La “concordia nazionale” ritrovata. A settant’anni dall’inizio dei lavori dell’Assemblea costituente


verbale 25 giugno 1946 

«“Frattanto, in questo pericolo mortale che ci minaccia dall’estero, un imperativo categorico si pone verso l’interno: l’unione, la pacificazione, la concordia. Un appello solenne ne segue, perché ogni Italiano, a qualunque partito, a qualunque classe appartenga, ogni risentimento, ogni dissenso, ogni rancore, ogni interesse, ogni pensiero insomma, subordini alla maestà di questo comando: la concordia nazionale perché si salvi l’Italia, perché viva l’Italia. Vorrei ardentemente che queste fossero le ultime mie parole, affinché esse restassero impresse con l’autorità austera dell’al di là: Viva l’Italia!” (L’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi prolungati generali applausi)»

 

Così terminava settant’anni fa il primo discorso ufficiale durante la sessione inaugurale dell’Assemblea Costituente (24 giugno 1946).  A pronunciare l’appello alla “concordia nazionale” era il più importante giuspubblicista italiano, Vittorio Emanuele Orlando, che rappresentava nel campo giuridico la “dottrina della tradizione” in continuità con lo Stato liberale pre-fascista.

Siamo abituati a vedere oggi quel miracolo di unità che è il patto costituente come una conseguenza ineluttabile della fase storica del secondo dopoguerra. Eppure l’obiettivo della concordia nazionale non era per niente pacifico in un Paese, come l’Italia del 1945, che se da un lato aveva dato prova di coesione nella lotta di Resistenza, dall’altro era percorso da tensioni istituzionali e sociali fortissime (monarchici/repubblicani, nord/sud) con i prodromi di una guerra fredda che era ormai alle porte.

L’Assemblea, eletta contestualmente al referendum istituzionale del 2 giugno, vedeva rappresentati tre partiti fondamentali (Democrazia cristiana con il 35% dei seggi; il Partito socialista, 20 %, e quello comunista con il 18%) e altre formazioni che ebbero un ruolo non marginale (tra cui l’Unione democratica nazionale, il Fronte dell’Uomo qualunque e il Partito repubblicano). Nei primi mesi emersero i due obiettivi di portata storica che i partiti maggioritari volevano attribuire alla Costituzione. Essa doveva essere uno strumento di garanzie dei diritti fondamentali e l’indirizzo dei poteri costituiti della Repubblica (mediante l’introduzione delle cd. norme programmatiche). Questa concezione della Costituzione che fortemente mirava alla tutela dei diritti sociale e che era allora particolarmente innovativa (con il solo precedente della Costituzione di Weimar del 1919) mirava a fare sorgere in Italia, secondo l’espressione di Giuseppe Dossetti, una «democrazia sostanziale», cioè democrazia economico-sociale e politica, superando la democrazia formale propria dallo Stato liberale.

I lavori dell’Assemblea costituente terminarono ufficialmente il 31 gennaio 1948 dopo che la stessa aveva per due volte prorogato il termine che inizialmente era stato fissato al 24 febbraio 1947. I diciannove mesi costituenti furono scanditi da intensi scambi tra i commissari e vissuti dal mondo cattolico con grande attenzione e partecipazione. Molti furono gli esponenti dell’Azione Cattolica eletti in Assemblea, ma non va dimenticato anche il grande contributo ideale che l’Associazione guidata da Vittorino Veronese diede con seminari, incontri e con una sua proposta di Costituzione (su questo si veda il volume curato da Francesco Malgeri ed Ernesto Preziosi, Chiesa e Azione Cattolica alle origini della Costituzione repubblicana, Editrice AVE).

Terminati i lavori dell’Assemblea, le elezioni del 1948, con la netta vittoria della DC, rappresentarono un momento di stallo dell’attuazione della Costituzione che lacerò il patto di trasformazioni sociali di cui la Carta rappresentava il primo atto. Il cammino della Costituzione, dopo quelle elezioni, sarebbe stato tormentato: solo nel 1953 fu approvata la legge istitutiva della Corte costituzionale; nel 1957-58 quelle del CNEL e del Consiglio superiore della magistratura; da ultimo fu data attuazione nel 1970 agli articoli sul referendum e sull’istituzione delle Regioni.

Ripercorre questa pagina della nostra storia repubblicana non ha solo una valenza celebrativa che ci rende maggiormente consapevoli delle nostre origini. Ci spinge a prendere sul serio la nostra Costituzione e a rilanciare l’idea originaria di una democrazia sostanziale – non solo politica, ma anche economica sociale – in un contesto mutato come quello attuale. Non è inoltre inutile, in vista del dibattito che si svilupperà nei prossimi mesi di campagna referendaria sulla revisione costituzionale votata dal Parlamento lo scorso 12 aprile, ripartire da qui: dai fini che i padri costituenti avevano pensato allora per discernere oggi quale struttura istituzionale li possa assecondare.

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