La festa del Corpus Domini: un sostitutivo ormai superato?


(Giusto di Gand, Pala del Corpus Domini, 1472-74)

La festa che cade il giovedì successivo alla Ottava di Pentecoste, e che l’anno liturgico può spostare alla domenica seguente, è stata istituita nell’agosto del 1264, da papa Urbano IV, con la Bolla Transiturus de hoc mundo. Come riconosce Ubaldo Cortoni, nel sul testo di Storia dei sacramenti nel medioevo, questo è uno degli 8 eventi fondamentali che ha inciso sulla teologia medievale dell’eucaristia. Si tratta, come documenta lo storico, della estensione a livello universale di un fenomeno che era sorto da alcuni decenni a Liegi. Ma il testo della Bolla riserva molte sorprese e riletto 760 anni dopo, può aiutarci a comprendere il modo singolare con cui questa festa è entrata nel corpo e nel cuore della Chiesa cattolica lungo i secoli e il nostro compito di rileggerne a fondo la natura.

a) L’immaginario di adorazione e di processione.

La prima cosa che possiamo notare è che il testo del 1264 si concentra su due aspetti della eucaristia che la recezione della festa ha gradualmente emarginato: da un lato il carattere “memoriale” e dall’altro la sua natura di “banchetto”, di “pasto” e di “bevanda”. La festa è nata in un contesto che aveva le sue polemiche (si nota l’accenno che il testo fa alle posizioni degli eretici del tempo). Ma la storia del cattolicesimo, avendo conosciuto altre controversie molto più tardi, ha per così dire “risignificato la festa”, traducendola in una festa della “adorazione della presenza reale” e di “solenne esposizione pubblica del sacramento”: ma questo tema è del tutto assente dal testo istitutivo. Al cui centro sta invece il memoriale della storia della salvezza e la celebrazione della cena, con la partecipazione all’unico pane e all’unico calice. Ecco alcuni testi significativi:

Cristo, il nostro Salvatore, sul punto di partire da questo mondo per ascendere al Padre, poco prima della sua Passione, nell’Ultima Cena, istituì, in memoria della sua morte, il supremo e magnifico sacramento del Suo Corpo e Sangue, dandoci il Corpo come cibo e il Sangue come bevanda.

La unità di memoriale e di cibo-bevande appare il registro fondamentale su cui si parla del sacramento eucaristico, come risulta da testi successivi a questo incipit:

Pertanto, il Salvatore si è dato come cibo; volle che, nello stesso modo in cui l’uomo era stato sepolto nella rovina dal cibo proibito, vivesse di nuovo per un cibo benedetto; l’uomo cadde per il frutto di un albero di morte, risuscita per un pane di vita. Da quell’albero pendeva un cibo mortale, in questo c’è un cibo di vita; quel frutto ha portato il male, questo la guarigione; un appetito malvagio ha fatto il male e una fame diversa genera il beneficio; la medicina arrivò dove la malattia aveva invaso; da dove era partita la morte, venne la vita.
Di quel primo cibo fu detto: “Il giorno in cui ne mangerai morirai” (Gen. 2, 17); del secondo è stato scritto: “Chiunque mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6, 52).

Va aggiunto che il tema della “presenza” non è assente, ma come in secondo piano. Interessante però è notare che questo è probabilmente il primo testo in cui, nella storia della interpretazione di Mt 28, 20, si riferisce il testo alla “presenza eucaristica”:

Nell’imminenza della sua Ascensione al cielo disse agli apostoli e ai loro successori: “Ecco, io sono sempre con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20) e li consolò con la benevola promessa che sarebbe rimasto con loro anche con la sua presenza corporale.

b) La ragione della istituzione della festa

Altrettanto interessante è però considerare le ragioni di istituzione della festa. Con una certa sorpresa scopriamo che la Bolla non si propone affatto come compito decisivo una “esaltazione del sacramento”, se non secondariamente. Al centro vi è la “comunione sacramentale”. Questo ci sorprende alquanto, perché la recezione è stata dominata, dopo la scolastica e dopo la controversia con il protestantesimo, dalla divaricazione tra “sacramento” e “comunione”. Perché la recezione della festa ha messo velocemente in secondo piano il suo fine primario, e ha messo in primo piano la “conseguenza”. 

Ecco il testo della Bolla, in un passaggio largamente dimenticato:

Sebbene questo santo sacramento venga celebrato ogni giorno nel solenne rito della Messa, tuttavia riteniamo che sia utile e degno celebrare, almeno una volta all’anno, una festa più solenne, soprattutto per confondere e confutare l’ostilità degli eretici.

Difatti il Giovedì Santo, nello stesso giorno in cui Cristo ha istituito questo Sacramento, la Chiesa Universale, impegnata nella riconciliazione dei fedeli, nella benedizione del crisma, nell’adempimento del comandamento della lavanda dei piedi e in molte altre sacre cerimonie, non può prestare piena attenzione alla celebrazione di questo grande sacramento.

…vi ordiniamo anche di esortare i vostri fedeli, con raccomandazioni salutari direttamente o attraverso altri, la domenica che precede il giovedì menzionato, in modo che con una vera e pura confessione, con generose elemosine, con preghiere attente e assidue e altre opere di devozione e di pietà, si preparino in modo da poter partecipare, con l’aiuto di Dio, a questo prezioso Sacramento e possano, il detto giovedì, riceverlo con riverenza e ottenere così, con il Suo aiuto, un aumento di grazia.

Questo testo dice tre cose fondamentali:

– la festa nasce per “riparare” ad una distrazione ecclesiale

– la  trascuratezza eucaristica del Giovedì Santo e la domanda di un “recupero”, sempre di giovedì, nove settimane dopo;

– “fare la comunione” da parte di tutto il popolo è il cuore della festa, che recupera la “comunione mancata” del giovedì santo.

Va considerato inoltre il fatto che la pratica ecclesiale, dal 1215, conosce il “precetto pasquale” (obbligo di confessione e comunione pasquale) che qui viene in qualche modo “reduplicato”. La relazione tra i due testi rimane assai problematica.

c) Alcune conseguenze teologiche e pastorali

Come è evidente, la lettura della Bolla Transiturus ci permette di rileggere la tradizione in un modo sorprendente. Provo a trarne alcune conseguenze essenziali:

  • il testo ci parla da un mondo che sta “prima” della graduale ma progressiva separazione tra “sacramento” e “uso”: la riduzione della comunione a “uso del sacramento”, che inizia negli stessi anni della Bolla, ha creato quella scissione a cui il Concilio Vaticano II e la Riforma Liturgica hanno cercato di riparare. Ma ancora, nel nostro modo di celebrare il “rito di comunione” ci sono le inerzie di questa scissione (ad es. nell’attingere regolarmente le particole dal tabernacolo). La festa è stata pensata per recuperare la comunione di tutto il popolo di Dio.
  • La relazione al Giovedì Santo è assai istruttiva: una festa che nasce per “recuperare un deficit di esperienza” a causa di una pratica distorta del Giovedì Santo, come deve essere considerata quando il Giovedì Santo subisce una duplice riforma (prima con Pio XII e poi con Paolo VI) che ne riabilita precisamente la dimensione eucaristica?
  • La festa è istituita da una Bolla, che ne chiarisce anche la natura di “processo penitenziale”: in che rapporto sta con il parallelo “precetto pasquale”, che almeno da 50 anni avrebbe dovuto essere chiaro alla coscienza ecclesiale, già nel 1264? E in quale rapporto sta oggi, rispetto alla riacquisita dimensione penitenziale del cammino quaresimale?

La recezione di un testo, che diventa tradizione, inserisce tante cose belle, che il testo non prevedeva: le infiorate, le processioni, le forme della cultura sociale, familiare e personale non sono affatto semplici accessori. Ma il recupero del senso primo della festa, in quanto riscoperta della “comunione sacramentale dell’intero popolo di Dio”, come può non tener conto del fatto che negli ultimi 70 anni la Chiesa universale ha recuperato il valore iniziatico del tempo quaresimale e pasquale, rispetto a cui il senso della festa del “Corpus Domini” viene assunto dalla grande struttura penitenziale e mistagogica della quarantina quaresimale, del Triduo Pasquale e della cinquantina pasquale?

Un’ultima curiosità: nella Bolla Transiturus non si trova mai la espressione “Corpus Domini” o “Corpus Christi” per denominare la festa. La gioia e la solennità è riferita alla celebrazione e alla ricezione del preziosissimo sacramento, intorno al quale la festa della Chiesa recupera la gioia pasquale, che le forme del tempo leggevano nella pesante contrapposizione tra un “triduo della passione” e un “triduo della risurrezione”. La unificazione della esperienza ecclesiale nell’unico Triduo Pasquale – resa di nuovo possibile soltanto dalla riforma di Pio XII e poi di Paolo VI – ci permettono una rilettura della tradizione nella quale la festa del Corpus Domini non può più fondarsi sulla necessità di “recupero” espressa dal testo del 1264, che appare largamente superato dal maturare della coscienza ecclesiale. Lo stesso vale per le risignificazioni della festa che hanno costellato il basso Medioevo e l’età moderna. Una trascrizione della festa in un registro nuovo può passare, paradossalmente, proprio attraverso la riconsiderazione attenta e spregiudicata del suo testo fondatore.

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