La beata Odette e compagne e compagni, martiri


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Non capita tutti i giorni di venire a sapere che una persona che si è ben conosciuta, con la quale si sono avuti degli scambi, alla quale si è dato del “tu”, si trovi iscritta nel catalogo dei santi e dei beati! Penso che questa stessa sorpresa sia stata quella di numerosi cristiani che oggi hanno una certa età, ma che un tempo hanno incontrato nella vita quotidiana questi santi martiri in terra algerina. È quanto è avvenuto a me con suor Odette, della comunità delle Piccole Sorelle del Sacro Cuore, negli anni del post-Concilio. A quell’epoca, le comunità di suore contemplative che non erano monache di clausura si sono avvicinate le une alle altre, per cercare insieme come vivere la recezione del Concilio nei loro istituti. Io ho fatto parte dei religiosi invitati a condividere delle riflessioni con loro, e l’ho fatto spesso, in particolare con Odette.

Questa beatificazione mi riempie di gioia, e vorrei dirne la ragione. Suor Odette è caduta, ma quante piccole sorelle, di cui alcune sono ancora in vita, trovandosi là, avrebbero dato la vita senza rumore, come Odette e come padre de Foucault? Per loro, come per suor Odette, la vita è donata, aperta agli altri, rispettose della loro religione, del loro percorso. Manca loro soltanto la sanzione della morte violenta, ma la santità, umile e quotidiana, c’è. E mi piace anche l’insistenza dei vescovi d’Algeria per unire questi martiri cristiani al centinaio d’imam musulmani, alle migliaia di semplici musulmani che sono morti anch’essi per aver preferito la mitezza alla violenza. Forse questo ci illumina anche sulla nostra stessa vita, su quella di quanti ci circondano: questa beatificazione è forse come un proiettore che mette in piena luce la santità di tutti, di cui parla il capitolo 5 della costituzione Lumen Gentium. Mi ricordo di un monaco, invitato un anno a “predicare il ritiro” ai fratelli di Tibhirine. Mi diceva in seguito: «Loro sono come noi nella vita quotidiana», in altri termini, vivono la lotta di tutti i giorni, la gioia di tutti i giorni. Ed io avevo tradotto questo dicendomi: «E quindi noi siamo come loro». Insomma, questa beatificazione è un momento di grande gioia: in riferimento a loro innanzi tutto (lo sento molto pensando a quell’incontro con suor Odette nel passato), ma anche in riferimento a noi. È come una rivelazione di ciò che siamo, della «gioia del vangelo» che ci abita nel profondo, anche se è talvolta troppo sepolta.

Altra osservazione. Non è un po’ un peccato che lo stile della curia romana abbia contrassegnato l’annuncio di questa beatificazione? Se ne parla come di «Monsignor Pierre Claverie e i suoi compagni». Ma perché Pierre Claverie piuttosto che Christian de Chergé, trappista, o fratel Luc, medico, o fratel Christophe, poeta? Papa Francesco ha parlato della Chiesa come «piramide rovesciata». Perché dunque, a ogni occasione, cercare di rimetterla in piedi e con il vescovo in cima? Temo che, nell’orazione liturgica che sarà composta, non si metterà in evidenza se non «il beato Pierre e i suoi compagni». In che cosa la bomba che l’ha fatto esplodere (e il suo autista musulmano con lui) è più degna di quella che ha messo fine alla vita di suor Odette? E poi, perché innanzi tutto un uomo e non una donna? Perché questa festa non potrebbe essere quella di «suor Odette, le sue compagne e i suoi compagni martiri»? In realtà, è ben questo, e come ho detto, è anche la festa di tutti noi.

Traduzione italiana di Emanuele Bordello

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