La porta stretta
XXI domenica del Tempo ordinario C
LETTURE: Is 66, 18-21; Sal 116; Eb 12, 5-7.11-13; Lc 13, 22-30
Introduzione
L’annuncio del vangelo di questa domenica del Tempo ordinario può sembrare molto duro e scoraggiante se non lo si colloca sia in riferimento al brano del Libro del Profeta Isaia (I lettura), che al contesto in cui si trova nel Vangelo di Luca. Basta pensare alla domanda che viene rivolta a Gesù, all’immagine della porta stretta, per essere immessi in un clima che richiama tante idee di una salvezza quasi da acquistarsi con le proprie forze molto diffusa in certe spiritualità cristiane, ma assente o certamente molto sfumata nel vangelo. Per Paolo poi sarebbe una vero e proprio tradimento del vangelo di cui lui si è fatto servitore dal momento che nella nostra salvezza è la misericordia e la grazia di Dio che risplende.
Il brano della Lettera agli ebrei (II lettura) invita a considerare le difficoltà che i destinatari sono chiamati ad affrontare per la loro fede come una occasione per rafforzarsi nella loto adesione a Dio. L’immagine di un Dio che corregge, potrebbe sembrare non adeguata, ma essa va sempre compresa a partire dalla situazione dei destinatari ai quali la Lettera agli Ebrei si rivolge. Un invito a scorgere, anche nelle avversità il volto di un Dio che è Padre.
Riflessione
Anche tra essi mi prenderò sacerdoti e leviti
La prima lettura fornisce la prospettiva con cui la liturgia di questa domenica ci invita a leggere la pagina evangelica. Si tratta della prospettiva di una apertura universalistica dell’annuncio di salvezza. La pagina di Isaia infatti parla di un annuncio che arriva fino a coloro che non hanno mai sentito parlare del Signore, Dio di Israele: annuncia un ritorno dei dispersi di Israele, ma anche un confluire dei popolo a Gerusalemme per rendere culto a Dio. E’ una serie di immagini molto forti quella che il profeta ci presenta: siamo in un contesto di compimento escatologico. Questa visione che annuncia un futuro nel quale tutti i popoli diventeranno adoratori del Dio di Israele infrange molte certezze religiose. YHWH attraverso il profeta annuncia in modo sconvolgente che anche tra i pagani saranno presi sacerdoti e leviti: «anche tra essi mi prenderò sacerdoti e leviti». Da questo aspetto cominciamo a comprendere uno dei significati dell’universalismo. Ogni pretesa da parte dell’uomo, ogni rivendicazione viene smontata da Dio. Egli non guarda appartenenze e privilegi, osservanze e caste: suoi adoratori possono essere tutti gli uomini e le donne. Questo non per sminuire il ruolo di Israele quale popolo di Dio o, in futuro, delle Chiese, ma per mettere al riparo Israele e le Chiese da ogni tentazione di auto-salvezza. Il ruolo di Israele è unico e unico è quello della Chiesa, ma la salvezza rimane nelle mani di Dio.
Signore, sono pochi quelli che si salvano?
Circa il brano evangelico si rimane un po’ sconcertati se si considerano le parole di Gesù come la risposta alla domanda che gli viene posta: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (v. 23). In realtà dobbiamo comprendere proprio il contrario: le parole di Gesù sono una non-risposta al suo interlocutore. Con le sue parole Gesù dichiara insensata la domanda che gli è stata posta da quel tale che lo incrocia nel suo camminare verso Gerusalemme.
Innanzitutto vediamo il contesto nel quale il brano si colloca. Il primo e fondamentale elemento che disegna tale contesto è quello del viaggio di Gesù verso Gerusalemme iniziato in Lc 9,51. Gesù cammina verso la sua meta in una via che è metafora di tutta la sua esistenza e della sua missione. I suoi discepoli camminano dietro a lui su quella medesima via, metafora anche del discepolato cristiano che significa appunto camminare dietro il Maestro sulla medesima via che egli ha percorso. E proprio sulla via verso Gerusalemme quella domanda – «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» – raggiunge Gesù.
In secondo luogo dobbiamo guardare al contesto più immediato del nostro testo. Esso si trova immediatamente dopo e collegato all’episodio della guarigione in giorno di sabato di una donna ammalata. Una donna da diciotto anni curva per il male che la affliggeva viene sanata da Gesù, e ora può drizzarsi, cosa che prima non poteva fare in nessun modo. Davanti a questo fatto avvenuto in giorno di sabato il capo della sinagoga si mostra sdegnato. Allora Gesù rimprovera la loro ipocrisia rimandando al significato vero della Legge che è quello della libertà e non quello di una osservanza unicamente servile e formalista.
La porta stretta
Allora possiamo ritornare al brano evangelico di questa domenica per cercare di coglierne il senso. Le parole di Gesù, come abbiamo detto non sono una risposta a tono alla domanda che gli è stata posta, ma una non-risposta. La domanda del suo interlocutore nasconde in realtà una disposizione religiosa che Gesù rifiuta e che egli ribalta radicalmente. Infatti, la domanda «sono pochi coloro che si salvano?» in realtà nasconde la convinzione degli uomini religiosi di porre confini, stabilire criteri… riguardo alla salvezza e al giusto rapporto con Dio. Normalmente questi confini finiscono per essere tracciati intorno a sé, per delimitare il proprio territorio. Inevitabilmente poi queste linee tracciate tra chi è dentro e chi è fuori diventano esclusione di altri. L’uomo e la donna religiosi spesso vogliono sapere chi sta dentro e chi sta fuori, chi ha torto e chi ha ragione, chi è accetto a Dio e chi no.
Ma la non-risposta di Gesù giudica la domanda del suo interlocutore e la rivela in tutta la sua assurdità. Gesù non risponde alla domanda, ma la dichiara errata fin dalle fondamenta. Si tratta di una domanda che non va posta!
Che la reazione di Gesù sia una condanna della domanda del suo interlocutore e di quanto ci sta dietro lo si capisce dalla conclusione dell’episodio: «ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi» (v. 30). Si capisce bene come Gesù pensi che il suo interlocutore, cioè chi pone questo genere di domande, si consideri tra i primi. Invece Gesù afferma che potrà avere la sorpresa di trovarsi tra gli ultimi, se non assumerà altri criteri di giudizio che sono quelli di Dio.
Ma qual è allora la via che in positivo Gesù indica? La via che egli indica è la porta stretta. E qui dobbiamo pensare al contesto che abbiamo già richiamato. Siamo sulla strada di Gesù, in cammino verso Gerusalemme, quella via che abbiamo detto essere metafora dell’intera esistenza di Gesù, ma anche di quella dei suoi discepoli. La porta stretta che Gesù addita per entrare nel Regno forse è proprio la sua stessa via, quella che sale a Gerusalemme. Chi percorre altre strade, chi cerca altre vie, altre porte per servire Dio potrebbe sentirsi dire “non ti conosco!”. Perché il Padre riconosce solamente i tratti del volto del Figlio amato e solo chi ha percorso la sua via di autodonazione e di amore può conservare in sé tali tratti.
Una logica differente
Guardando sempre al contesto immediato di questo brano troviamo subito prima due brevi similitudini: il seme di senapa (Lc 13,18-19) e il lievito nella pasta (Lc 13,20-21). Con questi occhi il discepolo di Gesù, come Israele, devono vedere la loro vocazione: non nell’ottica di porre confini, criteri certi, ma solo umani. Occorre assumere una logica differente: quella che ci invita a crescere, come il granellino di senape, per divenire “ospitali”; quella logica che ci chiama a nasconderci in una massa più grande, come il lievito nella farina, perché tutta si fermenti. E’ questa la porta stretta, che è Gesù stesso nella sua via che sale a Gerusalemme e che è anche la nostra via!
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli