La coscienza e i papi: come evitare una deformazione liturgica dei seminaristi?


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Nella sua famosa lettera al duca di Norfolk, il card. Newman scriveva: “La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo”. E’ una frase talmente nota che viene citata giustamente anche dal CCC, al numero 1778, dedicato al giudizio della coscienza morale. Questa affermazione mette in guardia la tradizione cattolica da un pericolo, che si è molto accentuato negli ultimi 200 anni: quello di fare del papa, vicario di Cristo, una sorta di “schermo”, di “scappatoia”, di “riparo” o di “alibi” della coscienza. Questa frase, con le sue conseguenze, mi è balzata in mente, non appena ho letto il testo di un articolo nel quale si riferisce di una recente decisione del Rettore del Collegio Nordamericano di Roma (si può leggere qui ): in quel Collegio vengono ora cancellate le celebrazioni e la formazione alla messa tridentina. Ma la cosa sorprendente è come viene giustificata la evoluzione da parte del Rettore, Fr. Peter Harman. Egli sostiene che come in obbedienza a SP si era introdotta la celebrazione e la formazione dei seminaristi alla VO, ora, in obbedienza a TC, viene revocata tanto la celebrazione quanto la formazione a quel rito tridentino. Mi pare che qui appaia in modo macroscopico un difetto di fondo, che crea una confusione strutturale all’interno della Chiesa. Mi chiedo infatti: ma dove è finita, in questo ragionamento, la coscienza e la responsabilità del Rettore? E’ forse il Rettore un funzionario, dispensato dalla coscienza? Come è possibile che, anche dopo SP, molti altri rettori, per fortuna la maggior parte, non abbiano affatto ritenuto che fosse il caso né di celebrare, e tanto meno di formare i seminaristi al VO?

Qui, a me pare, abbia funzionato un meccanismo “adattativo” che dispensa anche i Rettori dalla coscienza, così come ha dispensato singoli cristiani e non pochi teologi. Il papa dice una cosa e si fa. Poi un altro papa dice il contrario, e si fa il contrario. Questa non è comunione, non è unità, non è pacificazione o riconciliazione: questa è irresponsabilità, disgregazione, deformazione.

In effetti, è facile “nascondersi” dietro ai papi. Ma è sempre sbagliato. I papi non sono nascondigli. Se si legge bene, infatti, SP non prescrive affatto una “doppia formazione” del seminarista. Certo, pone un principio obiettivamente pericoloso – quello della doppia forma del medesimo rito romano – che può avere portato qualcuno a pensare che potesse essere un bene che il giovane in formazione avesse contemporaneamente la formazione al rito precedente e anche al rito vigente, che ha intenzionalmente corretto, emendato e modificato il rito precedente. Ma è evidente che qui non vale soltanto un principio dogmatico o disciplinare. La decisione assunta solo su questo piano è temeraria. Deve valere anche un principio pedagogico, formativo, di costruzione della identità e di unità della persona, che non può risultare scissa. Per anni la irresponsabilità di formatori che si interpretavano solo come “funzionari” ha deformato decine, centinaia di seminaristi, che sono cresciuti con l’idea della “equipollenza”, della “fungibilità” e della “sostituibilità” tra forme rituali che erano invece la evoluzione irreversibile tra stili e forme ecclesiali in divenire. E’ stato facile nascondersi dietro Benedetto XVI, che non ha direttamente imposto nulla sul piano formativo; altrettanto lo è oggi nascondersi dietro Francesco, che ha semplicemente ristabilito il buon senso e la coscienza di un unico rito, al quale formare e con il quale celebrare. Non era necessario un papa per esercitare la buona coscienza! Anche alcuni teologi sono rimasti del tutto indifferenti a quanto accadeva o addirittura hanno scritto manuali per favorire la “doppia formazione”. Questa è stata una forma di irresponsabilità al quadrato, promossa con parole, opere e omissioni.

Dunque, non conta solo “fare la cosa giusta”. Ma anche sapere perché si fa la cosa giusta. E perché forse si doveva fare molto prima, con la propria coscienza, ciò che la legge oggi impone con la sua autorità. Ciò nondimeno possiamo brindare comunque alla decisione: è finita la deformazione dei seminaristi sul piano liturgico, almeno nel Collegio Nordamericano. Brindare non significa affatto “ignorare” il VO: anzi, proprio ora, quando è chiaro con quale rito si celebra e a quale rito si deve essere formati, il VO dovrà essere studiato bene, con cura, con curiosità, per capire fino in fondo ciò che non muore e ciò che può morire del rito romano.

Tuttavia, nel brindisi per la decisione assunta, dovremmo ricordarci, anche alla fine, delle parole che il Card. Newman ha scritto con la giusta ironia nella stessa lettera al Duca di Norfolk:

“Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo – cosa che non è molto indicato fare – allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa”.

 

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