Immacolata e Assunta: un secolo di “invenzione” della tradizione
“Dove sei?” la domanda che il Dio creatore rivolge alla creatura “a sua immagine e somiglianza” mette in questione l’uomo, che si scopre nudo. Non vuole riconoscersi nudo e vuole far da solo. Non vuole rispondere a nessuno, né del suo inizio né della sua fine. Può essere autonomo nell’inizio e perdersi del tutto, nella sua fine. Così la domanda “dove sei” si trasforma nelle due domande: da dove vieni? dove vai? Tutto il XIX e la prima metà del XX secolo hanno suscitato nella Chiesa cattolica una duplice e alta risposta a questo interrogativo antico, che si presentava in modo nuovo nel mondo nascente della tarda modernità. Così la risposta data “su Maria” non è semplicemente un approfondimento della verità mariana, ma una ripresa delle due domande fondamentali che riguardano ogni uomo e ogni donna. “Immacolata concezione” è, appunto, un “inizio preservato dal peccato”, in vista della generazione del Figlio. E “Assunta in cielo” è compimento e preservazione dalla corruzione, grazie al Figlio. I titoli mariani, non certo improvvisati, ma riletti profondamente tra metà 800 e metà 900 hanno segnato la posizione della Chiesa nel mondo tardomoderno: contro la pretesa di un uomo di per sé “immacolato” e di un compimento reso vuoto e affidato alla cieca logica del fato. Salvare la “relazione di affidamento” come logica dell’inizio e della fine è stato l’intento, che ha preso le forme e i linguaggi della Chiesa in crisi di fronte al mondo di quel tempo.
Fedeltà e “invenzione” ottocentesca
Questo è il progetto della Chiesa cattolica, da Pio IX a Pio XII, che prende forma non solo dogmatica, ma anche spirituale, orante e testimoniale. Affermare la “immacolata concezione” è uscire dalla autoreferenzialità come nuovo pericolo “modernista”; affermare la “assunzione in cielo” significa custodire il senso al di là del visibile conchiudersi delle esistenze. Lo si fa, allora, con lo stile, le parole e gli immaginari prima della “lotta contro il mondo liberale”, poi con la aggiunta del doppio conflitto mondiale, e nel mondo del secondo dopo-guerra. Ma è sorprendente come tra Pio IX e Pio XII fosse diventata necessaria un “fedeltà creativa” alla tradizione. Si poteva essere fedeli alla tradizione solo “inventandone” nuove parole, nuove prospettive, nuove priorità. Qui, è evidente, inventare significa – secondo la sua etimologia più antica – trovare, recuperare, riconoscere, scoprire. Nulla è veramente “inventato”, ma tutto risuona ed appare diverso. Tra le due “invenzioni” che prendono forma di dogma sta uno sviluppo ampio, complesso e non irreversibile. Irrversibile è il dogma, non la sua recezione, traduzione, articolazione, espressione.
Percorsi dalla Immacolata alla Assunta
E’ evidente che, da soli, i due “nuovi dogmi” non spiegano tutto. Se non si aggiungessero, in un itinerario di sviluppo, le apparizioni di Lourdes in Francia, poi quelle di Fatima in Portogallo, e poi anche le visioni della Kowalska in Polonia, non troveremmo così modificate le preghiere più antiche, come il rosario e il sorgere di preghiere nuove, come la Coroncina della Misericordia. Sono gli effetti indiretti di una “lotta contro il mondo” che si traducono in forme spirituali, in vocazioni, in espressioni, in nuove attenzioni. Nascono, in questo contesto, definizioni della fede, della eucaristia, della preghiera, idealizzazioni del prete e ossessioni di espiazione che trovano, nelle distrette ottocentesche o nelle crisi dei primi decenni del XX secolo, la loro ispirazione e i loro contesti. Ma si tratta, spesso, di novità legate alla contingenza, che solo con molta difficoltà potremmo oggi non solo recepire, ma anche comprendere appieno. L’orizzonte di una “resistenza al mondo” sta chiarissimo nel sottofondo, che la Immacolata e la Assunta sigillano in forma solenne e non del tutto definita.
Nessun nuovo dogma, ma un cambio di stile
Dopo il 1950, anche Pio XII iniziò a comprendere che quella grande stagione, con le sue luci e con le sue ombre, era finita. Senza cessare di aiutare il cammino ecclesiale, quel modo di pensare la tradizione, che il XIX aveva in larga parte “inventato”, aveva bisogno di nuove invenzioni. Il modo di pensare la condizione moderna dell’uomo e della donna, le forme del culto, la disponibilità alla carità, le nozioni fondamentali della fede, esigevano un percorso di nuova traduzione e di più fresca invenzione. Non avrebbe tardato, il suo successore Giovanni XXIII a dare la prima forma a questa nuova fedeltà alla tradizione, convocando il Concilio Vaticano II, che a sua volta Paolo VI condurrà nel suo percorso non poco accidentato e nella sua prima e preziosa recezione. Senza nuovi dogmi, ma con una “nuova comprensione di sè”. Il Concilio sapeva e annunciava che il discorso sulla origine di amore prima della storia e sul compimento di pace oltre la storia non si può fare “fuori della storia” o “contro la storia”. Così imposta e orienta un cammino di riforma, perché la tradizione conosca nuove traduzioni e nuove invenzioni. In un certo senso, con il Concilio, dire la origine e dire la fine, credere nell’amore come verità di ogni inizio e di ogni fine, amplifica e introduce variazioni alla forma “immacolata” e “assunta” del secolo precedente.
E le nostre invenzioni?
Per dire e custodire l’origine e la fine il secolo tra metà XIX e metà XX ha inventato e impiegato i “nuovi dogmi mariani”. E oggi noi siamo ricchi anche di quella esperienza. Ma essa risponde alle questioni di un mondo e di una chiesa diverse dalle nostre. Che cosa significa, oggi, per noi, recuperare la “pienezza di grazia” che diventa fecondità? Significa ancora difendere il “peccato originale” di cui ogni uomo e ogni donna è segno? E’ questo un linguaggio ancora possibile, certo, ma è davvero oggi ancora il più urgente? Che cosa significa che il compimento della vita è custodia di tutto il vissuto (anima e corpo) nella relazione di fede e di affidamento? Come tradurre oggi questi grandi orizzonti, che il XIX e il XX ci ha tramandato nelle sue categorie, in nozioni e concetti nuovi? Le forme della devozione, in modo prioritario, chiedono un supplemento di anima, che è già iniziato. Il grande recupero del linguaggio biblico e patristico, della grande tradizione liturgica antica, medievale e moderna potrebbe indurci ad uscire, tutti, da forme di culto troppo meschine e talora davvero fuorvianti. La fedeltà esige invenzione: come fu 150 anni fa, può e deve essere anche oggi.
Scusi, quindi per lei i dogmi sono falsi? Lei si ritiene credente o ateo?
Perché mai si potrebbe capire che siano falsi? Se legge bene, capirà
Chiedo scusa, ma attaccare il peccato originale non significa forse attaccare la dottrina grazie alla quale la Chiesa spiega il male nel mondo? Non significa anche attaccare la necessità del battesimo per i non credenti?
Ma ragionare vuol dire attaccare? Io non trovo alcun attacco. Solo un ragionamento storico e sistematico.
Sostenere che i dogmi siano “inventati” (e dunque senza alcun sostegno Scritturale) cos’è se non negarli? Il dogma non può avere origine da pura elucubrazione umana. Sostenere siano inventati non può che significare rigettarne l’autenticità.
Il suo è senz’altro un ragionamento… Di chi li nega. Come già prova imbarazzo per la transustanziazione e altri dogmi cattolici.
Non prova imbarazzo a prendere uno stipendio da una università cattolica?
Invenzione, come si capisce bene dal testo, non significa affatto negare i dogmi o dire che sono falsi. Significa invece ricostruire la loro definizione nello spazio e nel tempo. Come si possa desumere un discorso sulla scrittura da ciò che ho scritto dipende dal pregiudizio di chi legge, non da ciò che è scritto. Approfitto per augurare buon onomastico al lettore