La ribellione dei funzionari non ha funzionato.
Un appuntamento come quello che ha interessato la Chiesa italiana, dal 31 marzo ad oggi, 3 aprile, per come si è svolto e per l’esito cui è arrivato, non era facile da immaginare. Anche se papa Francesco insiste così tanto sul bisogno di immaginazione e di inquietudine per fare buona teologia e buona informazione ecclesiale, pochi avrebbero pensato che le cose potessero andare come sono andate. Perché? Il fatto è che all’appuntamento, che avrebbe dovuto essere il punto di arrivo della “fase profetica” del cammino sinodale della Chiesa italiana, si è arrivati con un testo di 50 Proposizioni, che però avevano accuratamente depurato il dibattito da ogni possibile profezia. La fase profetica sembrava aver prodotto un regolamento di condominio. Questo “prodotto”, di cui nessuno capisce bene la genesi, ha di fatto scandalizzato larghissima parte di coloro che avrebbero dovuto votarlo, proposizione per proposizione. Il problema, avvertito immediatamente fin dalla prima scorsa al testo, era questo: non solo ogni singola proposizione, presa in sé, ma anche il respiro complessivo del testo, considerato sinteticamente, non era capace di restituire pressoché nulla di ciò che era stato vissuto, discusso e partecipato nel percorso dei 4 anni di impegno, nel confronto, nell’ascolto, nel dibattito e nelle molteplici e articolate stesure di assunti, prospettive e proposte.
Tanto più che questo stile stanco, burocratico e spesso del tutto vuoto, a moltissimi sembrava fatto apposta per chiudere tutto ciò che era aperto, per tacere su tutto ciò che era problematico, per addomesticare e sedare ogni moto d’animo o di spirito. Così, prima in una sequenza impressionante di interventi in aula, e poi nel lavoro di due sedute di “gruppi di lavoro”, è emerso che non qualche particolare, ma tutto, proprio tutto meritasse di essere riscritto, ripensato, rielaborato.
Chiedersi come è stato possibile un incidente del genere è inevitabile. E nascondersi dietro il “genere letterario” delle proposizioni, che sarebbero inevitabilmente brevi e povere, è davvero come nascondersi dietro il dito mignolo della mano di un neonato. No, anche le proposizioni di un sinodo, che certo non sono trattati, da sempre si possono scrivere in modo ricco o povero, appassionato o burocratico, problematico o retorico. Così la Assemblea, sia in seduta comune, sia nei gruppi e costituita da ogni identità (episcopale, presbiterale, religiosa e laicale) è tornata alla ricchezza che conosceva e alla passione che aveva gustato e comunicato e che non trovava in un testo dove, come per incanto, l’immaginario sinodale sembrava esser stato chiuso per qualche giorno nel congelatore.
Qualcuno ci ha provato. Quelle 50 proposizioni sono il frutto di un disegno. Qualcuno ha provato a ribellarsi al cammino sinodale, al cambio di paradigma, alla chiesa in uscita e nelle 50 proposizioni ha tentato di far rientrare tutto e tutti nei ranghi. Ma la ribellione di qualche funzionario, dotato certo di qualche potere, non ha funzionato. Il corpo ecclesiale, in tutte le sue componenti, non ha permesso ai funzionari di fare valere la “loro” sintesi. Così la loro ribellione di sistema non ha prevalso. Ha vinto invece la forza di una comunione reale e non formale. Così sarà possibile un ulteriore percorso di confronto, perché il testo delle proposizioni (50 o 70 che siano) appaia orientato, scritto in modo non clericale, non vuoto e con stile appassionato. Nell’anno giubilare dedicato alla speranza, un segno di questo tipo allarga il cuore e permette davvero di aprirsi a ciò che non si vede.
Chi parla di “ribellione” della Assemblea non ha capito niente. La notizia è che la Assemblea (fatta di vescovi, di preti, di religiosi e di laici) non ha accettato la ribellione di pochi funzionari. La ribellione burocratica al sinodo non è passata. La ribellione dell’apparato contro la istituzione del cammino sinodale ha fallito. Il processo sinodale merita ora una espressione non burocratica. Ci sarà da lavorare. Ma i burocrati sono avvisati e, come si dice, mezzo salvati.
Avevo letto il suo commento precedente e mi ero detta che così vanno le cose nella chiesa da tanto tempo, dal tempo del concilio Vaticano II, quando, invece, i testi preparati per essere discussi dall’assemblea dei padri conciliari furono rifatti perché non in linea con “i segni dei tempi”. Ero sfiduciata, non speravo più in un sussulto di vera profezia, ma mi sbagliavo e sono estremamente felici di essermi sbagliata. Il giubileo della speranza ha davvero avuto il sopravvento. Ora non mi resta che sperare con fiducia!
Gli estensori delle proposizioni hanno sintetizzato i lavori di tre anni di cammino sinodale. Tanta è stata la sintesi che temi dibattuti tra i partecipanti al dialogo sono stati cancellati. Avevano fretta i funzionari di chiudere al più presto la questione cammino sinodale. L’odore delle pecore è ignoto a simili pastori. Ai “frettolosi” ricordo un modo di dire romano (traduco): “la gatta frettolosa fece i figli ciechi”.