[40667] IIª-IIae q. 40 a. 4 ad arg.
Sono così risolte anche le difficoltà.” Come è evidente, la guerra può essere giustificata anche nel giorno festivo solo se è effettivamente “ordinata alla salvezza fisica dell’uomo” o, a maggior ragione, “alla salvezza della patria”.
Il testo di Tommaso diventa chiaro, anche nei suoi limiti storici, se letto alla luce dell’articolo 1 della stessa questione. E’ evidente come la giustificazione della “guerra in giorno di festa” discenda dalla possibilità di identificare una guerra “senza peccato”. Può essere utile ricordare qui che la guerra entra nel “sistema” come “vizio contro la carità”. Ma ci sono casi nei quali la guerra, se discende dalla autorità legittima, se è fondata su una giusta causa e se è guidata da retta intenzione, non è più peccato. Come si legge chiaramente nel testo, la autorità da cui Tommaso si fa guidare è Agostino. Che parla delle guerre di 1500 anni fa, nelle quali il “campo di battaglia”, le regole di ingaggio, la incidenza sui civili, la potenza delle armi erano strutturalmente diverse. Il “fenomeno guerra” era profondamente diverso e di fronte ad esso Tommaso rifletteva con questi argomenti.
Summa Theologiae, II-II, q.40, a1. “Se la guerra sia sempre peccato”
“SEMBRA che fare la guerra sia sempre peccato. Infatti:
1. Il castigo è inflitto solo per un peccato. Ora, il Signore minaccia un castigo a chi combatte: “Tutti coloro che prenderanno la spada periranno di spada”. Dunque qualsiasi guerra è illecita. |
[40637] IIª-IIae q. 40 a. 1 arg. 2
2. Quanto si oppone ai precetti di Dio è peccato. Ma combattere è contrario al precetto di Dio; poiché sta scritto: “Io invece vi dico di non fare resistenza al malvagio”; e altrove: “Non vendicatevi da voi stessi, o carissimi, ma date luogo all’ira”. Perciò far guerra è sempre peccato. |
[40638] IIª-IIae q. 40 a. 1 arg. 3
3. Niente all’infuori del peccato è incompatibile con una virtù. Ma la guerra è incompatibile con la pace. Dunque la guerra è sempre peccato. |
[40639] IIª-IIae q. 40 a. 1 arg. 4
4. L’esercitarsi in qualsiasi cosa lecita è sempre lecito: il che è evidente nelle esercitazioni scientifiche. Invece gli esercizi bellici, che si fanno nei tornei, sono proibiti dalla Chiesa: poiché chi muore in codesti esercizi viene privato della sepoltura ecclesiastica. Quindi la guerra è peccato in senso assoluto. |
[40640] IIª-IIae q. 40 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino: “Se la religione cristiana condannasse totalmente le guerre, nel Vangelo, ai soldati che chiedevano un consiglio di salvezza, si sarebbe dato quello di abbandonare le armi, e di fuggire la milizia. Invece fu loro detto: “Non fate violenze a nessuno; contentatevi della vostra paga”. Perciò non viene proibito il mestiere del soldato a coloro che viene comandato di contentarsi della paga”. |
[40641] IIª-IIae q. 40 a. 1 co.
RISPONDO: Perché una guerra sia giusta si richiedono tre cose. Primo, l’autorità del principe, per ordine del quale deve essere proclamata. Infatti una persona privata non ha il potere di fare la guerra: poiché essa può difendere il proprio diritto ricorrendo al giudizio del suo superiore. E anche perché non appartiene ad una persona privata raccogliere la moltitudine, cosa che è indispensabile nelle guerre. E siccome la cura della cosa pubblica è riservata ai principi, spetta ad essi difendere lo stato della città, del regno o della provincia cui presiedono. E come lo difendono lecitamente con la spada contro i perturbatori interni, col punire i malfattori, secondo le parole dell’Apostolo: “Non porta la spada inutilmente: ché è ministro di Dio e vindice nell’ira divina per chi fa il male”; così spetta ad essi difendere lo stato dai nemici esterni con la spada di guerra. Ecco perché ai principi vien detto nei Salmi: “Salvate il poverello, e il mendico dalle mani dell’empio liberate”. E S. Agostino scrive: “L’ordine naturale, indicato per la pace dei mortali, esige che risieda presso i principi l’autorità e la deliberazione di ricorrere alla guerra”.
Secondo, si richiede una causa giusta: e cioè una colpa da parte di coloro contro cui si fa la guerra. Scrive perciò S. Agostino: “Si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie: e cioè nel caso che si tratti di debellare un popolo, o una città, che han trascurato di punire le malefatte dei loro sudditi, o di rendere ciò che era stato tolto ingiustamente”.
Terzo, si richiede che l’intenzione di chi combatte sia retta: e cioè che si miri a promuovere il bene e ad evitare il male. Ecco perciò quanto scrive S. Agostino: “Presso i veri adoratori di Dio son pacifiche anche le guerre, le quali non si fanno per cupidigia o per crudeltà, ma per amore della pace, ossia per reprimere i malvagi e per soccorrere i buoni”. Infatti può capitare che, pur essendo giusta la causa e legittima l’autorità di chi dichiara la guerra, tuttavia la guerra sia resa illecita da una cattiva intenzione. Dice perciò S. Agostino: “La brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, la smania di sopraffare, e altre cose del genere sono giustamente riprovate nella guerra”. |
[40642] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice S. Agostino; “prende la spada colui che si arma contro il sangue di qualcuno, senza il comando o il permesso di nessun potere legittimo e superiore”. Chi invece usa la spada con l’autorità del principe o del giudice, se è una persona privata, oppure per zelo della giustizia, e quindi con l’autorità di Dio, se è una persona pubblica, non prende da se stesso la spada, ma ne usa per incarico di altri. E quindi, non merita una pena. – Tuttavia anche quelli che usano la spada in modo peccaminoso non sempre sono uccisi di spada. Essi però periscono sempre con la loro spada; perché se non si pentono sono puniti del peccato di spada per tutta l’eternità. |
[40643] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 2
2. Come nota S. Agostino, tali precetti devono essere osservati sempre con le disposizioni interne: in modo cioè, che uno sia sempre disposto a non resistere, o a non difendersi, quando ciò fosse doveroso. Ma talora bisogna agire diversamente per il bene comune, e per il bene stesso di quelli contro cui si combatte. S. Agostino infatti scriveva: “Spesso bisogna adoperarsi non poco presso gli avversari per piegarli con benevola asprezza. Infatti per colui al quale viene tolta la libertà di peccare è un bene essere sconfitto: poiché niente è più infelice della felicità di chi pecca, la quale accresce un’iniquità degna di pena, mentre la cattiva volontà si rafforza come un nemico domestico”. |
[40644] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 3
3. Quelli che fanno delle guerre giuste hanno di mira la pace. Perciò essi sono contrari solo alla pace cattiva, che il Signore “non è venuto a portare sulla terra”, come dice il Vangelo. Scriveva S. Agostino a Bonifacio: “Non si cerca la pace per fare la guerra; ma si fa la guerra per avere la pace. Sii dunque pacifico nel guerreggiare, per indurre con la vittoria al bene della pace coloro che devi combattere”. |
[40645] IIª-IIae q. 40 a. 1 ad 4
4. Gli esercizi di guerra non sono proibiti tutti, ma solo quelli disordinati e pericolosi, che portano ad uccidere e a depredare. Invece presso gli antichi le esercitazioni di guerra erano scevre di codesti pericoli: perciò esse venivano chiamate “preparazioni di armi”, oppure “guerre incruente”, come risulta da una lettera di San Girolamo”. |
La giustificazione della guerra discende, per Tommaso, alla scuola di Agostino, dal principio “non fate violenza a nessuno”: questo dimostra come la teoria della “guerra giusta” debba essere pensata in un orizzonte più adeguato, almeno per due grandi ragioni:
a) il “fenomeno guerra” non è lo stesso rispetto a ciò che Agostino e Tommaso conoscevano. Soprattutto sul piano della “terza causa di giustificazione”, la “retta intenzione”, è evidente come la grande differenza tra intenzione ed effetto, oggi determinata in larga misura dai mezzi a disposizioni dei soldati, incide profondamente sul giudizio. Una sola bomba, sganciata da un solo soldato, può causare la morte di centinaia di civili inermi. Questo è un elemento differenziale, che non può essere risolto semplicemente sul piano della “retta intenzione”. Ed è qui che la “inutile strage” diventa una nuova evidenza, teologicamente e civilmente rilevante.
b) Il richiamo che Agostino fornisce a Tommaso, su ciò che deve escludere la “retta intenzione”, prende la forma di una sequenza tragica di vizi che oggi vediamo davanti ai nostri occhi quotidianamente: “La brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, la smania di sopraffare, e altre cose del genere sono giustamente riprovate nella guerra”. Dovrebbe essere chiaro che qui, dal punto di vista di Tommaso e di Agostino, non siamo di fronte a “vizi interni ad una atto giustificato”, ma di “vizi che rendono l’atto bellico ingiustificabile” e lo qualificano come peccato.
Questo sarebbe utile avessero presente almeno tutte le autorità religiose, per evitare di chiamare bene il male e male il bene. Le piccole distinzioni, sottili come un capello, che troviamo nei testi di 800 o di 1500 anni fa, pur nei limiti di una lettura anacronistica, ci aiutano a comprendere la esigenza di una teologia che guardi al fenomeno bellico così come oggi appare e che non si accontenti di ripetere una lettura limitata e idealizzata, che la tradizione ha elaborato sulla base di altre evidenze e di altri fenomeni. |
L’articolo 2 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino di 1789 risolve la difficoltà in modo semplice e luminoso : “Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.” E quindi quando i quattro principi sono messi in pericolo, la questione non si pone più. È un dovere difenderli con i mezzi a sua disposizione.
La vera pace e la vera democrazia
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