “volto” della misericordia
V Domenica di Quaresima – C
Is 43, 16-21; Fil 3, 8-14; Gv 8, 1-11
Introduzione
Nella V domenica di Quaresima dell’anno C la liturgia ci presenta un brano del Vangelo di Giovanni apparentemente facile. Sembra semplice ciò che viene narrato, ma in realtà non sappiamo nemmeno quale sia l’originaria posizione di questo brano evangelico all’interno del Nuovo Testamento. Si tratta, infatti, di un brano “scandaloso” per le prime comunità cristiane. In molti antichi manoscritti questo brano o viene omesso, o si trova in una collocazione differente. Anche i padri della Chiesa, soprattutto in oriente, lo commentano con imbarazzo.
Alla Chiesa faceva difficoltà questo comportamento di Gesù, che ad una donna adultera aveva risposto: «donna nessuno ti ha condannata? Neppure io ti condanno». È quindi un brano che dava scandalo e ha sempre creato imbarazzato, un brano che ha messo in crisi generazioni e generazioni di credenti e, se lo prendiamo sul serio, dovrebbe un po’ “scandalizzare” e mettere in crisi anche noi!
Nella prima lettura, dopo aver attraversato nelle domeniche precedenti le tappe dell’alleanza con Abramo, della rivelazione del nome di Dio a Mosè sul Sinai, dell’ingresso nella terra promessa, arriviamo all’epoca dei profeti. Il profeta Ezechiele, all’epoca dell’esilio, annuncia a Israele un intervento di Dio capace di farlo risorgere dalla situazione disperata nella quale si trovava. Israele abiterà di nuovo sulla propria terra. Questo fatto è paragonato alla risurrezione di un morto: il nostro brano conclude la visione delle ossa inaridite che, grazie allo Spirito-Ruah di Dio, riacquistano di nuovo la vita (Ez 37,1-11). La stessa immagine è ripresa anche da Paolo nella Lettera ai Romani (II lettura), applicandola alla vita del singolo credente.
Riflessione
Proviamo a ripercorrere il testo evangelico di questa domenica, per lasciarci toccare come ha toccato le generazioni di credenti che ci hanno preceduto.
Gli conducono una donna
Gesù si trova nel cortile del tempio e un gruppo di persone si raduna intorno a lui per ascoltarlo. Una situazione molto comune: un maestro che insegna, e chi vuole si accosta a lui per ascoltare il suo insegnamento. Ad un certo punto un gruppo di scribi e farisei porta a Gesù una donna scoperta in adulterio e la pone davanti a lui in mezzo a coloro che prima stavano ascoltando il suo insegnamento. Il testo dice «la posero nel mezzo», sotto gli occhi di tutti. La donna è esposta così alla vergogna e allo sguardo impietoso della folla, che la guarda con disprezzo.
È una strana cosa quella che accade in questo brano di Vangelo. Nei Vangeli noi siamo abituati a vedere malati, lebbrosi, indemoniati che vengono portati a Gesù per essere risanati e liberati da lui, ma qui questa donna, che pure sarà guarita e risanata, viene condotta da lui per essere condannata e per far cadere Gesù in qualche errore, per avere qualcosa di cui accusarlo (v. 6).
Nella legge
La legge di Mosè, che scribi e farisei invocano, prescriveva che l’uomo e la donna scoperti in adulterio venissero lapidati. Scribi e farisei chiedono il parere a Gesù circa l’interpretazione di questo passo della legge. Il problema che viene posto a Gesù riguarda quindi l’interpretazione della Torah, della Parola di Dio. Non viene chiamato in causa solamente per giudicare la situazione personale di questa donna, ma nella sua autorevolezza di interprete delle Scritture.
Ciò che tuttavia ci interessa di più è la reazione di Gesù. Egli compie un gesto strano, che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro a tutti i sui commentatori: si china e scrive con il dito per terra. È interessante notare che si tratta dell’unico caso che nei vangeli si dice che Gesù scrive qualcosa. Queste sono le uniche “parole” che Gesù ha scritto per noi e che “ci ha lasciato” nei vangeli. È un gesto molto importante, anche se oscuro, quello che Gesù compie, e da esso dipende in larga parte l’interpretazione del nostro brano.
Con il dito scriveva per terra
Il comportamento di Gesù è estremamente differente da quello dei suoi avversari. Essi prendono la donna e la pongono nel mezzo, egli invece non dice nulla e scrive per terra. Mauriac in La Vie de Jésus interpreta in un modo semplicissimo ma affascinate questo episodio. Egli scrive: «Il Figlio dell’uomo sapendo che quella sciagurata veniva meno per la paura e per la vergogna, non la guardava perché vi sono certe ore nella vita d’una creatura in cui la più grande carità è non guardarla. Tutto l’amore del Cristo per i peccatori è racchiuso in quello sguardo sottratto». Scribi e farisei espongono la donna alla vergogna, Gesù le dona uno sguardo sottratto.
Ma, oltre a questa semplice e affascinante interpretazione, quale senso può avere nel testo di Giovanni il gesto di Gesù dello scrivere per terra? Proviamo a dare una risposta lasciandoci guidare dalla Bibbia stessa. Nel Vangelo di Luca – un Vangelo che ha un linguaggio molto vicino a nostro brano e dal quale secondo molti studiosi esso proviene – troviamo in Lc 11,20 questa espressione: «Se io scaccio i demòni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio». Gesù dunque agisce e opera con il dito di Dio. Dio, che con le sue mani aveva plasmato l’uomo dalla polvere del suolo, ora agisce nelle parole e nelle opere di Gesù. E Gesù scrive proprio nella polvere della terra, che è la materia da cui Dio ha tratto e plasmato l’uomo.
Ma nella Bibbia c’è un altro passo nel quale si parla del “dito di Dio”. In Es 31,18 leggiamo: «Quando ebbe finito di parlare con lui sul monte Sinai, diede a Mosè due tavole della testimonianza, tavole in pietra, scritte con il dito di Dio». Dio ha scritto con “il suo dito” su tavole di pietra quella legge che ora scribi e farisei invocano contro la donna. Il medesimo “dito” ha plasmato l’uomo dalla polvere del suolo e ha scritto la legge sulle tavole. Ora in Gesù, che agisce con “il dito di Dio”, la legge non è più scritta su tavole di pietra ma sul cuore dell’uomo, nella polvere da cui l’uomo è stato formato, nella sua umanità: l’annuncio di Geremia (Ger 31,31-34) di una Legge-Torah scritta nei cuori in Gesù viene confermato, diventa fonte di vita e di perdono. Una nuova alleanza, quindi, la cui Legge non è più scritta su tavole di pietra, ma nel cuore dell’uomo. Anzi la novità – come già diceva Geremia – sta proprio qui: non un nuovo documento, dei nuovi contenuti, ma un supporto nuovo, che è il cuore dell’uomo!
La misera e la misericordia
Dopo che tutti se ne sono andati a causa della contro-domanda di Gesù, egli si rivolge alla peccatrice e la chiama “donna”. Un termine importante in Giovanni! Un termine che indica la “sposa”, la donna pronta per il matrimonio. Gesù non chiama la donna “adultera”, ma la chiama “donna”, il termine che indica la sposa. Essa, simbolo, dell’umanità peccatrice – perchè in nessun modo si può vedere in questo brano una giustificazione del peccato – è ricostituita da Gesù come sposa: egli è lo sposo che l’umanità attende! Questo nome con cui Gesù chiama la peccatrice è il nome con cui nel Vangelo di Giovanni egli si rivolge a Maria a Cana e ai piedi della croce, il termine con cui si rivolge alla Samaritana presso il pozzo di Giacobbe e a Maria Maddalena nel giardino della risurrezione.
Così Gesù ridona piena dignità alla donna. L’avevano condotta a lui non come uno dei tanti malati e indemoniati che egli ha guarito; ma l’incontro con Gesù ha veramente guarito nel profondo quella donna, ridonandole la dignità perduta, il nome di “donna-sposa”, e soprattutto presentandosi a lei come lo “Sposo” atteso. Nel Primo Testamento è Dio che si presenta come lo sposo del suo popolo: ora è Gesù che sta davanti a questa donna, rappresentante dell’intera umanità, come sposo. Egli nei confronti della donna compie un miracolo non meno straordinario di una guarigione o di un esorcismo. L’azione che Gesù compie corrisponde alla promessa fatta a Israele-sposa infedele in Osea 2, 21-22: «Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore».
La donna risponde chiamandolo «Signore» (v. 11): nasce cioè in lei la fede, che ella professa. L’incontro della “misera” – come dice Agostino – con la “Misericordia” fa nascere la conversione e la professione di fede nel Signore Risorto. La donna peccatrice è venuta alla fede grazie ad un gesto di amore di Gesù e all’esperienza del perdono che rialza. Proprio come conclude Osea: «e tu conoscerai il Signore» (Os 2, 22).
A cominciare da ora
Nel nostro cammino quaresimale, il vangelo di questa V domenica di Quaresima ci mostra un nuovo tratto del volto di ciò che la Chiesa vive in questo tempo. Nell’incontro di Gesù-Sposo con la donna-sposa abbiamo l’annuncio di ciò che significa per noi, per la Chiesa, essere in cammino verso la celebrazione della santa notte di Pasqua. È un “vangelo”, una bella notizia che sentiamo proclamare. La notizia della Legge scritta nei nostri cuori e del “dito di Dio” che plasma in noi una vita nuova, l’annuncio che Dio in Gesù diviene definitivamente lo sposo dell’umanità! Anche noi potremo arrivare alla nostra professione di fede, a “conoscere il Signore”, grazie all’esperienza della sua misericordia e del perdono che ci viene donato in Cristo Gesù (II lettura).
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli