Indulgenza: storia e significato
In vista dell'ormai prossimo Giubileo della Misericordia, Mons. Alceste Catella ed io abbiamo ripreso il libro del 1999, aggiornandolo integralmente con la prospettiva introdotta dalla Bolla di papa Francesco Misericordiae Vultus.
Ecco la mia introduzione al testo:
Introduzione
“La speranza del perdono, si è data a cchi la vòle,
et eo a quella persona ’l dono,ch’en lo so peccato dole”
Jacopone da Todi, Lauda 49
“L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”
Francesco, Misericordiae Vultus, 15
L’approssimarsi del Giubileo Straordinario della Misericordia torna a portare l’attenzione e l’interesse del cristiano (cattolico e non) su una prassi penitenziale come l’indulgenza, circa la quale le difficoltà della Chiesa moderna a pensare correttamente la propria tradizione si rivelano quasi esemplari.
La scommessa di questo piccolo testo può essere illustrata così: vorremmo poter affrontare il tema dell’indulgenza/indulgenze come l’occasione – rara e quindi preziosa – per far emergere una serie di questioni molto più grandi della sola prassi penitenziale che consideriamo, ma che l’indulgenza come tale può contribuire a chiarire in modo persino sorprendente.
Forse proprio nello “scandalo” di fronte a ciò che l’uomo d’oggi – e lo stesso cristiano contemporaneo – può considerare quasi “incomprensibile per il mondo attuale” si può trovare l’occasione insperata per una riflessione più profonda, più adeguata e anche più autentica.
Nel nostro itinerario vorremmo anche sperare di non deludere troppo due generi diversi di lettori: anzitutto coloro che si sono abituati a separare il perdono della colpa dall’effettiva “guarigione” del perdonato e pertanto non sono disposti a prendere sul serio il cammino lento e difficile – e anche umanamente complesso – con cui il penitente “elabora la pena” Per costoro il bisogno di conversione del cristiano tende a identificarsi con il “dire il proprio peccato” e con il ricevere l’assoluzione dal ministro della Chiesa, ma non riesce a prendere in tutta la dovuta considerazione anche la risposta umana – storica e corporea – che è e deve essere rivolta a questa Parola di perdono.
In secondo luogo, vi sono invece coloro che pretendono di identificare troppo facilmente il perdono della colpa con il condono della pena: essi semplificano troppo la realtà, arrivando persino a far dipendere il perdono di Dio da qualche azione dell’uomo, da qualche “prestazione” del penitente. In questo modo rischiano di subordinare la grazia di Dio a un’opera dell’uomo, fraintendendo il senso di tutta la tradizione penitenziale e il primato della misericordia di Dio che essa attesta.
Mentre i primi – proprio per la paura di cadere in qualche forma di superstizione e di “indebita” commistione tra umano e divino – identificano direttamente la libertà dell’uomo con la grazia di Dio e perciò semplificano, e talvolta persino vanificano, quella risposta umana che nella penitenza è sempre necessaria e sempre complicata, i secondi, al contrario – proprio per affermare l’onnipotenza di Dio, Padre di misericordia -, rischiano di subordinarla a qualche specifica azione dell’uomo penitente, così distorcendo e compromettendo la significatività più profonda delle prassi sacramentali e para-sacramentali, che annunciano la grazia di Dio come unica vera condizione del cambiamento dell’uomo.
Una non piccola ingenuità – e un forma della dimenticanza tipica del mondo attuale – sta proprio nel non capire più la delicata economia delle soglie necessarie alla penitenza autentica. L’uomo è fatto anche di semplici ripetizioni. C’è una grande benedizione nel non dover pensare, ogni mattina di nuovo, a quali gesti fare per alzarsi da letto, o per accendere e guidare la macchina o per accingersi al proprio lavoro. Ma questo, che pure è qualcosa di essenziale all’uomo, non gli è però sufficiente. Viene sempre il momento in cui, per continuare a fare ciò che già si faceva, occorre ricomprenderne il senso. Questo è l’unico vero modo di stare in una tradizione. Ripetere gesti antichi non dispensa dal chiedersi il loro senso autentico.
Con tutta la sua eccezionale struttura, anche l’indulgenza partecipa di questa realtà dell’uomo di fronte alla propria libertà. Essa è una delle forme che il cristianesimo ha sperimentato e celebrato per comprendere fino in fondo la relazione tra libertà, grazia e peccato in termini di penitenza.
Il suo svilupparsi storico, il suo radicarsi nella storia del “pentirsi” dell’uomo – con tutto il carico di provocazione che ciò comporta per l’uomo “moderno” – verrà qui affrontato con spirito sereno, con rispetto critico, ma prendendo sempre sul serio le difficoltà oggi più fortemente percepite.
Per questi motivi, dopo un primo passo che viene dedicato a un breve abbozzo dello sfondo biblico sul tema della misericordia e del perdono (cap. 1), procederemo a un esame storico-teologico della prassi penitenziale delle indulgenze (cap. 2), dal quale dovrà emergere il suo profondo radicamento nella ricca e mutevole storia della penitenza cristiana. Si vedrà come nell’indulgenza non parlino soltanto le ragioni della teologia o della prassi pastorale, ma anche le esigenze di “cammini penitenziali” percepiti come indispensabili dal popolo di Dio.
Successivamente (cap. 3) tenteremo di scoprire ciò che questa storia ci insegna per l’oggi sia per quanto riguarda il sacramento della penitenza, sia per quanto riguarda il rapporto della libertà dell’uomo con la grazia di Dio. Da tutto ciò prenderà le mosse sia una puntuale interpretazione della Bolla del Giubileo del 2000 (Incarnationis mysterium) nella sua articolata lettura teologica delle indulgenze, sia la rilettura che ne dà la Bolla Misericordiae vultus, di papa Francesco.
Infine, nella Conclusione, si provvederà a sintetizzare le acquisizioni maturate nella ricerca, illuminando così il senso ricco e profondo con cui l’uomo oggi può e deve fare penitenza con l’ “accompagnamento orante” della Chiesa.
Far gustare all’uomo di oggi la profondità e la delicatezza della sua libertà (in quella comunione con i fratelli che la Chiesa riceve dall’alto e che per questo può annunciare e realizzare): questo vorrebbe essere il profilo inedito che le indulgenze possono oggi promuovere in un modo veramente originale. Purché la Chiesa sappia trovare le parole giuste per disgelarne quel senso che essa anzitutto riceve in dono e che poi può e deve a sua volta annunciare e donare, anche e soprattutto all’umanità di oggi.