La sessualità e la omosessualità come tema: alcuni chiarimenti del fenomeno in un nuovo volume


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E’ appena uscito il volume Cattolicesimo e (omo)sessualità. Sapienza teologica e benedizione rituale, Brescia, Morcelliana, 2022, nel quale tento di presentare una serie di argomenti, mutuandoli anche dalle opere di altri testi recentemente pubblicati in Italia da teologi come B. Petrà, A. Fumagalli, C. Scordato, nonché dalla riedizione, curata da L. Accattoli, di testi anche molto risalenti di G. Baget Bozzo sul tema. In dialogo con questi autori, offro qui un breve sguardo sul volume, presentandone brevemente la struttura, che traggo dal testo della Introduzione, ripreso in sintesi e parzialmente rielaborato.

Il volume si divide in 3 parti, con la seguente successione:

 I. Sesso, sessualità e omosessalità nella tradizione cristiana e cattolica degli ultimi 200 anni.

 La “trasformazione della intimità” (Giddens) è una espressione felice, anche se la tesi è discutibile, perché indica una nuova relazione non solo tra vicenda privata e vicenda pubblica, ma anche una nuova lettura sistematica della giustificazione della relazione sessuale. Se la relazione sessuale è stata giustificata, per molti secoli, soltanto in rapporto alla generazione, è evidente che il sorgere nel discorso teologico cristiano cattolico di un “bene dei coniugi” è il segnale che indica uno spazio di elaborazione dei “beni della relazione” che non sono soltanto in vista della generazione. La alterità da salvaguardare non è solo il figlio, ma anche il coniuge. Questo renderebbe giustificabile, quindi, anche una relazione che non possa avere la generazione come orizzonte.

D’altra parte che cosa è la concupiscenza se non il desiderio dell’altro in cui solo il sé è gratificato? In cui l’altro è solo in funzione del sé? Questa evidenza classica ha scoperto che il sesso è, allo stesso tempo, la apertura più possente e la chiusura più ermetica. Che ogni erotismo possa essere solo “autoerotismo” non esclude affatto che l’amore tra uguali non possa essere radicale donazione, cura per l’altrui vita, strutturale fedeltà, riferimento stabile e affidamento sicuro.

Una rilettura dell’esercizio sessuale che escluda “per natura” ogni generazione, ma che non escluda né fedeltà, né legame stabile, né attenta presa in carico dell’altro sollecita una rilettura della tradizione in forma meno rigida, meno naturalistica, meno formale.

Questa trasformazione della tradizione teologica a riguardo della sessualità, che la svincola da una dipendenza diretta e immediata dalla funzione naturale della generazione, e, che, senza negarla, la personalizza e la umanizza, conduce ad un giudizio diverso sull’esercizio della sessualità non orientata alla generazione. Permette di considerare anche una relazione che non ha, in sé, una potenzialità generatrice sul piano fisico, di essere luogo di espressione e di esperienza del bene di un rapporto fedele, indissolubile, che mira al bene dell’altro e che per questo genera ed è fecondo in altro modo. Permette di scoprire che l’orientamento omoaffettivo non può essere compreso semplicemente attraverso i suoi limiti, bloccato sulla sua infecondità biologica e sul suo “disordine”, ma richiede uno sguardo diverso, meno selettivo, meno fissato e più intelligente. Che anche la omosessualità possa essere casta, anche nell’uso del sesso, non è un paradosso, ma il frutto di una possibile ascesi, di una vocazione e di una ponderata educazione. Che sempre è necessaria dove l’altro è in gioco, in una comunione di vita e di amore tra soggetti di sesso diverso o del medesimo sesso.

II. Una traduzione della dottrina e della disciplina secondo nuove e più adeguata categorie sistematiche

Questa elaborazione chiede una grande integrazione della esperienza ecclesiale. Per esprimere davvero una “dottrina ecclesiale” dobbiamo fare esperienza del fenomeno in una forma più radicale e meno astratta. La formulazione di una dottrina e di una disciplina deve attraversare fino in fondo le soglie della esistenza di coloro che sperimentano l’orientamento omoaffettivo come una loro realtà. Questo fenomeno, nella sua novità senza precedenti, permette una rilettura delle fonti, che possono essere affrontate con una nuova freschezza: il testo biblico, il commento patristico, la riflessione scolastica, la elaborazione manualistica e la normativa canonica, fino alla espressione magisteriale, subiscono così una necessaria precisazione, illuminazione, ricomprensione. Anche i documenti storici permettono di scoprire tracce consistenti di una libertà di giudizio più ampia e sorprendente di quanto ci aspetteremmo. La ricollocazione sistematica del tema appare un passaggio inevitabile, per uscire dallo schema classico che pregiudica definitivamente ogni giudizio. Considerare la relazione omoaffettiva anzitutto per il bene che sperimenta, e non solo per i limiti da cui è segnata, permetterebbe uno sguardo meno compromesso e una parola più serena. Non è un caso che il tema sia oggetto, per lo più, del “sapere teologico morale”. Ricollocare la sessualità e la omosessualità anche in diversi ambiti sistematici (nella antropologia, nel diritto e nella liturgia) permette di rinnovare lo sguardo e di coglierne dimensioni diverse e spesso sorprendenti.

 III. La dimensione simbolico-rituale (preghiera, benedizione, sacramento)

Infine, mettendo a frutto i passi precedenti, cerco di leggere con occhio meno compromesso e meno ossessivo, gli spazi di elaborazione di una “benedizione delle coppie”, che consideri anche la esperienza omoaffettiva non soltanto con il registro del vizio, del disordine e della censura. Anzitutto ci occuperemo di valutare, nel modo più oggettivo possibile, il contenuto del recente “responsum”, con cui si risponde ad un dubbio sulla “liceità della benedizione” e così identificheremo i diversi registri problematici su cui il testo appare fragile. Vedremo, in parallelo, mediante quali percorsi alcune chiese oggi offrono già supporti rituali e schemi celebrativi alle coppie omosessuali. Questa possibilità deve essere fondata in modo non marginale. E non può essere esclusa da argomentazioni teologiche troppo astratte. Il fenomeno della “vita comune omoaffettiva” non si riduce ad una questione sessuale, risolta e giudicata sulla base di schemi inadeguati. E trova in una esperienza del “bene che è comune” il buon fondamento per riconoscersi e sentirsi considerata, accolta e benedetta.

Questo è il compito: mediante gli opportuni chiarimenti, per i quali mi sono avvalso di diversi ambiti della riflessione, cerco di identificare bene il “fenomeno da salvare”. E’ evidente che proprio nel rapporto tra “chiarimento” e “fenomeno” si nasconde il rischio non piccolo o di una caduta apologetica o di una caduta relativistica. Può sempre accadere che un chiarimento troppo rigido escluda un fenomeno o che il fenomeno si imponga senza sopportare alcun chiarimento. La sfida da accettare è proprio questa: dar conto in modo coerente di una tradizione non significa chiuderla in sé, ma aprirla al suo compimento. La uscita da alcuni luoghi comuni della “dottrina sessuale” più classica sarà inevitabile. Solo così i “fenomeni” che incontriamo non saranno condannati in contumacia. Se la sessualità non riguarda solo la generazione, se la relazione non riguarda solo la sessualità, se esiste da sempre un “uso del sesso” all’esterno della soglia del consenso matrimoniale, allora l’orientamento omoaffettivo della sessualità non è a priori ridotto soltanto nell’area del “vizio contro la castità”. E se esiste una esperienza di bene anche nella vita, nella comunione e nell’amore omosessuale, non è contraddittorio pensare che la Chiesa abbia da riconoscere e da istituire anche uno spazio di benedizione per le coppie non eterosessuali. Che tutto questo possa essere “legittimo” non appare contraddittorio con la tradizione della fede, della speranza e della carità cristiana. Una chiesa che sappia di essere non solo regale e sacerdotale, ma anche profetica, dovrebbe riconoscersi chiamata a questa funzione benedicente. Fondare teologicamente questa possibilità è la piccola sfida che nel volume si è voluta tentare.

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